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Canova la bellezza al potere

Canova la bellezza al potere

Lo scultore ebbe un rapporto complesso con i suoi importanti committenti, da Caterina di Russia a Napoleone. A Possagno, vanno ora in mostra esempi di capolavori dove celebrazione e ricerca estetica trovano un equilibrio perfetto.


La formula «arte e potere» definisce perfettamente il campo d’azione di Antonio Canova. Ogni momento della sua vita è caratterizzato dalla risposta a una committenza di primo livello, a partire dal suo soggiorno a Roma per il monumento funerario a Clemente XIV nella basilica dei dodici apostoli. Il successo di questa impresa spinse don Giovanni Abbondio Rezzonico e i suoi fratelli, cardinali Carlo e Giovanni Battista, a commissionare al Canova il monumento funerario allo zio Clemente XIII, per la basilica di San Pietro. Pur attento a Bernini, Canova eseguì un sepolcro dalle rigorose forme neoclassiche, dove il pontefice, inginocchiato obliquamente sul sarcofago, è «un’imponente figura che respira»: dopo quattro anni l’opera fu inaugurata nella notte del giovedì santo del 1792, alla presenza di Pio VI.

Da qui inizia la richiesta a Canova di opere da ogni parte del mondo, fino alla corte di Caterina di Russia. Napoleone, con il trattato di Tolentino, iniziava lo spoglio di opere d’arte dall’Italia. Frattanto Canova, tornato a Possagno, si spinse in Austria dove fu accolto alla corte di Francesco II d’Asburgo-Lorena, per eseguire il deposito funebre per Maria Cristina d’Austria nella chiesa viennese di Sant’Agostino, su commissione del duca Alberto di Sassonia-Teschen. L’opera fu terminata nel 1805. Lasciata Vienna, Canova si recò a Praga, a Dresda, Berlino e Monaco, per poi tornare nella natia Possagno (TV) e a Roma, che ritenne alla fine l’unica città congeniale al suo virtuosismo artistico. Il 5 gennaio 1800 fu nominato accademico di San Luca, di cui diventò presidente nel 1810 e presidente perpetuo nel 1814.

Fu un’ulteriore conferma della fama del Canova, che continuò a essere richiesto nelle corti di tutta Europa: anche Napoleone, nel 1803, volle un ritratto. Canova all’inizio fu assai riluttante a mettere la propria arte a servizio di colui che era stato il carnefice della Repubblica Veneta, ceduta all’Austria in seguito al trattato di Campoformio: sollecitato da Pio VII, tuttavia, partì per Parigi, dove arrivò il 6 ottobre 1801. In Francia divenne l’artista ufficiale del regime napoleonico. La prima opera che eseguì fu la colossale statua Napoleone Bonaparte come Marte pacificatore, nudo con clamide su una spalla, una vittoria in una mano e una lancia nell’altra. Ma l’imperatore, nel vedersi completamente svestito, si preoccupò del giudizio del popolo e ordinò di portare la scultura nei depositi del Louvre e di coprirla con un velo.

Canova fu disturbato dal destino toccato alla sua statua, dalla sorte di Venezia e dalla continua perdita di opere d’arte italiane, portate in Francia con le spoliazioni napoleoniche. Pertanto, nonostante le insistenze di Bonaparte perché si fermasse a Parigi, Canova decise di tornare in Italia. Il 7 novembre 1802 scrisse all’amico Antonio D’Este: «Non crediate che io resti qui, che non mi vi tratterrei per tutto l’oro del mondo […] véggo troppo chiaro che vale più la mia libertà, la mia quiete, il mio studio, i miei amici, che tutti questi onori […]». Dopo la Paolina Borghese nelle vesti di Venere vincitrice, per la sorella di Napoleone, nel 1814 gli venne commissionato da Giuseppina di Beauharnais, prima moglie di Napoleone, il gruppo scultoreo delle Tre Grazie.

