In Italia ’80 per cento dell’Irpef è a carico del 25 per cento dei cittadini e l’altro 75 vive praticamente a sbafo. Può durare un sistema del genere che si perpetua negli anni?
Tredici anni fa, quando per la prima volta venni nominato direttore di Panorama, dedicai una copertina del nostro settimanale agli italiani che vivono d’aria. La ricordo ancora: c’era un grande zero che campeggiava sotto la testata. Il titolo era piuttosto semplice: gli italiani a reddito zero. Nel servizio di Gianluigi Nuzzi si raccontava che milioni di contribuenti ogni anno dichiaravano al Fisco di non avere guadagnato niente o, peggio, di aver addirittura registrato un reddito negativo. Nell’esercito di poveri cristi che non riuscivano a mettere insieme neppure poche migliaia di euro in dodici mesi, erano rappresentate diverse categorie, di artigiani, professionisti, imprenditori eccetera. Tutti accomunati dalla stessa identica sorte, ossia non essere riusciti a raggiungere degli introiti sufficienti a pagare le tasse.
Che ci fossero così tante persone esentate dal prelievo del Fisco era per me un fatto sorprendente, degno d’essere messo in copertina. Perché, mentre Romano Prodi, con l’allora viceministro delle Finanze Vincenzo Fisco (pardon, Visco) dichiaravano di combattere gli evasori, era di tutta evidenza che troppi italiani le imposte non le pagavano. Quella copertina di Panorama mi è tornata in mente nei giorni scorsi, quando il nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi ha parlato della necessità di rivedere il sistema fiscale, abbassando l’aliquota più alta ed elevando la fascia di reddito esente dal prelievo fiscale. Non ho mai visto nessun governo che si sia presentato agli italiani promettendo di alzare le tasse: tutti chiedono la fiducia in Parlamento assicurando di avere intenzione di abbassarle, ma poi, come si sa, quasi sempre fanno il contrario.
Al momento non so dire se Draghi si inserirà nel solco dei predecessori, se cioè dopo aver predicato bene razzolerà male. Tuttavia so che di recente due libri hanno scelto di occuparsi proprio delle storture del Fisco, cioè di quegli italiani che le tasse non le pagano e dunque contribuiscono a farle pagare ai contribuenti onesti, i quali versano più del dovuto in quanto milioni di italiani non sborsano un euro. Il più recente tra i volumi è quello di Francesco Vecchi, conduttore di Mattino 5, e ha un titolo inequivocabile: Gli scrocconi. Tanto per capire di che fenomeno stiamo parlando, do la parola al collega di Canale 5. «44 milioni di cittadini in Italia non versano tasse a sufficienza, 11 milioni di cittadini pagano giusto la propria fetta e 5 milioni sborsano la differenza». La conclusione è semplice: «Sette cittadini su dieci non si fanno carico delle spese sanitarie (le tasse servono anche a questo, ndr), ma vanno a scrocco». In seguito, Vecchi è ancora più esplicito e parlando di Irpef, cioè di imposta sulle persone fisiche, spiega: «Per un cittadino su due questa sigla è sconosciuta: 0 euro di Irpef versati nel 2019». Certo, ci sono gli italiani che non hanno un lavoro e dunque, da disoccupati, percepiscono sussidi e non redditi. Ci sono le persone che vivono in famiglia, cioè sono per così dire a carico. Ci sono quelli a cui le cose sono andate male e dunque con la loro attività registrano un reddito negativo, ma è possibile continuare a credere che milioni di italiani non lavorino (e non abbiano guadagni) quando dal 2010 a oggi si sono triplicati gli interventi di chirurgia estetica, l’Italia è il primo Paese in Europa per numero di iscritti in palestra e sono esplosi sia i centri benessere che le Spa? Sì, i paradossi sono lì da vedere: lo Stato spende 130 miliardi per aiutare i bisognosi, vale a dire che investe in sussidi l’8 per cento del Pil, e poi c’è un esercito di italiani che, pur dichiarando redditi bassi, si permette quelle che definiremmo spese voluttuarie.
Ancor più chiaro è Alberto Brambilla, docente universitario e grande esperto di sistemi previdenziali. In un libro uscito qualche mese fa e dal titolo Le scomode verità, il professore mette in fila alcuni semplici dati. Il 45,39 per cento degli italiani, cioè 18,6 milioni di persone, o dichiara zero redditi o ne dichiara così pochi che alla fine paga solo il 2,62 per cento di Irpef. «A questi contribuenti corrispondono 27,3 milioni di abitanti, i quali, considerando le deduzioni e le detrazioni, pagano in media 157,9 euro l’anno e, di conseguenza, si suppone anche pochissimi contributi sociali, con l’alto rischio di diventare dei futuri pensionati assistiti dalla collettività». Eh già, perché le conseguenze per chi non paga le tasse non si limitano al vivere a scrocco, godendo dell’assistenza sanitaria e dei servizi pubblici senza aver sborsato un euro o meno di 50 centesimi al giorno per avere tutto, medico della mutua, medicine, sicurezza. No, l’effetto perverso di chi si fa mantenere oggi è che si farà mantenere sempre, anche da pensionato, con il cosiddetto assegno sociale, cioè una pensione al minimo. Per dirla chiara, sarà uno scroccone a vita. Brambilla segnala che i cittadini a reddito zero, cioè quelli a cui tredici anni fa Panorama dedicò la copertina, sono in aumento e crescono pure quelli che dicono di percepire stipendi o guadagni da fame.
Analizzando ancor meglio le cifre, Brambilla si rende conto che 15 milioni di italiani, cioè un quarto della popolazione, pagano un’Irpef media pro capite di 24 euro l’anno: un dato non solo sorprendente, ma poco credibile. Tuttavia, non si tratta della sola anomalia. Se da un lato il 45,19 dei cittadini, come abbiamo detto, paga il 2,62 per cento dell’Irpef, il 12,28 dei contribuenti versa il 57,88 di tutte le imposte sui redditi delle persone fisiche. «Eppure» scrive Brambilla «il numero di automobili con un costo superiore ai 120 mila euro è dieci volte superiore il numero di coloro che dichiarano un reddito lordo superiore ai 240 mila euro l’anno (120 mila netti)».
La riflessione è semplice: almeno nove italiani su dieci tra coloro che posseggono auto lussuose, sono evasori. Scrocconi, per dirla con Vecchi. L’80 per cento dell’Irpef è a carico del 25 per cento dei cittadini e l’altro 75 vive praticamente a sbafo. Può durare un sistema del genere che si perpetua negli anni? Si può accettare che su 16 milioni di pensionati, oltre la metà abbia prestazioni integrate e quindi sia parzialmente o totalmente a carico della fiscalità generale, ovvero di quel 25 per cento di italiani che paga le tasse? Ovvio che no. Così, prima o poi si va in fallimento. E allora torniamo a Draghi. È bello promettere di abbassare le imposte. Ma per farlo, prima bisogna riuscire a farle pagare a tutti, anche agli scrocconi. In Italia, da anni esiste l’anagrafe fiscale e i cittadini hanno digerito anche l’idea che il Fisco abbia accesso ai propri conti correnti. Scoprire chi compra un’auto di lusso senza dichiarare nulla, chi ha case che non potrebbe permettersi o, semplicemente, verificare allo sportello bancario flussi di denaro non giustificati, ormai è un gioco da ragazzi: basta accendere un computer e impostare un algoritmo. Dunque, caro Draghi, non ci dica che ridurrà le tasse. Ci dica che troverà gli scrocconi. Agli sconti fiscali penseremo dopo.
