Non è tempo nè di polemiche nè di processi. Però, finita l’emergenza, verrà il momento di capire chi ha sbagliato e chi ha tardato.
Che cosa serve per produrre una mascherina che difenda dal coronavirus? Fino a un mese fa avremmo detto che a essere indispensabile fosse la materia prima, cioè la stoffa. Perché una mascherina non è un prodotto ad alta tecnologia, ma solo un pezzo di materiale con due elastici ai bordi da passare sulle orecchie o dietro la nuca. Invece no. A settimane dalla diffusione della pandemia abbiamo capito che per produrre le mascherine con cui medici, infermieri, ma anche persone comuni, si possono difendere dal contagio serve un’autorizzazione. Sì, avete letto bene. Non si possono fare le mascherine, metterle in commercio, distribuirle agli ospedali se prima non c’è il timbro del ministero. Che poi non è proprio un timbro, nel senso che la vidimazione è solo l’ultimo passaggio di un iter complesso.
Prima bisogna fare la domanda per essere autorizzati ad avviare la produzione, poi ci sono i test sul prodotto, l’analisi della qualità del tessuto, eccetera eccetera. Insomma, avrete capito, siamo in Italia e dunque per dare luce verde a un rettangolo di pezza o a un disco di materiale filtrante servono settimane, forse mesi. Perché, oltre che contro il coronavirus, c’è da combattere contro la burocrazia, che non conosce emergenze e non cambia la sua routine, i suoi modi di fare, le sue lentezze e, soprattutto, non cede un centimetro del suo potere. Non ci sono epidemie o terremoti che tengano, la Repubblica italiana è fondata non sul lavoro, ma sulla complicazione del lavoro. Dunque non è il popolo a essere sovrano, ma il burocrate, il quale ha potere di vita o di morte su ogni iniziativa.
Ecco, molta parte della spiegazione del perché in Italia ci sono stati più morti di pandemia che in altri Paesi, che pure hanno avuto un numero di contagiati simile al nostro, sta tutta qua. Nel ritardo con cui abbiamo agito. Anche altrove si sono accorti all’improvviso di non avere i magazzini pieni di mascherine. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti hanno sottovalutato per settimane la diffusione del virus, ma poi, quando l’allarme è suonato, si sono messi in fretta a recuperare terreno, producendo mascherine e costruendo respiratori.
Donald Trump, dopo avere a lungo minimizzato i rischi, quando si è convinto che quella in arrivo non era una semplice influenza ha ordinato alla Gm di fermare la produzione e di mettersi a costruire macchine che aiutassero i malati a respirare. Altro che autorizzazione, passaggi burocratici, lentezze ministeriali. Quando si è in emergenza si agisce con poteri straordinari: decidendo senza tentennamenti, acquistando ciò che c’è da acquistare senza fare bandi, gare Consip, annunci sulla Gazzetta ufficiale, circolari interpretative del decreto del presidente del Consiglio.
Noi non siamo stati più lenti di altri nel capire lo tsunami che ci stava per travolgere. I medici di famiglia, quelli degli ospedali, gli infermieri e perfino gli amministratori locali hanno compreso che quelle polmoniti fulminanti erano cose che non avevamo mai visto e dunque che si doveva reagire in fretta.
A non capirlo sono stati lassù, cioè ai vertici, dove la macchina burocratica è andata incontro all’emergenza applicando le solite procedure. C’è da distribuire soldi agli italiani rimasti senza lavoro perché altrimenti milioni di famiglie non hanno di che mangiare? Beh, bisogna accedere al sito dell’Inps, procurarsi una password, compilare un modulo, attendere che ci sia l’autorizzazione, poi presentarsi, eccetera eccetera. In sostanza, una normale pratica burocratica, con i ritmi con cui procede qualsiasi ufficio pubblico, in particolare l’Inps. Risultato, essendo i fondi a esaurimento, appena l’ente previdenziale ha aperto lo sportello telematico, il sito dell’istituto è collassato, in quanto non in grado di reggere milioni di accessi. Non serviva un genio dell’informatica per capirlo.
Anche noi, nel nostro piccolo, lo avevamo immaginato, scrivendo che i 600 euro promessi avrebbero scatenato una specie di riffa. Ma alla burocrazia del ministero del Lavoro e a quella dell’Inps, curiosamente, i rischi di un crac del sistema non sono venuti in mente, forse convinti di poter fronteggiare l’onda di milioni di richieste con le stesse risorse usate nella normalità. E che dire poi dell’infinità di autocertificazioni sfornate dal ministero dell’Interno? Non ne bastava una a confondere le idee degli italiani, ne servivano cinque o sei, alcune delle quali perfino in contrasto fra loro.
Certo, al momento c’è da sconfiggere il virus, dunque non è tempo né di polemiche né di processi. E però, finita l’emergenza, verrà il momento di tirare le somme e capire chi ha sbagliato e chi ha tardato. Lo dovremo fare non per spirito di rivalsa, ma solo per rispetto delle oltre 17.000 vittime di questa guerra. Perché la burocrazia non faccia altri morti…
