Zainal Abidin, indonesiano, Andrew Chan e Myuran Sukumaran, australiani, Rodrigo Gularte, brasiliano, Sylvester Obiekwe Nwolise, Raheem Agbaje Salami e Okwudili Oyatanze, nigeriani, Martin Anderson, ghanese. Fucilati a morte da un plotone di esecuzione questa mattina, all’alba, nell’isola penitenziario di Nusakambangan, in Indonesia, dove erano stati rinchiusi per traffico di droga. Mentre camminavano verso l’area dove sarebbero stati uccisi, cantavano preghiere. Hanno rifiutato di indossare la benda dei condannati a morte. Hanno voluto guardare negli occhi gli uomini che gli avrebbero sparato.
L’epilogo di questa storia, che ha provocato la dura reazione dell’Australia e del Brasile contro le autorità di Jakarta, non ha nulla a che fare con la giustizia. Nel braccio della morte indonesiano rimangono altri 64 detenuti, in gran parte stranieri, per traffico di droga. Il presidente Widodo, eletto la scorsa estate con la fama di buono venuto dal basso in un’Indonesia dalle tradizioni autoritarie, ha già escluso anche per loro la possibilità di commutare la pena capitale in carcere a vita. Ma chi sono gli uomini passati per le armi oggi per droga? Erano davvero pericolosi trafficanti o piuttosto ingenui alle loro prime armi finiti in un giro più grande di loro? E come mai le autorità indonesiane non hanno voluto fermare la mano del boia, quando è emerso in extremis che quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo condannato a morte, la filippina Mary Jane Fiesta Veloso, non era una pericolosa trafficante ma un semplice corriere? Perché ostinarsi a escludere, nonostante le proteste internazionali, la possibilità di un errore?
I CONDANNATI AUSTRALIANI
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I due casi più eclatanti sono quelli di Andrew Chan e Myuran Sukumaran, due cittadini australiani rispettivamente di 31 e 34 anni, il primo di origine cinesi, il secondo britanniche. Arrestati giovanissimi nel 2005 a Kuta, nell’isola di Bali, quando la polizia trovò nella loro camera d’albergo 334 grammi di eroina purissima, sono stati condannati nel 2006, trascorrendo gli ultimi dieci anni della loro vita nel braccio della morte.
Tutti li hanno descritti come uomini cambiati, sinceramente pentiti. Accusati da un corriere della droga indonesiano di essere i capi della banda che avrebbe dovuto garantire il passaggio di otto chili di eroina dall’Indonesia all’Australia, avevano frequentato la stessa scuola superiore di Sidney. Erano amici inseparabili. Chan si è voluto sposare con la sua storica fidanzata due giorni prima della sentenza. Sukumaran – che ha sempre negato ogni addebito relativo al ritrovamento di otto chili di brown sugar all’aeroporto di Jakarta – ha descritto così nel 2010 a un network australiano la sua storia, iniziata quasi per scherzo e finita come mai si sarebbe potuto immaginare:
Un mio compagno di università mi chiese se volessi andare a una cena per entrare a far parte di una gang. Ci risi sopra. Non ero mai entrato in una banda quando frequentavo la scuola. Andai a quella cena. Lo trovavo divertente, quasi eccitante. Mi pagarono la cena e anche il nightclub. Lo stile di vita, la possibilità di avere le cose che avevano loro, di conquistare le ragazze che avevano loro. Mi immaginavo a lavorare per i prossimi cinquant’anni nella mail room e pensavo che mai, con quel salario, avrei potuto permettermi quello che avevano quelle persone, le BMW, le Mercedes, i drink che offrivano a tutti. Certo, ero combattuto, non era una cosa per me, poi pensavo al salario che mi passavano….
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Quando si è sposato con la sua fidanzata nel braccio della morte, 48 ore prima della esecuzione, Chan sorrideva. Era il suo ultimo desiderio. Il pastore che ne ha seguito l’evoluzione dopo il suo arresto, avvenuto quando aveva 21 anni, lo ha descritto come un uomo profondamente cambiato, pentito, capace sempre di aiutare tutti gli altri detenuti. Intervistato anche lui da un network australiano nel 2010 ha descritto così la sua avventura conclusasi all’alba davanti a un plotone di esecuzione.
Avevo un lavoro stabile in Australia, non pensavo che andando in Indonesia stessi facendo qualcosa che mi avrebbe stravolto la vita. Io stesso ero un consumatore di droga, ma non mi immaginavo come un tossico. Immaginavo che sarebbe stato solo un giorno di lavoro. Un giorno, una paga veloce e via
GLI ALTRI DETENUTI
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Rodrigo Gularte, 42 anni, è stato arresto nel 2004 mentre cercava di entrare in Indonesia (!) con sei chili di eroina nascosti nella sua tavola da surf. La sua famiglia ha chiesto invano la grazia. Non è bastato che i medici lo abbiano classificato come un paranoico schizofrenico. La sua morte ha suscitato la dura reazione delle autorità di Brasilhia. Okwudili Oyatanze Fellow Nigerian Oyatanze, 45 anni, e Nwolise, anche lui nigeriano, 49enne, sono stati arrestati con vari chilogrammi di eroina al Sukarno-Hatta airport, rispettivamente nel 2001 e nel 2004. Cresciuto in Biafra, Nigeria, Oyatanze è diventato un trafficante nel 1999, dopo il fallimento della sua azienda. Arrestato nel 2001 con due chili di brown sugar all’aeroporto di Jakarta, ha pubblicato molti album e scritto più di settanta canzoni in carcere.
I giornali lo hanno soprannominato il cantante gospel della banda per la sua passione musicale. L’altro condannato a morte si chiama Martin Anderson: nato a Londra nel 1964 è ghanese, benché le autorità indonesiane lo abbiano prima presentato come nigeriano. È stato arrestato nel 2003. Il caso di Zainal Abidin, indonesiano, è più controverso: fu arrestato nel 2000, nel suo appartamento di Sumatra, dove trovarono 58 chilogrammi di marijuana. Secondo il suo avvocato, a portare il carico nel suo appartamento, furono due amici che qualche sera prima avevano bussato alla sua porta chiedendologli ospitalità per qualche giorno. Mr Abidin pensava che le valigie che portavano con loro contenessero solo riso. (PP)