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Ucraina: crimini senza fine

Ucraina: crimini senza fine

Condomini ridotti in cenere con i loro abitanti (oltre 2.600 i morti tra i civili, compresi 217 bambini), prigionieri massacrati. È la contabilità altamente provvisoria del conflitto in Ucraina su cui riflette l’inviato di Panorama, che racconta molti di questi delitti di guerra. Ora sulle responsabilità di entrambe le parti si mobilitano gli esperti internazionali, tra cui una squadra italiana.


Kira ha vissuto in pace solo un mese. Poi è iniziata l’invasione russa e ha passato gran parte della sua breve esistenza in guerra. Il 23 aprile, alle 14.30, quando Iuri Glodan, il papà, andava a fare la spesa per la vigilia della Pasqua ortodossa, la neonata è stata spazzata via da un missile russo precipitato al quarto piano di un condominio popolare alla periferia di Odessa. Assiemea Kira sono morte la mamma, Valeria, e la nonna Liudmila che era nata e cresciuta in Russia a Novosibirsk, la più grande città siberiana. Il sindaco del centro più «italiano» dell’Ucraina, Gennadiy Trukhanov, davanti al palazzo annerito dal fumo, si è scagliato contro Vladimir Putin: «Alle mie spalle quello che gli occupanti chiamano un “obiettivo militare”. Otto persone uccise compresa una bambina di tre mesi. Putin, che tu possa bruciare all’inferno».

Poco prima dell’impatto due missili russi da crociera erano volati sopra la mia testa nel centro di Odessa, con un pauroso rumore di caccia a reazione. Al passaggio del secondo la contraerea ucraina ha reagito con i classici «bang» dei sistemi anti missile.
L’ordigno balistico lanciato dai bombardieri strategici russi «è stato abbattuto dalla contraerea ucraina» conferma una fonte locale. E come successo altre volte a Kiev, precipita sul condomino sfondando quattro piani e scatenando un incendio. Se l’edificio fosse stato un obiettivo, il missile lo avrebbe polverizzato come il palazzo del governatore a Mykolaiv, porta d’ingresso di Odessa. La realtà dei fatti non cambia le responsabilità: Kira è morta per la guerra insensata scatenata il 24 febbraio da Vladimir Putin.

Un conflitto macchiato da crimini senza fine che un rapporto dell’Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) denuncia come «chiari schemi di violazioni del diritto internazionale umanitario da parte delle forze russe nella loro condotta delle ostilità». Anche gli ucraini non vengono del tutto assolti, specie sul trattamento dei prigionieri, ma «le violazioni commesse dalla Federazione Russa sono di natura e portata di gran lunga più ampie». Le cento pagine dell’Osce sono il primo documento sui crimini in Ucraina di un organismo multinazionale, che comprende formalmente anche la Russia. Un’indagine sul campo realizzata dal giorno dell’invasione al primo aprile.

Dopo due mesi di guerra le vittime civili accertate dall’Onu sono 5.718 (2.665 morti e 3.053 feriti) compresi 217 bambini. Un numero per difetto perché mancano dati certi dalle zone occupate come Mariupol, dove i morti civili potrebbero essere oltre 10.000. E foto satellitari hanno individuato probabili fosse comuni. I bombardamenti russi hanno fatto scempio della città, ma i canali filo Mosca mandano in onda ripetute testimonianze di civili che incolpano soprattutto i combattenti ucraini del reggimento Azov di avere usato la gente come scudi umani.

Il procuratore generale dell’Ucraina, Iryna Venediktova, dichiara più di 8.488 crimini di guerra, ma il governo di Kiev si rende conto di aver bisogno di un’inchiesta credibile con esperti internazionali. I francesi stanno arrivano mentre polacchi e slovacchi sono già lì. Anche all’Italia è stato chiesto di intervenire con una decina di esperti. «Ci hanno chiesto specialisti forensi, di balistica, di esplosivi, di analisi dei danni e delle distruzioni: sono in fase di selezione da parte dei ministeri dall’Interno alla Difesa, dalla Giustizia alla Salute» dice una fonte di Panorama. La squadra italiana verrà reclutata nella polizia scientifica, nel Reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri e nell’esercito. In Ucraina potrebbero arrivare a breve e cominciare a operare nella zona nord, attorno a Sumy, che era stata occupata dai russi.

«Migliaia di edifici civili sono stati danneggiati o distrutti» si legge nel rapporto dell’Osce «comprese case, palazzi residenziali, uffici amministrativi, strutture mediche e scolastiche, stazioni idriche e sistemi elettrici, con disastrosi effetti diretti e indiretti sui civili». Anche gli ucraini hanno centrato obiettivi civili nelle autoproclamate repubbliche filo russe di Donetsk e Luhansk, come conferma l’Unhcr, costola dell’Onu per i rifugiati.

