Invece di esporre striscioni contro le politiche del governo o a favore di una riduzione del cuneo fiscale, la Cgil si schiera «sempre» con Mimmo Lucano.
Nei giorni a cavallo fra Natale e Capodanno, approfittando del fatto che finita la corsa agli acquisti la città si svuota, mi sono concesso qualche camminata solitaria per le vie di Milano. Senza auto né rumori, percorrendo alcune strade mi è sembrato di passeggiare in un altro mondo. Un deserto a cui, oltre alle vacanze, ha di certo contribuito anche il Covid, che ha costretto molte persone alla quarantena e altrettante all’autoisolamento per paura del contagio. Ma a prescindere dalle ragioni per cui, durante le feste, anche una città sempre in fermento come il capoluogo lombardo si è fermata, è di altro che vi voglio parlare. Nelle mie peregrinazioni quotidiane mi è capitato di transitare davanti alla Camera del lavoro, sede meneghina della Cgil. Si tratta di un edificio degli anni Trenta, non particolarmente bello, in corso di Porta Vittoria, quasi di fronte al Palazzo di Giustizia. Entrambe le costruzioni sono figlie del periodo fascista, anche se da quella che ospita il sindacato è stata fatta sparire la scultura che rappresentava la marcia su Roma, di cui peraltro quest’anno ricorre il centenario.
La residenza milanese della confederazione guidata da Maurizio Landini è un immobile di mattoni rossi a forma di U, con un ingresso in pietra. Ecco, è stato proprio il portone che si affaccia sulla piazzetta ad attirare la mia attenzione. Non so da quanto tempo stesse lì: forse da settimane, ma passando quasi sempre in auto, non mi ero mai accorto dello striscione rosso collocato all’entrata. Il cartellone riproduceva il faccione dell’ex sindaco di Riace, sormontato dalla scritta a caratteri gialli: «Con Mimmo Lucano, sempre». Per anni, per accedere al palazzo si passava sotto le fotografie delle volontarie rapite in Iraq o in Siria, oppure di Giulio Regeni, con l’appello a riportarle a casa o a trovare gli assassini del povero ricercatore italiano ucciso in Egitto. Mai, che io mi ricordi, era apparsa l’immagine di un condannato per associazione a delinquere, truffa aggravata, peculato, falso e abuso d’ufficio. Il Tribunale di Locri, proprio prima di Natale, ha depositato una sentenza di quasi mille pagine con cui si motiva la condanna a 13 anni e 2 mesi inflitta in primo grado all’uomo che per anni ha rappresentato il modello di accoglienza tanto caro alla sinistra.
Quello messo in piedi da Lucano era, secondo i giudici, «un vero e proprio organismo associativo elevato a sistema, che ruotava intorno all’approvvigionamento di risorse pubbliche». Per il Tribunale, in sostanza, «si è trattato più precisamente di un’organizzazione tutt’altro che rudimentale, che rispettava regole ben precise a cui tutti puntualmente si assoggettavano, permeata dal ruolo centrale, trainante e carismatico di Lucano Domenico, che ne era al vertice, il quale consentiva ai partecipi da lui prescelti di entrare nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno di essi eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale». Certo, quella inflitta all’ex sindaco di Riace è una sentenza di primo grado, contro cui i difensori di Lucano hanno già annunciato di essere intenzionati a proporre appello e dunque, fino a che non sia intervenuta una sentenza definitiva, l’uomo celebrato da registi e politici deve essere considerato innocente. Tuttavia, a leggere le motivazioni della sentenza qualche dubbio si dovrebbe far strada anche fra i più agguerriti sostenitori dell’assistenza ai profughi.
Scrive il giudice: «In altre parole Lucano Domenico, dopo aver realizzato l’encomiabile progetto inclusivo dei migranti, che si traduceva nel cosiddetto Modello Riace, invidiato e preso a esempio da tutto il mondo, essendosi reso conto che gli importi che venivano elargiti dallo Stato per governare quel fenomeno erano più che sufficienti allo scopo, piuttosto che restituire ciò che veniva versato, aveva ben pensato di reinvestire in forma privata la gran parte di quelle risorse, con la creazione di progetti di rivalutazione del territorio che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti (tra cui l’acquisto di un frantoio e di numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per l’accoglienza turistica) che costituivano, a un tempo, una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato in quello specifico settore, per come dallo stesso rivelato nel corso delle ambientali che sono state esaminate».
Ribadisco: si tratta di una sentenza di primo grado. Però le motivazioni parlano di cose concrete, come alberghi e strutture turistiche, realizzate con soldi pubblici ai fini di un arricchimento personale, utile per garantirsi una pensione. Ci sono documenti e intercettazioni. Lucano avrà senz’altro modo di difendersi e di chiarire, se potrà, la sua posizione. Ma la Cgil? È possibile celebrare con uno striscione un condannato per associazione a delinquere e truffa ai danni dello Stato? È giusto schierarsi «sempre», come dice lo striscione all’ingresso del palazzo della Camera del Lavoro, con un condannato – ancorché in primo grado – per falso e peculato?
La confederazione guidata da Landini avrebbe molti argomenti da affrontare e per cui impegnarsi. Dalle tasse troppo alte sugli stipendi dei lavoratori al precariato, per finire alla crisi che sta mettendo in ginocchio le aziende a causa del caro bollette. Tuttavia, invece di esporre striscioni contro le politiche del governo o a favore di una riduzione del cuneo fiscale, si schiera «sempre» con Mimmo Lucano. Sicuri che gli interessi dei lavoratori coincidano con quelli dell’ex sindaco di Riace? Siamo certi che questa sia la battaglia principale per chi ha un posto e teme di perderlo o semplicemente vorrebbe migliorare le proprie condizioni? Non so a voi, ma a me quello striscione ha ricordato uno slogan in voga negli anni Settanta, quando una parte della sinistra non stava né con lo Stato né con i terroristi. Oggi il sindacato sceglie di non stare con lo Stato, ma con chi è accusato di averlo truffato. Poi si capisce perché gli iscritti di Cgil, Cisl e Uil calano.