Un film di Elisabetta Sgarbi racconta l’essenza di un territorio straordinario attraverso la sua musica d’elezione, il liscio. Che è capace di esprimere passioni, tradizioni, ma anche di rinnovarsi. E conquistare, «finché entra la luce dell’alba».
Invano chiede di essere ascoltata, la nostra guida. Urla. Nessuno si muove, e non per sua insufficiente eloquenza. Sono dunque sordi questi fantasmi? È l’interrogativo del narratore felliniano della umanissima storia degli Extraliscio, il gruppo punk da balera, che è uscito dalla realtà per diventare cinema, attraverso la capacità demiurgica di mia sorella, Elisabetta.
La voce che ci racconta, e che si interroga su quei fantasmi così reali, è quella di Ermanno Cavazzoni, di pelo morbido e biondo, bianco, rossiccio. È un uomo di complessione esile, ma non fragile, che si costituisce «la sua leggenda di Santo bevitore».
Il punto di equilibrio di questa storia di emozioni musicali è Argenta, la città al confine tra Ferrara e Ravenna, in cui inizia lo stato d’animo romagnolo. Per Elisabetta è un ritorno alle sue origini perché Argenta, anzi, Santa Maria di Codifiume è il luogo di nascita di nostra madre che, per lei, vuol dire l’origine di tutto, il suo spirito riflessivo e la mia vitalità.
Così questa faccenda degli Extraliscio diventa una storia autobiografica, e lei vede in Moreno il biondo, nel suo sorriso languido, il volto di nostra madre, che continua a vivere e a sorridere. La Romagna di Elisabetta è questo: è un disvelamento, un «ritorno alle origini», una storia familiare. Ed è un profondo legame di affetto, una parentela, una vicenda sentimentale che impone a Elisabetta di raccontare questa storia.
C’è una poesia della Romagna, interpretata in chiave evocativa da Giovanni Pascoli, per trasmetterne l’universalità: «Sempre un villaggio, sempre una campagna /mi ride al cuore (o piange), Severino: / il paese ove, andando, ci accompagna / l’azzurra vision di San Marino. /… Romagna solatia, dolce paese ».
Per intenderne, oggi, la dimensione intima e segreta occorreva uno straniero innamorato, un lunatico pellegrino della terra più lontana dalla Romagna: l’Emilia. È Ermanno Cavazzoni, nato a Reggio come Ludovico Ariosto, un malinconico euforico, a suo agio nella nebbia, dentro cui si muove come l’anima nel corpo.
Attraverso le sue parole la realtà si fa sogno. La sua, per Elisabetta, è una funzione maieutica: «Ho scoperto gli Extraliscio grazie a Ermanno Cavazzoni e ho scoperto di averli sempre avuti dentro di me di averli sempre ballati, come un suono, o un palloncino, che insegui una vita, senza sapere perché».
Ermanno parla, ed escono figure e musica intorno a Moreno il biondo, capo orchestra di Casadei e re del liscio e delle balere, principe del clarinetto. Al suo fianco Mirko Mariani, sofisticato ricercatore di suoni, e anche collezionista di strumenti antichi. Ma non sarebbero bastati, per una sintesi riuscita, Moreno e Mirko, senza Riccarda Casadei (figlia di Secondo).
Energia pura, scatenante. Gli Extraliscio non suonano solo perché le nostre orecchie sentano la musica, ma perché i nostri corpi si agitino. La tradizione del liscio che «si balla finché entra la luce dell’alba» è la traduzione romagnola del tango, con un di più di energia incontrollata, purissima energia, finché la gente ce la fa e ha voglia di ballare, nelle estati senza fine. Come nel tango, il ballo è seduzione. Per conseguenza di questo anche la struttura formale del film ha il ritmo degli Extraliscio, non ha pause, è una corsa in uno spazio interiore, psicologico.
Non è un racconto, Elisabetta non descrive una storia, comunica lo stato d’animo, una resurrezione interiore. Gli Extraliscio sono una famiglia, la sua famiglia ritrovata, i luoghi, le balere, le capanne, la discarica di ferri «tutto ferri» sono carichi di affetti, sono spazi interiori.
Orfana, Elisabetta ha trovato una famiglia, e un altro fratello nella momentanea indisponibilità di quello reale: Ermanno Cavazzoni. Documentario, film, colonna sonora sono superati in una sinestesia, Elisabetta ha creato una estetica nuova che non ha bisogno di sceneggiatura perché la visita della musica è esuberante e occupa spazio psicologico prima che fisico.
Come raccontarlo, senza una storia e senza storie, come far sentire dei protagonisti l’anima e non il folklore è la sua sfida. Le meditazioni metafisiche si enucleano attraverso i disegni e le animazioni di un artista come Igort, che congela ogni impianto narrativo per una resa icastica. Così, seguendo il film nella sua struttura elastica, siamo trasportati in un mondo parallelo e capiamo perché «Extraliscio è energia, amore per la musica per il fare musica, e per fare ballare, estro, improvvisazione e studio, malinconia e gioia, liscio e punk».
Uscendo dallo stile lirico introspettivo, Elisabetta ha fatto un film di puro ritmo. Ritornano i fantasmi di nostro padre, le letture che ci ha suggerito, per compiere «il viaggio al termine della notte», dal quale non si ritorna se non trasformati: «Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini». E ancora: «È forse questo che si cerca nella vita, nient’altro che questo, la più gran pena possibile per diventare se stessi prima di morire».
Ermanno Cavazzoni non descrive, evoca, trasmette emozioni, cerca se stesso, contamina con la sua sottile, indisponibile ironia, è tranquillo nella frenesia musicale come dentro la nebbia. Il suo viaggio è il nostro, il suo è un magistero per restituire, con l’emozione, a noi una parte di noi.
La Romagna è uno stato d’animo. Nessuna immagine, per quanto surreale o paradossale, è onirica, perché il sogno è qui, in Romagna; ed è reale. I musicisti si annegano nel rosso, ma è la proiezione del loro stato interiore: non c’è altro colore, altra dimensione. Il film è una necessità espressiva, un flusso di immagini obbligatorie, un fiume che scorre come la vita. E nel ballo si dimentica il male, la morte.
C’è malinconia, in Romagna, e c’è desiderio di una felicità perduta: «Romagna mia, Romagna in fiore, / tu sei la stella, tu sei l’amore. / Quando ti penso, vorrei tornare, / dalla mia bella, al casolare». Romagna è nostalgia. Il titolo originale del brano era Casetta mia: Secondo Casadei l’aveva già scritto qualche tempo prima, dedicandolo alla propria casa di Gatteo Mare.
Fu Dino Olivieri, direttore artistico dell’etichetta discografica La voce del padrone, che, ascoltando il motivo, gli suggerì di modificare il titolo in Romagna mia, sapendo quanto grande era l’amore del maestro per la propria terra. Quella nostalgia è anche energia, vitalità e non era facile trasferirla in immagine. Gli Extraliscio lo hanno fatto con Elisabetta. E lei è felice.
