Il nuovo libro di Bruno Vespa ripercorre gli anni in cui il Duce portò l’Italia nel baratro, dopo aver contribuito al suo sviluppo. I fascisti di oggi, dice il giornalista, tengano a mente questa parabola.
Alcuni lettori di destra mi hanno chiesto – prima di leggere Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando) – perché avrei cambiato idea.Come si fa a scrivere un libro come questo – dicono – dopo Perché l’Italia amò Mussolini del 2020? Naturalmente non ho affatto cambiato idea, ma questa è la prova di come anche la storia – oltre alla cronaca – venga piegata da ciascuno alla propria ideologia. Compito del cronista (non sono infatti uno storico di professione) è raccontare le cose come stanno.
Tra il 1925 e il 1936 Mussolini da un lato inasprì la dittatura vietando ogni forma di dissenso, dall’altro iniziò una serie di opere urbanistiche e di iniziative economiche e sociali che ammodernarono il Paese e gli dettero sollievo anche dopo la grave crisi finanziaria del ’29, che l’Italia subì meno delle altre nazioni. Di tutto questo la storiografia ufficiale si è occupata poco e – quando se ne è occupata – è stata consultata pochissimo da chi ha giudicato Mussolini solo per gli anni 1937- 1943 di cui si occupa il mio libro appena pubblicato. Anni, questi ultimi, in cui il Duce non ne ha azzeccata una.
Dall’ignominia delle leggi razziali (di cui porta la responsabilità intera, visto che Hitler non gliele ha mai chieste pur facendo in Germania assai peggio) alla partecipazione a una guerra cui non eravamo preparati. Il tragico paradosso è che Mussolini per primo conosceva l’impreparazione del Paese, al punto di aver detto che prima del 1943 sarebbe stato impensabile per noi entrare in guerra. Avrebbe voluto prima celebrare i fasti dell’Impero con l’Esposizione universale di Roma (Eur) del 1942 che non si fece a causa del conflitto. E sapete perché eravamo impreparati? Nel libro riporto un giudizio della storica Maria Teresa Giusti, non sospettabile di nostalgie: «Ai propositi bellicosi del fascismo non si era accompagnato un reale sforzo di mobilitazione dell’economia in vista di un conflitto armato. Anzi, Mussolini negli anni Trenta aveva continuato ad aumentare le provvidenze sociali, per assicurare il consenso popolare al regime, trascurando un apparato militare che già partiva svantaggiato per l’arretratezza industriale del Paese. Ancora nell’estate del ’43, con l’Italia in ginocchio, 45 mila bambini partivano per le colonie marine».
Entrammo in guerra per sederci all’«imminente tavolo della pace» e facemmo pessime figure dappertutto: dalla Francia alla Grecia, dall’Africa alla Russia, dove fummo mandati al massacro con assoluta incoscienza, nonostante i disperati tentativi del generale Giovanni Messe – forse l’ufficiale migliore di quella guerra – di non spedire al fronte l’Armir perché le cose già si mettevano male. L’eroismo della Folgore a El Alamein e lo strazio della ritirata di Russia – alle quali il mio libro dedica due capitoli – non servirono a salvarci da un conflitto sbagliato.
Ecco dunque che non si può giudicare il primo Mussolini senza il secondo e viceversa. I nostalgici di oggi possono rimpiangere l’efficienza di cui i treni in orario erano il simbolo, ma non dimenticare gli errori che hanno fatto di Mussolini un condannato dalla storia. Chi sono oggi i neofascisti? Lo è Roberto Fiore, il capo di Forza Nuova che ho avuto regolarmente ospite a Porta a porta quando me lo imponeva la par condicio nelle campagne elettorali politiche. Lo sono i suoi «camerati». Il governo sembra ormai orientato ad aspettare una sentenza della magistratura per sciogliere il partito perché la legge Scelba esige la prova di tentativi reali di rimettere in piedi un nuovo movimento fascista, anche piccolo, ma strutturato. Il fascismo non può tornare, come dicemmo nel 2019 in Perché l’Italia diventò fascista.
Ma questo non toglie nulla alla pericolosità di alcuni movimenti di estrema destra che – al pari dei No Tav e degli Antagonisti sul fronte opposto – cavalcano un sentimento di ribellione diffuso in una parte della società. Nel mio libro, Berlusconi tende a ridimensionare il fenomeno. Quando gli ho chiesto come valuta i timori di rilancio del fascismo dopo la manifestazione di metà ottobre di Forza Nuova a piazza del Popolo ha risposto: «Sinceramente mi sembra che dare tutta quest’importanza a un centinaio di scalmanati sia non solo eccessivo, ma anche controproducente. Questo non significa sottovalutare la gravità di quello che è accaduto: nel Novecento abbiamo assistito a stagioni di violenze di piazza che, poi, sono sfociate addirittura nel terrorismo. Però l’Italia è un Paese con salde istituzioni democratiche: dare tanto rilievo a un nucleo di teppisti e di agitatori significa correre il rischio di farne delle vittime agli occhi di alcune frange dell’opinione pubblica, e quindi di suscitare addirittura emulazione».
Non sottovalutare, appunto. Perché stiamo attraversando una fase molto delicata: ci sono ancora milioni di persone non vaccinate che considerano in larga parte il Green pass una forma di violenza, c’è una paradossale disoccupazione crescente nonostante la crescita più alta d’Europa (dopo la caduta peggiore nel 2020). C’è un malessere sotterraneo che poi esplode in gruppi che non si sa bene come definire. L’importante è che chiunque – di dritto o di rovescio – si richiami al fascismo tenga fisso bene in mente com’è andata a finire.
La lezione della storia, il gusto della cronaca

C’è il rapporto contraddittorio, e, alla fine, fatale tra Mussolini e Hitler durante gli anni del conflitto mondiale. Sul versante contemporaneo, invece, ci sono le manovre di Renzi e le ambizioni quirinalizie di Berlusconi, e il recente tracollo elettorale dei Cinque stelle. Oltre ai pro e contro di Draghi al governo e alle apprensioni di Mattarella da qui alle elezioni del Presidente della Repubblica. Quindi una storia ricostruita con cronache d’epoca e retroscena delle cronache attuali che (forse) diventeranno storia. Bruno Vespa conferma con il suo nuovo libro – Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando), Mondadori , pp. 468, 20 euro – il suo felice, doppio registro tra divulgazione storica e gusto per l’aneddoto inedito, raccolto grazie a un accesso privilegiato alle stanze del potere. Nel terzo «tempo» che il giornalista dedica al fascismo, tra il 1937 e il 1943, ovvero l’anno della caduta di Mussolini, c’è il dramma di un Paese non pronto alla guerra. L’Italia che dopo questa pandemia, racconta Vespa, cerca adesso una chiave diversa per il suo futuro.
