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Ostaggi a Gaza, stallo nei negoziati: l’accordo si blocca sul numero dei prigionieri da liberare

Ostaggi a Gaza, stallo nei negoziati: l’accordo si blocca sul numero dei prigionieri da liberare

Israele e Hamas trattano il rilascio degli ostaggi con la mediazione USA. Netanyahu parla di progressi. In USA, chiesta la pena di morte per l’autore dell’attacco antisemita a Washington

Secondo fonti arabe, nel corso di un’intervista a una rete televisiva egiziana sarebbero attualmente in atto trattative serrate per giungere a un’intesa sul rilascio degli ostaggi trattenuti da Hamas nella Striscia di Gaza. Le informazioni raccolte suggeriscono che i principali nodi della negoziazione riguardano la quantità di ostaggi israeliani – vivi o deceduti – da liberare nella fase iniziale dell’accordo, così come il numero di detenuti palestinesi da scarcerare in cambio. Questi sviluppi si inseriscono in un clima di crescente attenzione internazionale sulla questione degli ostaggi, con il coinvolgimento attivo di esponenti di primo piano dell’amministrazione statunitense. Tra questi figurano Steve Witkoff, inviato speciale del presidente Donald Trump, e Adam Boehler, funzionario incaricato di occuparsi di prigionieri e persone scomparse. Entrambi hanno incontrato nella serata di ieri i familiari degli ostaggi, esprimendo un cauto ottimismo e invitandoli a «sperare in sviluppi nei prossimi due giorni», come riportato inizialmente da «Channel 12 News.

In merito agli stessi negoziati, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha diffuso un videomessaggio nel quale ha riconosciuto i progressi compiuti sia sul fronte del cessate il fuoco, sia sul possibile rilascio degli ostaggi. «Spero davvero che potremo annunciare qualcosa a breve. Se non oggi, domani», ha dichiarato Netanyahu. Tuttavia, una precisazione diffusa successivamente dal suo ufficio ha chiarito che tali parole non erano da intendersi come annuncio imminente. Il comunicato ha infatti specificato che il premier si riferiva agli sforzi ancora in corso per ottenere un accordo, senza che vi fosse una svolta concreta già raggiunta.Nel frattempo, un gruppo di quindici deputati israeliani della Knesset ha inviato una comunicazione ufficiale alla procuratrice generale statunitense Pam Bondi, sollecitandola a richiedere la pena capitale per il responsabile dell’omicidio antisemita di due impiegati dell’ambasciata israeliana, assassinati nei pressi del Museo ebraico, nei dintorni di Washington DC, la scorsa settimana, come riportato dal «Jewish News Syndicate».

La lettera, datata 22 maggio – il giorno successivo alla sparatoria – afferma: «Alla luce della gravità dell’attacco, della sua premeditazione, delle evidenti motivazioni ideologiche e dello status diplomatico delle vittime, riteniamo opportuno che venga richiesto il massimo della pena». Elias Rodriguez, arrestato per il duplice omicidio, è stato formalmente accusato di diversi reati, tra cui omicidio di primo grado, assassinio di rappresentanti stranieri, omicidio aggravato con arma da fuoco e uso illecito di arma durante la commissione di un crimine violento. Secondo una dichiarazione giurata riportata da Fox News, Rodriguez avrebbe confessato di aver agito «in nome della Palestina». Il procuratore distrettuale ad interim, Jeanine Pirro, ha sottolineato che, qualora fosse riconosciuto colpevole, l’imputato potrebbe essere condannato a morte. Le due vittime dell’attacco sono state identificate come Yaron Lischinsky e Sarah Milgrim. Giovedì, «Sky News» ha riferito che Rodriguez era legato a un movimento di estrema sinistra e diffondeva abitualmente contenuti fortemente anti-israeliani. Più passano le ore e più le indagini si concentrano sulla rete di complicità di cui avrebbe goduto l’estremista di sinistra. In particolare, sotto la lente di ingrandimento ci sono i suoi rapporti con il Partito per il Socialismo e la Liberazione (Psl), che però nega ogni coinvolgimento. Il Psl è un gruppo apertamente marxista-leninista e fortemente filo-nordcoreano, che gestisce un gruppo di facciata noto come Answer.

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