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Fabio Viale e l’arte suprema degli «originali altrimenti»

Fabio Viale e l’arte suprema degli «originali altrimenti»

Questo scultore virtuosistico, ora esposto a Pietrasanta, ci abbaglia con enormi riproduzioni di oggetti comuni, fatti di inganni materici, e rielaborazioni di capolavori del passato che diventano travolgenti testimoni del nostro tempo.


Lo spirito dell’opera di Fabio Viale è la sfida. Si iniziò a parlare di lui per alcune iniziative prodigiose, rigorosamente legate al mestiere di scultore, in rapporto diretto con il marmo di Carrara. Siamo stati abituati a un’arte concettuale che prescinde dalla materia e dalla realizzazione fisica dell’opera. Viale è un sublime artista concettuale che si manifesta nell’opera compiuta secondo i materiali e le tecniche originali. Forse le opere che vediamo vogliono dire altro da ciò che appare ma, intanto, appaiono.

Iniziò a stupirci quasi 20 anni fa realizzando un paradosso, a partire dal nome Ahgalla, una barca di marmo in grado di galleggiare ma anche di trasportare persone con l’ausilio di un motore fuoribordo, che fu varata a Carrara, Torino, Roma, Milano, Venezia, Trieste, San Pietroburgo, Mosca. Può galleggiare una barca di 600 chili, di marmo? Sì. Sfida vinta. Da allora la posta è sempre stata più alta. Nel 2004 Arrivederci e grazie, scultura monumentale in marmo di Carrara, composta da due elementi che costituiscono la replica in scala 1:1 di due sacchetti di carta forati (nel 2012 ne realizza una versione alta quasi due metri).

Ma è nel 2006 che il rumore della sua impresa si amplifica nel rapporto con i modelli più alti: Souvenir Pietà, una fotografia della Pietà di Michelangelo e una replica della statua del Cristo morto in marmo bianco. Il virtuosismo di Viale si fortifica prima con un monumento a Camillo Benso di Cavour, poi con effetti speciali come la riproduzione in marmo bianco e pigmenti di una cassetta di frutta da ortomercato.

Suprema sfida: tradurre il legno in marmo. La soddisfazione di ingannare l’occhio in prove continue in parallelo con l’esperienza riproduttiva del reale nelle ceramiche di Bertozzi & Casoni. Il processo è analogo, una grande illusione, il piacere dell’inganno. Viale trasferisce in marmo il polistirolo, la carta, le scatole di plastica, una camera d’aria. Inutile cercarne il significato, l’ambizione del potere è tutta nella materia. L’intelligenza dell’uomo può rovinarla, ma essa si impone. Viale fa il verso all’avanguardia ma non si allontana dalle cave, dal cantiere, dall’intelligenza oggettiva della materia, più sottile di qualunque trovata.

Intanto anche Maurizio Cattelan ritorna al marmo: lo fa con la scultura in Piazza degli Affari davanti alla Borsa di Milano, una mano con il palmo aperto e due dita mozzate, che evidenziano il dito medio dritto; e, drammaticamente, con i corpi distesi di profughi travolti dal mare ed esposti, come per una cerimonia funebre, in Palazzo Grassi sulla placida laguna veneziana. Una singolare coincidenza, non priva di un’intima necessità, che lega il marmo ai sepolcri e ai monumenti nelle chiese.

Coerentemente, nel 2016, due sculture di soggetto sacro di Viale, in tutto mimetiche, appaiono nella basilica di San Lorenzo a Firenze fra numerose altre compagne. Qual è l’obiettivo di Viale? Essere confuso o competere? I suoi sono veri e propri blitz. In che tempo siamo? E in che spazio? In San Lorenzo le due sculture erano isolate, ma avrebbero potuto confondersi, negli altari e nelle cappelle, con le altre presistenti, in una continuità funzionale.

Nel 2018 Viale sale al tempio della Glyptothek di Monaco di Baviera con una evocativa rivisitazione del Laocoonte. Intanto anche l’atemporale Viale si ideologizza e porta la Pietà michelangiolesca al largo di Lampedusa. Ma la sua impresa epica, curata da Sergio Risaliti, è un altro paradosso virtuosistico: Acqua alta per il Padiglione Venezia della Biennale, a margine dell’epica alluvione lagunare del 2019. Ciò che fu minaccia a Venezia diventa moderna archeologia, per così dire archeologia artigianale, nel trasferimento delle Bricole a Firenze.

