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I fan della messa in latino sperano nella zampata di papa Leone

I fan della messa in latino sperano nella zampata di papa Leone

Una recente inchiesta giornalistica ha svelato i magheggi con cui Bergolio ha affossato il rito tridentino, riabilitato da Ratzinger. La motivazione addotta da Francesco era l’ostilità dei vescovi, cosa però smentita nei fatti. Ora la palla passa al nuovo pontefice, che ha la missione di ricucire la Chiesa

«È la messa ad aver trovato me, non io la messa». Maria Vittori, 29 anni, racconta a Panorama di come si è avvicinata all’eucaristia tradizionale. Quella che si celebra in latino. «La Provvidenza si è servita del digitale: ho seguito il mio primo rito antico su YouTube nel 2020, quando per uscire di casa serviva il foglio con la giustificazione ed erano stati sospesi i sacramenti». Nella sua esperienza, si sono mischiati i paramenti barocchi dello spirito tridentino, la lingua dei primi cristiani e la tecnologia quale veicolo della fede. Viene da citare l’Apocalisse di San Giovanni: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

Se è vero che i seminari più attrattivi risultano essere quelli tradizionalisti, la messa in latino non è solo roba per anziani. Federico Catani, come Maria, frequenta la parrocchia romana della Santissima Trinità dei pellegrini, dove si celebra seguendo il messale del 1962. Lui è nato nel 1986. «Ero stanco», dice a Panorama, «di vedere liturgie senza alcuna sacralità, infantili, “orizzontali”, troppo umane».

La messa in latino non è nemmeno la bizzarria di un manipolo di bigotti. Anzi, negli anni ha iniziato a diffondersi così tanto, da destare le preoccupazioni di quella parte della Chiesa che la considerava una bandiera dei “conservatori”. Benedetto XVI l’aveva liberalizzata con un motu proprio del 2007, Summorum Pontificum, con il quale indicò le condizioni per le celebrazioni secondo il Messale romano, promulgato da San Pio V e riedito da Giovanni XXIII alla vigilia del Concilio Vaticano II, da cui il cerimoniale sarebbe uscito riformato. Poi, nel 2021, la stretta di Francesco: un nuovo motu proprio, Traditionis custodes, volle «ristabilire in tutta la Chiesa di rito romano una sola e identica preghiera che esprima la sua unità». Alla base della decisione, assicurava Jorge Mario Bergoglio, c’era il timore di uno scisma di fatto: «Una possibilità» lamentava il Papa argentino in una missiva ai vescovi «è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni».

In verità, un’inchiesta della reporter Diane Montagna ha appena svelato che il pontefice morto ad aprile fece letteralmente carte false per comandare il giro di vite. La giornalista ha ottenuto il testo integrale redatto, all’epoca, dalla Congregazione per la dottrina della fede, sulla base di una «consultazione» dell’episcopato cattolico. La relazione, finora non pubblicata, attestava: «La maggioranza dei vescovi […] ha affermato che introdurre cambiamenti legislativi a Summorum Pontificum provocherebbe più danni che vantaggi». Inoltre, i più avevano «espresso soddisfazione» rispetto al provvedimento di Joseph Ratzinger. «Nei luoghi in cui il clero ha collaborato strettamente con il vescovo» si leggeva nel documento «la situazione si è resa del tutto pacificata». Eppure, Francesco si era detto «costretto a revocare la facoltà concessa dai miei predecessori». È la prova che il rito antico è stato vittima di una mistificazione, capace di gettare ulteriori ombre su quella che in molti considerano una «persecuzione», partita dai vertici della Santa Sede. Il tema è entrato pure in conclave: il ruolo che ebbe nei divieti, insieme al cardinale Arthur Roche, il segretario di Stato vaticano, potrebbe aver pesato nel veto dei conservatori su Pietro Parolin.

In ogni caso, come ci spiega don Nicola Bux, uno dei massimi esperti di liturgia, il latino non è stato mai ufficialmente abolito. Anzi, «il nuovo messale promulgato da Paolo VI» ed entrato in vigore nel 1970 «ne confermava l’importanza per la seconda parte della messa, quando si recita la preghiera eucaristica. La scomparsa del latino è avvenuta più de facto che de iure: man mano, anche nelle parti sacerdotali, è subentrata la lingua parlata, peraltro già utilizzata per le letture, che venivano tradotte dopo essere state declamate in latino».

D’accordo. Però la storica lingua ufficiale della Chiesa, ormai, non risulta semplicemente incomprensibile? «È un falso problema», replica Maria Vittori. «Con la traduzione del messale, disponibile anche online, la ripetizione delle letture in italiano e l’esistenza di una parte fissa nella liturgia, ci si ambienta subito». «In passato, davvero molti comprendevano ben poco della messa», sottolinea Federico Catani. «Ma oggi? Pressoché tutti sono diplomati o laureati, in tanti bene o male studiano il latino. Mai come ai nostri tempi ci sarebbe il contesto favorevole per una sana e buona formazione liturgica. Concordo con quanto sosteneva il beato cardinale Ildefonso Schuster, grande liturgista: con una buona formazione si potrebbe avere tranquillamente una messa dialogata in latino».

Certo, bisogna abituarsi anche alle movenze. «La cifra della differenza della messa tridentina rispetto a quella postconciliare è il cambiamento di posizione del sacerdote durante la celebrazione», continua don Bux. «Durante l’offertorio e la consacrazione, mai il prete guardava il popolo. Egli doveva essere rivolto ad Orientem, ad Deum. D’altronde, né il Concilio Vaticano II né alcun altro documento successivo hanno prescritto la messa rivolta al popolo. Al popolo si proclamano le letture, ma poi il sacerdote si deve rivolgere al Signore».

Sorge allora una domanda: scoperti i magheggi del precedente pontificato per limitare il rito antico e appurato che i vescovi erano favorevoli a conservarlo, ci sono possibilità che Leone XIV ricucia là dove Francesco ha strappato? Che ripristini la disciplina di Summorum Pontificum?

«Sì, ci sono delle chances», risponde Bux. «Primo, perché in conclave il nuovo Papa ha raccolto le varie istanze dei cardinali. Secondo, perché lui stesso, da vescovo, ha constatato di persona certe dinamiche. Tuttavia, deve muoversi con prudenza: non può rompere drasticamente con Bergoglio. Sembrerebbe che sia intervenuto presso alcuni vescovi del Texas che volevano proibire la messa in latino, prorogando per due anni il permesso di celebrarla. Forse è quello l’orizzonte temporale che si è dato per tornare a consentire entrambe le forme della liturgia. In fondo, Robert Francis Prevost è stato eletto proprio per riparare le fratture». «Prego che il Papa voglia ridare piena libertà e cittadinanza anche ai cosiddetti fedeli tradizionalisti», conclude Catani. «Il futuro della Chiesa è la tradizione, adattata ragionevolmente ai tempi attuali». Appunto: fare nuove tutte le cose.

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