Gli effetti del precipitoso abbandono dell’Afghanistan siamo destinati a misurarli nei prossimi anni, pagandone le conseguente. Spero di sbagliarmi, ma sia dal punto di vista della sicurezza sia da quello della diffusione degli stupefacenti.
In vent’anni esportare la democrazia in Afghanistan è costato ai Paesi occidentali più di 2.200 miliardi di dollari, a cui si devono aggiungere i «costi» umani, ossia i 2.448 soldati americani morti, i 1.144 militari alleati deceduti (tra questi 53 italiani) in quella che venne definita un’operazione di «peacekeeping», le 3.846 vittime registrate fra le cosiddette società private che hanno affiancato l’opera delle truppe internazionali. In totale, 7.478 caduti, con una spesa che non ha eguali a nessun altro conflitto. In Vietnam gli Stati Uniti spesero 138,9 miliardi di dollari e perfino il bilancio Usa della Seconda guerra mondiale impallidisce di fronte a quello della presa di Kabul.
In poche parole, l’intervento occidentale in Afghanistan per liberare il Paese dai talebani, a vent’anni di distanza si è rivelato un disastro da tutti i punti di vista. Dopo 120 mila morti (ai soldati dell’alleanza caduti in attentati e scontri vanno aggiunti i 66 mila militari afghani deceduti in battaglia e le 47 mila vittime civili, molte delle quali definite «effetti collaterali» dei bombardamenti) e una cifra-monstre mai vista prima, siamo ancora alle prese con un emirato islamico, uno Stato in cui oltre a regnare la sharia, ossia una legge coranica che fa strage dei diritti umani e di quelli delle donne, prospera il narcotraffico. Eh sì, non è solo una questione di democrazia negata e nemmeno si tratta di un pericoloso avamposto del terrorismo, che in passato ha dato asilo a tutte le organizzazioni dell’estremismo islamico: la vittoria dei talebani rappresenta la restaurazione di un Paese che della droga, in particolare dell’oppio e dell’eroina, ha fatto la sua principale industria.
È facile prevedere che l’Afghanistan tornerà presto a essere il principale produttore di stupefacenti e con le sue piantagioni invaderà il mondo e in particolare l’Europa. La guerra all’Occidente infatti non si fa solo con le armi, con un pugno di fanatici trasformati in kamikaze pronti a farsi esplodere in mezzo alla gente o a dirottare auto e aerei contro la folla. La jihad si può combattere anche con l’eroina, avvelenando a basso prezzo intere generazioni di giovani. E i talebani, quelli che la stampa italiana definisce studenti coranici, quasi fossero dei «fuoricorso» in teologia, non si fanno scrupoli a usare la droga. Pronti a condannare a morte, tagliandogli la testa, uno spacciatore o anche un consumatore di eroina che non ne faccia un uso professionale, cioè in battaglia o per trasformarsi in boia, i nuovi padroni dell’Afghanistan si finanziano con l’oppio. La materia prima desiderata dai trafficanti di mezzo mondo rappresenta il loro principale introito, l’oro bianco con cui hanno comprato armi e sostenuto le loro bande e c’è da credere che dopo la caduta di Kabul il fatturato dell’Emirato islamico sia destinato ad aumentare.
La fuga vergognosa degli eserciti della coalizione, la caduta rovinosa di un esercito addestrato per vent’anni, il voltafaccia occidentale nei confronti degli afghani che avevano creduto alla promessa di un Paese democratico, insieme al «costo umano» e allo sforzo economico, da soli rappresentano la peggiore sconfitta subita dall’occidente dal 1945 a oggi. Non c’è Guerra di Corea o Vietnam che tenga al confronto di ciò che rappresentano la caduta dell’Afghanistan e la resa ai talebani.
Tuttavia, a ciò che abbiamo visto finora si aggiunge altro problema e non promette nulla di buono, se non di costare a Stati Uniti ed Europa ancora di più. Già, perché ventiquattr’ore dopo la resa di Kabul, Paesi per niente democratici come la Cina e la Russia già si affrettavano a instaurare rapporti con i nuovi padroni dell’Afghanistan. Un’apertura agli studenti coranici non disinteressata, perché mentre la vecchia Europa mostrava uno sgomento ipocrita per la repentina vittoria dei talebani e l’America del democratico Joe Biden esibiva un cinico disinteresse per ciò che stava accadendo, Pechino e Mosca erano già pronte ad approfittare della situazione. La prima per accaparrarsi le miniere di terre rare necessarie a sostenere le sue produzioni più avanzate, la seconda per allargare la propria area di influenza e garantirsi nuovi sbocchi commerciali.
Sì, la sconfitta a cui abbiamo assistito finora è nulla rispetto a ciò che ci attende. Le migliaia di soldati caduti inutilmente, la montagna di miliardi spesa in due decenni sono il costo, umano, economico e politico aggiornato ad agosto del 2021, ma gli effetti del precipitoso abbandono dell’Afghanistan siamo destinati a misurarli nei prossimi anni, pagandone le conseguente. Spero di sbagliarmi, ma sia dal punto di vista della sicurezza che da quello della diffusione degli stupefacenti, l’Europa e l’America si renderanno presto conto dei loro errori, mentre ci vorrà più tempo per tirare le somme di una guerra delle materie prime che rischia di essere devastante in tutti i sensi.
E il bilancio, c’è da giurarlo, non si fermerà ai miliardi di dollari già spesi. Speriamo almeno che si fermi alle vittime già conteggiate.