La spettacolare chiesa seicentesca della città marchigiana richiede l’attenzione pubblica per i restauri necessari e per un’adeguata valorizzazione.
La passione civile del conte Lupo Bracci, che fu presidente del Centro studi Vitruviani di Fano, si riaccende quando la sua nobile e fragile città viene ferita. Questa volta è per la chiesa di San Pietro in Valle, depredata e abbandonata, ma ancora ricca di opere, oggetti e decorazioni straordinarie. La chiesa, dalla facciata incompiuta, in prossimità della attuale sede municipale, fu voluta dalla Congregazione dei padri oratoriani di San Filippo Neri. Iniziata nel 1610, viene consacrata sette anni dopo, non ancora terminata, su progetto di Giovanni Battista Cavagna, e interventi successivi di altri architetti come Giovanni Maria Pazzaglia, Giovanni Branca e Girolamo Caccia.
L’edificio ha la pianta a croce latina, a navata unica con una volta a botte. Le pareti sono ripartite da alte paraste ioniche strigilate con capitelli festonati. Le paraste ioniche suddividono sui fianchi le aperture ad arco di sei cappelle laterali, e ripartiscono le pareti dell’ampio transetto con due cantorie contrapposte. La chiesa è coronata da una cupola luminosa su un alto tamburo finestrato. Le sei cappelle sono ricche di ori, stucchi, marmi, pitture, legni. La decorazione è tutta giocata sul luminoso accostamento di bianco e oro. A decorare la volta della chiesa di San Pietro in Valle furono Pietro Solari e Antonio Viviani detto il Sordo, di Urbino. Solari si occupò degli stucchi, Viviani degli affreschi che decorano i riquadri della navata centrale, del presbiterio e della controfacciata.
La cupola fu eretta dall’architetto Girolamo Caccia nel 1696 e successivamente decorata dal bolognese Lauro Buonaguardia. Nel presbiterio dominavano tre straordinari capolavori: La consegna delle chiavi di Guido Reni (1626), Il miracolo di San Pietro che guarisce lo storpio di Simone Cantarini (1635-45), San Pietro che resuscita Tabita di Matteo Loves (1633-34). Sono stati tutti trafugati da Napoleone.
Secondo il catalogo del Canova, delle tre opere catalogate a Fano e inviate in Francia, nessuna fece ritorno. A San Pietro in Valle è conservata una copia del Guido Reni, mentre un’altra copia, dipinta nel 1786 da Giuseppe Ceccarini, è nella chiesa di Sant’Agostino sempre a Fano. Quanto alle cappelle laterali, per l’altare della cappella Uffreducci (prima a destra) fu commissionata al pistoiese Luigi Garzi La Madonna con il Bambino che appare a San Filippo Neri (1699). Nella cappella Alavolini, il pesarese Giovan Giacomo Pandolfi realizzò i tre affreschi della volta e i due dipinti delle pareti laterali: La nascita del Battista e La decollazione del Battista.
La tela dell’altare centrale, con La nascita del Battista del fanese Sebastiano Ceccarini, sostituisce il San Giovanni alla fonte, capolavoro del Guercino, trasferito al Museo Fabre di Montpellier. Nella cappella Gabrielli, la prima sulla sinistra, ci sono la sublime Annunciazione di Guido Reni, e il Sogno di Giuseppe di Giovanni Francesco Guerrieri, entrambi depositati al museo civico di Fano. Ricordiamo che per Luigi Lanzi Guerrieri è un «Caravaggio mitigato nelle tinte e ingentilito nelle forme».
Anche la cappella Petrucci, la seconda a sinistra, è interamente affrescata da Giovanni Francesco Guerrieri, con le storie di San Carlo Borromeo. Sull’altare maggiore si trovava la Visione di San Carlo del 1635. La luce della stanza è data dal lume di una candela che illumina volti e oggetti. Nella cappella Marcolini, successivamente Ubaldini, con gli affreschi del Viviani, la tela sull’altare è del bolognese Lorenzo Garbieri.
A questo vasto patrimonio pittorico si aggiungono gli arredi in legno: il pulpito, il genuflessorio dei Putti, gli inginocchiatoi, i banchi, le cantorie e i confessionali. Questi ultimi furono fabbricati dagli artigiani locali, esperti nella lavorazione del legno, utilizzato nella costruzione di imbarcazioni, nella tradizione di una città di mare come Fano. Già nel 1873 il Francolini, nella seconda edizione della sua Guida di Fano, scriveva: «Innanzi all’altare maggiore di questa chiesa è un genuflessorio, ammirato lavoro in noce e di perfetta scoltura». Maddalena Trionfi Honorati lo attribuisce all’intagliatore francese Dionisio Plumier. Anch’esso si trova ora al Museo civico di Fano.
Un notevole busto di San Pietro sopravvive sul pilastro di sinistra della navata, proprio di fronte al pulpito. La congregazione fondata da San Filippo Neri si riuniva a Roma nello spazio dell’Oratorio. Qui si inaugurò il genere della lauda musicale, cantata negli esercizi spirituali, prima e dopo il sermone. Nel 1626 comincia anche a San Pietro in Valle a Fano l’attività regolare di musiche in chiesa. L’edificio con le sue due cantorìe consente l’esecuzione di ogni forma musicale. Nello spazio che incornicia le due cantorìe sono numerosi angeli musicanti di grandi dimensioni, che rendono omaggio al ruolo centrale della musica nelle pratiche degli oratoriani. Le cantorìe furono realizzate da Giorgio Ferretti nel 1710, che le impreziosì inserendo strumenti musicali di largo impiego nel repertorio del barocco.
Tutto questo patrimonio della chiesa che fu, e ancora è, la più ricca e la più bella, la più integra della città, in parte «in situ», o trasferito in spazi museali (vedi il Reni e il Guerrieri), è chiuso, in abbandono, con cadute degli stucchi del Solari, senza finanziamenti dello Stato, della Regione o dell’amministrazione comunale, che pure ha stanziato 28 milioni per opere pubbliche varie, dal restauro del Collegio di Sant’Arcangelo al penoso arredo urbano di piazza Andrea Costa. Anche le opere trasferite al museo sono poco visibili, in spazi infelici, e chiedono di tornare nella loro sede originaria.
La potente, scenografica, trionfante architettura attende di essere restituita a Fano e al mondo. Un evocativo auditorium, un nuovo teatro dove torni la musica sacra. Il grido di Lupo Bracci deve salire ed essere amplificato perché si ritrovi la coscienza di un patrimonio che sembrò, e fu, indispensabile a Napoleone per il Louvre, e la città di Fano si riappropri di un bene tanto prezioso. E lo tuteli. Il sindaco di Fano, Massimo Seri, si confronti e si misuri con il leggendario sindaco di Rimini, Andrea Gnassi, per la propria città. Lo faccia anche per il comune e compianto amico Alberto Berardi, che ha vissuto per la gloria di Fano e ha restituito, e riarredato, con orgoglio civico, la grande, e pur meno importante, chiesa di San Domenico. San Pietro in Valle, da sola, vale Fano futura Capitale italiana della cultura.
