Quella che oggi circola sul mercato non è più la «solita» erba: negli ultimi anni le percentuali di Thc, la componente psicoattiva, sono aumentate in maniera abnorme. Questo comporta rischi elevati di psicosi e di danni (anche irreversibili) al cervello dei giovanissimi. Non c’è legalizzazione della cannabis che tenga.
Dimenticatevi quell’aura vagamente romantica e post-sessantottesca che ancora aleggia attorno all’uso di spinelli, marijuana in ogni sua forma, cristalli, olii, shatter, wax e mille altre specialità che si trovano sui mercati illegali. Mentre in Italia prosegue il dibattito sulla legalizzazione, i cannabinoidi del Terzo millennio, dietro l’aspetto spesso accattivante, nascondono conseguenze drammatiche: psicosi, delirio, allucinazioni, suicidi. E anche omicidi, causati dalla violenza incontenibile diretto effetto di prodotti che «bruciano il cervello».
Non si tratta di facile allarmismo, ma di scienza. Uno studio pubblicato su Lancet Psychiatry rileva come la potenza della cannabis sia oltremodo aumentata negli ultimi anni, esponendo i consumatori (spesso inconsapevoli delle reali formulazioni del prodotto) a rischi enormi. Tutto dipende dalle percentuali per milligrammo di Thc: il tetraidrocannabinolo, componente psicoattivo della marijuana che agisce sui recettori cerebrali dell’encefalo provocando lo sballo (l’effetto che tutti i consumatori ricercano) ma anche danni enormi, terribilmente sottovalutati. Senza contare il fatto che, oltre al Thc, il fumo di cannabis contiene circa 8 mila sostanze chimiche diverse, tra cui componenti cancerogene. Quella che circola sul «mercato», insomma, non è più la solita erba di Woodstock ma qualcosa di molto più potente e dannoso, che sta già adesso avvelenando i più giovani: in Europa, negli ultimi 10 anni l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze ha riscontrato un aumento del 76 per cento delle persone in terapia per la dipendenza da cannabis. Prima si inizia a fumare, prima ci si ammala gravemente, andando incontro a deficit cognitivi e condannandosi, da soli, a disturbi psichiatrici spesso gravissimi.
«Dai nuovi spinelli dobbiamo aspettarci enormi disastri» dichiara Carlo Locatelli, direttore del Centro antiveleni e centro nazionale di Informazione tossicologica agli Istituti Maugeri di Pavia. «Mentre fino agli anni Novanta, secondo i dati della Drug enforcement administration statunitense, la percentuale di Thc accertata nei campioni di cannabis era circa del 4 per cento, sui sequestri degli ultimi mesi troviamo preparati da svapo con percentuali quasi al 100 per cento, oltre a marijuana e hashish con tetraidrocannabinolo al 40 o 50. Numeri folli, perché basta una piccolissima quantità di prodotto per avere effetti massimali: uno tsunami di neuromediatori che impatta sui recettori del cervello e non è contrastabile dalla fisiologia dell’uomo. Non esiste effetto di riparazione per queste sostanze così potenti. È come se arrivasse un’onda anomala che distrugge porti e moli e pretendessimo di ritrovarli integri quando l’onda si ritira. Semplicemente, non è possibile».
Nel risiko della vita di un consumatore di cannabinoidi, tre fattori sono cruciali per capire come e quanto si sconterà l’errore di aver sottovalutato la potenza di queste sostanze: anticipazione dell’età d’esordio, continuità nell’assunzione e dosaggio cumulativo. Prima si inizia peggio è, e anche qui è la scienza a spiegarci i motivi: «L’assunzione di cannabinoidi, oggi, si data mediamente attorno ai 14 anni» dice Giuseppe Bersani, già professore ordinario di Psichiatria all’Università La Sapienza di Roma. «Questa è un’età in cui il cervello è in una fase ancora nettamente evolutiva, perché l’encefalo umano, e soprattutto le aree fronto-temporali, quelle delle funzioni superiori, del giudizio, della memoria, dell’emotività, maturano dopo i 22 anni. Qualunque processo interferisca, prima di quest’età, con l’organizzazione cerebrale porta in dote dei varchi di incompleta maturazione, che poi non possono più essere colmati da un successivo sviluppo».
Tradotto: il cervello dei soggetti che abitualmente assumono cannabinoidi è immaturo, è un organo che ha perso la capacità di raggiungere un livello cognitivo idoneo e rimane tale anche con l’avanzare dell’età. Inoltre, il rischio di psicosi è dietro l’angolo: «Storicamente, negli ultimi 20 anni, nei Pronto soccorso si attribuiva la psicosi alla cannabis nell’8 o 10 per cento dei casi» prosegue Locatelli. «Adesso in Europa siamo ben oltre il 20 per cento, proprio grazie al maggiore utilizzo e maggiore concentrazione di Thc».
Si va dall’attacco di panico (e chi ne soffre rimane spesso inabile per tutta la vita, arrivando a fare accessi in Pronto soccorso anche due o tre volte al giorno), fino alla schizofrenia. «Osserviamo» continua l’esperto, un ventaglio di psicosi molto variabile, con minore apprendimento, danni a memoria, concentrazione, capacità lavorativa. Inoltre diminuisce il quoziente intellettivo, perché il Thc va ad agire sui recettori che stanno in alcune parti nobili del cervello». Perdere quoziente intellettivo da adolescenti non vuol dire solo fare più fatica a imparare, ma impattare sulla possibilità di provare piacere, amore, gusto, di apprezzare la musica, di esercitare le funzioni superiori: tutte le cose che fanno «bella» la vita.
«È proprio così» conferma Bersani «ed è il grido d’allarme che noi psichiatri portiamo avanti di fronte alle proposte di legalizzazioni di queste autentiche droghe, che di leggero non hanno assolutamente nulla. Oggi meno che mai. Teniamo presente che chi, per esempio, opta per l’inalazione di Thc, vede il proprio cervello “inondato” dalla sostanza, con un effetto immediatamente acuto e sintomatico che raggiunge effetti allucinogeni simili a quelli dell’Lsd». Cadendo in uno stato di psicosi psichedelica, in un vero trip allucinogeno, anche la probabilità di compiere crimini aumenta moltissimo. Con la perdita di controllo emotivo, in uno stato di coscienza alterato favorevole all’anti-socialità, chi ha assunto le sostanze smarrisce anche la capacità di intendere e di volere e può ritrovarsi a compiere qualsiasi gesto, senza nemmeno rendersene conto. Un esempio è stato, in Italia, l’omicidio del brigadiere Mario Cerciello Rega per mano di un giovane americano affetto da psicosi da Thc.
Ma, come suggeriscono i sostenitori della legalizzazione, non è possibile che rendendo il mercato legale e controllato si superino i problemi di scarso controllo e si arrivi a «un uso responsabile»? No, non è realistico: «Questa legge non restringerebbe comunque il cerchio dei consumatori» ha risposto Alfredo Mantovano, magistrato della Corte di Cassazione e curatore del volume Droga. Le ragioni del no, durante un convegno tenutosi a Milano a fine luglio. «La proposta ferma alla Camera, ovviamente, pone dei limiti nella coltivazione e nella cessione di marijuana. Di età, di quantità e di percentuali di Thc. Cosa farà la criminalità organizzata? Si inserirà nella gestione di ciò che è oltre ciascuno di questi limiti, quindi aumenterà l’offerta verso i minori, offrirà quantità di Thc molto superiori rispetto al limite stabilito, e agirà nelle fasce lasciate fuori». Un esercito di spacciatori, a caccia di giovani ai quali rubare il bello della vita.