Solo nel primo mese di guerra sono state colpite nel Paese 460 scuole, 60 sono andate distrutte, oltre a 46 ospedali. L’Osce ha confermato l’uso di armi proibite come ordigni termobarici e bombe a grappolo lanciate 134 volte nel primo mese di guerra. I russi non si fanno problemi a utilizzare simboli della Croce rossa e degli stessi osservatori dell’Osce sui propri mezzi «per facilitare le operazioni militari». Una fonte occidentale, però, evidenzia che le bombe a grappolo vengono impiegate anche dagli ucraini.

Il rapporto Osce conferma «che i bombardamenti dell’ospedale e del teatro di Mariupol sono attacchi che violano le norme umanitarie internazionali e i responsabili hanno commesso un crimine di guerra». Le «prove» russe della presenza di uomini armati sul tetto dell’ospedale vengono smentite sostenendo che le immagini «rispetto alle foto satellitari non combaciano con nessuno degli edifici nel raggio di un chilometro». Anche sul teatro con 1.300 sfollati «l’attacco aereo “era deliberato (…). La Russia sostiene sia stato fatto saltare in aria dal battaglione ucraino Azov. La missione non ha ottenuto alcuna indicazione in merito». Poi ci sono piccoli centri, come Izyum, Popasna, Rubizhne, sul fronte del Donbass, rasi al suolo al 90%. L’Osce denuncia che «più di 10 milioni di civili sono fuggiti all’interno dell’Ucraina e verso altri Stati».

I prigionieri di guerra sono un buco nero che riguarda anche Kiev. I numeri ufficiali da ambo le parti sono troppo bassi rispetto alle stime dei caduti. Il timore dell’Organizzazione intergovernativa è «che i soldati finiti nella mani del nemico siano detenuti segretamente» o passati per le armi. Oleksandr Sienkevych, sindaco di Mykolaiv, che gira armato e con la scorta, afferma che i primi cittadini «vengono rapiti» da sabotatori o filo russi «per poi ottenere uno scambio di prigionieri con i loro soldati». L’Osce stigmatizza che «il 27 marzo è apparso su internet un video molto inquietante che mostra le forze ucraine mentre sparano alle gambe di prigionieri di guerra russi. (…) Se fosse autentico è un crimine di guerra».

In seguito è apparso un altro video girato dai combattenti ucraini che davano il colpo di grazia a nemici feriti in battaglia. A Popasna, uno dei fronti più caldi, un russo catturato ha raccontato che adesso «l’ordine è non avere più alcuna pietà per i prigionieri ucraini». Il video dei gambizzati è stato girato in una specie di stabilimento bianco all’ingresso di Malaya Rohan, sobborgo di Kharkiv, riconquistato il 28 marzo dagli ucraini.

Due giorni dopo per le strade ci sono ancora i cadaveri russi e i resti dei loro mezzi carbonizzati. Due corpi sono martoriati con proiettili sparati in faccia. Sembrano essere stati trascinati per qualche metro nel cortile di una casa occupata dai russi. All’ingresso c’è il casco di un capocarro e vicino una pozza di sangue. Il tank russo è stato fatto a pezzi. L’impressione è che almeno i due carristi siano sopravvissuti, ma per poco. L’Osce stigmatizza Kiev anche sulle detenzioni di almeno 300 filo russi, che in 45 casi sarebbero «stati maltrattati». Non solo: pure la chiusura di 11 partiti vicini a Mosca, «compresa la Piattaforma dell’opposizione per la Vita, solleva qualche dubbio sulla legalità».

Sui massacri di Bucha, Irpin e altri sobborghi a nord di Kiev, dove sono stati trovati 900 corpi, soprattutto di civili, l’ong Human rights watch ha reso noto il 21 aprile un altro rapporto. Foto, video e testimonianze dei sopravvissuti confermano «16 uccisioni illegali di civili comprese nove esecuzioni sommarie e sette omicidi indiscriminati» da parte dei russi. Serhii Kaplychnyi, responsabile comunale a Bucha delle esequie, ha però spiegato che sono stati i suoi uomini a scavare la famosa fossa comune a fianco della chiesa di Sant’Andrea perché non c’era più posto per seppellire i morti.

Il caso più impressionante, documentato da Human rights watch, riguarda Oleh Abramova, un civile disarmato che il 5 marzo stava spegnendo l’incendio della sua casa bombardata «pregando i russi di non sparare». Quattro soldati di Mosca lo hanno preso e portato dietro il cortile. La moglie Iryna ricorda la frase gelida di un russo: «Oleh non torna più». Dopo ha trovato il corpo del marito «rivolto a terra con il sangue gli colava dall’orecchio. La sua faccia era devastata e materia cerebrale usciva dalla ferita». Cinque metri più in là i soldati russi «guardavano la scena come se fossero stati a teatro».

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