Si tratta di una dozzina di monoliti in pietra che replicano, in misura reale, quei pali in legno di rovere o di castagno, alti tre metri e oltre, che affiorano nella laguna di Venezia. Questi oggetti sono denominati «bricole», servono da segnali per la navigazione e approdi per le barche. Quelle realizzate da Viale imitano il legno in maniera così stupefacente da far credere che siano in realtà calchi, in gesso patinato o resina.

L’allestimento fiorentino riprende quello veneziano, cui si è aggiunto il dato di cronaca che ha trasformato disgraziatamente il virtuale in reale. Nel Padiglione ai Giardini, infatti, il paesaggio originale, dei canali e della laguna veneziana caratterizzati dalle bricole, è evocato con una installazione multisensoriale che immerge i visitatori in una ambiente illusorio, grazie a un pavimento immerso in un tappeto di acqua bassa e a una nebbia realizzata con teli di plastica leggermente opachi.

Il dramma dell’acqua alta ha ispirato a Viale questa opera ipervirtuosistica. È stata un’ossessione che ha occupato la nostra mente per due mesi con la stessa potenza (subito dimenticata) della clausura del coronavirus (da cui non siamo ancora usciti).Trattandosi, quest’ultima esperienza, di una condizione immateriale, di minacciosa insanità, non è stata intercettata dallo scultore, così attento al suo tempo, attraverso la storia della scultura dall’antichità a Michelangelo Buonarroti e ad Antonio Canova. L’opera di Viale riappare così, come su una zattera della Medusa, negli spazi esterni ed interni che offre Pietrasanta.

Ed è un’esposizione completa e programmatica. Il tempo è sospeso. Sulla piazza, ripiegata, la testa monumentale del David di Michelangelo, il torso ispirato al torso del Belvedere, il Laoconte tatuato, in un cortocircuito tra il nitore del marmo di Carrara e le macchie policrome dei tatuaggi. Intuizione notevole, nelle sculture all’esterno, sono i grandi blocchi dei basamenti che si fanno parte integrante, come forme astratte, delle sculture. Sulla scalinata dominano due giganteschi sacchetti sgualciti con vistosi fori.

All’interno, le Tre Grazie, nello spazio buio della chiesa, come una apparizione di fantasmi, panneggi sospesi, risposta islamica alle Grazie ignude di Canova, tre donne originarie della città di Ghardaia in Algeria, visitata da Viale in uno dei suoi viaggi esotici. Il burka integrale è una pura forma con un solo punto vuoto, a indicare il volto sotto il velo strizzato.

Nel grande spazio della chiesa di Sant’Agostino, le Tre Grazie infilate dialogano con la forma apparentemente astratta, quasi una gabbia, di Stargate, scultura in marmo arabescato dell’Altissimo, che riproduce due grandi cassette per la frutta unite, per indicare l’entrata, come propilei verso la cella del tempio: un passaggio, un varco, un filtro visivo.

Dietro l’altare, un aereo di carta riprodotto nel marmo più puro e sottile. Negli ambienti del chiostro è una scultura con schegge di marmo su due pareti, a rendere insidioso lo spazio; in altre stanze, l’Infinito, in marmo nero (pneumatici di Suv intrecciati), e una virtuosistica traduzione in marmo e pigmenti (come il legno delle bricole) de La suprema, cassette per la frutta con l’illusionistico effetto del legno secco e sporco.

Il dialogo con Canova è esplicito nella Venere italica tatuata, la cui volgarità, condivisa dallo stesso effetto nella Venere di Milo dominante sulla piazza, ha la forza sorprendente di strappare al loro tempo gli archetipi per farli diventare travolgenti testimoni del nostro tempo. È anche la conclusione di Risaliti: «Viale realizza un’opera che è “l’originale altrimenti”. Infatti, il rapporto di somiglianza tra l’originale e la replica genera, nel suo caso, sempre uno spaesamento e un abbaglio». Proprio così. Siamo abbagliati. Ma non ingannati.

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