Dopo la caduta di Napoleone, Canova, che era sempre stato contrario alle spoliazioni, fu incaricato da Pio VII di recarsi a Parigi per recuperare le opere d’arte portate in Francia dopo il trattato di Tolentino. Non senza difficoltà (la situazione a Parigi era «disperata», e francesi e russi si opponevano alla riconsegna), grazie al ministro degli Esteri austriaco (e futuro cancelliere) Klemens von Metternich, Canova riuscì a ottenere la restituzione di molte delle opere. Questa mostra a Possagno, nell’anno che chiude le celebrazioni del secondo centenario della morte di Canova, ne indaga il rapporto con Giovanni Battista Sommariva, avvocato lodigiano e politico al servizio di Napoleone, tra gli uomini più ricchi del suo tempo. Francis Haskell e Fernando Mazzocca hanno studiato questa testimonianza della passione per la pittura contemporanea, soprattutto i neoclassici francesi, David, Prud’hon, Gérard, Girodet, Wicar, Meynier, e, tra i lombardi, Appiani, Bossi, Hayez e Migliara, e anche per la scultura, fino a diventare uno dei grandi mecenati di Canova e di Thorvaldsen.

Le opere canoviane nella casa parigina e nella villa, già Clerici, a Tremezzo sul lago di Como, entrambe visitate da viaggiatori, erano la Maddalena penitente (1794-96) e l’Apollino, acquistati nel 1808, il Palamede (1796-1804) e la Tersicore (1802-12), acquisiti direttamente da Canova. Questa serie era integrata dai gessi originali della Maddalena (dispersa) e della Tersicore, e dai calchi in gesso dell’Autoritratto di Canova e del busto di Giuseppe Bossi e di tre copie in marmo, della Maddalena, della Testa di Venere Italica derivata da Pietro Fontana e della seconda versione di Amore e Psiche giacenti, eseguita nel 1823-24, con tale perizia da venir scambiata per l’originale, da Adamo Tadolini.

Dopo Canova e il dolore. Le stele Mellerio. Il rinnovamento della tematica sepolcrale, questa mostra esibisce notevoli prestiti provenienti da istituzioni nazionali ed internazionali, pubbliche e private. Nell’occasione si è restaurato l’Apollino delle Collezioni comunali d’arte di Bologna. L’intendimento è studiare appunto il fondamento e gli obiettivi del singolare collezionismo di Giovanni Battista Sommariva, che utilizzò il suo patrimonio per costituire una raccolta arricchita di opere di Canova, per ricostituire la propria reputazione dopo accuse di corruzione e speculazioni economiche. Oltre agli ambiziosi progetti espositivi ricordati, il Museo Canova ha profuso impegno ed energie per la conservazione e la tutela del proprio patrimonio, così come per l’agibilità e la messa in sicurezza degli ambienti espositivi: infatti, nell’anno appena trascorso, la Casa natale dell’artista è stata oggetto di interventi per l’adeguamento degli impianti e dell’illuminotecnico, con tinteggiatura delle stanze e riallestimento della collezione, offrendo al visitatore la possibilità di vivere nello stesso spirito quegli stessi ambienti vissuti dallo scultore. L’esemplare intervento si deve alla collaborazione di Moira Mascotto e Tommaso Ferruda.

Con medesimo spirito, il 2023 vedrà compiersi il restauro e l’adeguamento sismico della seconda e terza campata dell’Ala Lazzari della Gypsotheca, eretta per volontà dell’abate Giovanni Battista Sartori, fratello di Canova. Sono molti i progetti di restauro che interessano i beni mobili che compongono la collezione di Possagno.Tra questi, il sistematico intervento sui bozzetti canoviani in argilla, sottoposti a indagini scientifiche per verificarne la consistenza strutturale, e per studiare i processi di esecuzione finora non indagati, rilevando fra l’altro le impronte digitali del Canova impresse sulla superficie terrosa, utili per future attribuzioni. Con l’occasione, le teche che ospitano le argille sono state rifoderate con stoffe dalle stesse tramature e colori scelti da Carlo Scarpa. Con questi obiettivi, grazie al mecenatismo dei molti amici del museo, alcuni capolavori di Canova hanno ritrovato lo smalto originario, come il dipinto della Venere con il Fauno. È con orgoglio che la nostra istituzione persegue questi risultati, nel nobile obiettivo di preservare l’arte canoviana con il respiro della straordinaria vita dell’uomo che l’ha generata.

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