Sul campo di battaglia le truppe di Mosca fanno passi avanti nel sud e nell’est dell’Ucraina, mentre la controffensiva degli attaccati si è impantanata. Sugli aiuti occidentali si assiste a un flop per miliardi di dollari dagli Stati Uniti e ai ritardi dei fondi dall’Unione europea. Intanto, a Kiev, si moltiplicano le critiche dei militari contro la strategia del presidente-condottiero. È l’ora più buia per Volodymyr Zelenski.
Il 7 dicembre scorso due inviati speciali ucraini sono volati a Wiesbaden, Germania, quartier generale delle forze armate americane in Europa. Una foto li ritrae con Christopher G. Cavoli, il comandante della Nato e un altro generale statunitense, Antonio A. Aguto Jr., responsabile dell’appoggio Usa all’Ucraina. L’incontro è il primo passo per trovare una nuova strategia nel momento più nero del presidente Volodymyr Zelensky dopo l’invasione russa. Il generale Aguto passerà più tempo a Kiev superando la linea rossa di non avere alti consiglieri americani sul campo. E il prossimo mese a Wiesbaden ufficiali americani e ucraini simuleranno i possibili piani per il 2024. L’obiettivo è resistere ai lenti, ma montanti attacchi russi e cercare di infliggere colpi al nemico nonostante il blocco dei fondi americani e la stanchezza occidentale nell’alimentare una guerra senza fine. Il problema è che gli americani puntano a una strategia conservativa che mantenga le posizioni, ma gli ucraini sognano ancora di riconquistare tutti i territori perduti.
«È il momento nero di Zelensky, ma presto potrebbe andare anche peggio. Ragione e razionalità dovrebbero far capire che bisogna trattare per evitare scenari devastanti» dice Aldo Ferrari, docente universitario a Venezia ed esperto Ispi sull’area. «Si rischia una controffensiva russa già avviata, lenta, ma che potenzialmente potrebbe riservare brutte sorprese e spingersi di nuovo verso Odessa». Per ora Zelensky non vuole sentire parlare di trattative, ma rischia di trovarsi con le spalle al muro di fronte alla stanchezza occidentale, la riduzione degli aiuti militari, le emergenti divisioni interne, lo stallo militare e la guerra scalzata mediaticamente dal conflitto a Gaza. «Gli sviluppi che stiamo preparando per il 2024 ci daranno ottime opportunità: dovranno (i russi) lasciare la nostra Crimea per sempre» è convinto il ministro della Difesa ucraino, Rustem Umjerov. In realtà la situazione sul campo nella migliore delle ipotesi è in fase di stallo, ma da alcune settimane le forze russe stanno attaccando sia sul fronte sud verso Zaporizhzhia che su quello orientale ad Avdiivka, la seconda «Stalingrado» ucraina dopo Bakhmut e Kupiansk. Lo stesso comandante delle forze di terra di Kiev, Oleksandr Syrs’kyj ammette il pericolo: «La situazione operativa sul fronte orientale rimane difficile. Il nemico conduce azioni offensive lungo l’intera linea».
Il 25 novembre, l’esercito russo ha scatenato il più grande attacco di droni contro l’Ucraina dall’inizio dell’invasione, quasi due anni fa. E gli attacchi continuano anche con il lancio di missili da bombardieri strategici Tu-95 dallo spazio aereo russo. In Ucraina secondo il Pentagono circa 315 mila soldati russi sono stati uccisi o feriti. Vladimir Putin ha firmato il 3 dicembre un decreto per aumentare del 15 per cento il numero di effettivi portando le forze armate a 1,3 milioni di uomini. E ha annunciato la candidatura per le presidenziali del 17 marzo 2024. A 71 anni otterrà facilmente il quinto mandato confermandosi come nuovo zar. Il 14 dicembre ha poi rivelato che «le forze armate russe nella zona di combattimento in Ucraina raggruppano 617 mila uomini» aggiungendo che «le armi regalate dall’Occidente (a Kiev, ndr) stanno finendo». L’ex capo di Stato maggiore Vincenzo Camporini spiega che «per le prossime dieci settimane la situazione è congelata, ma sarà difficilissima con l’arrivo della primavera. Continuare ad aiutare massicciamente l’Ucraina per i Paesi europei è un problema di effettiva disponibilità e per gli americani di politica interna. Viste le forze in campo e le difficoltà di approvvigionamento dall’Occidente è impensabile un’altra offensiva».
Con l’inizio dell’autunno gli aiuti militari e finanziari all’Ucraina sono crollati dell’87 per cento. Il Pentagono ha annunciato che i soldi per Kiev stanno finendo e sono rimasti solo 4,8 miliardi di dollari per tutto l’inverno. Per armamenti e soprattutto munizioni gli americani hanno speso in novembre appena 100 milioni di dollari rispetto ai 2,8 miliardi solo a gennaio. Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha lanciato l’allarme sulle forniture di proiettili da 155 millimetri, i più utilizzati dall’artiglieria ucraina. Il generale Pietro Serino, Capo di Stato maggiore dell’esercito, ha ammesso in un convegno del 4 dicembre che «dopo un anno, come Europa, non riusciamo a produrre la metà delle munizioni della Corea del Nord», che rifornisce la Russia. L’Unione europea, trainata dalla Germania e dai Paesi del Nord ha addirittura superato gli Stati Uniti nella fornitura di armamenti pesanti agli ucraini: 11,75 miliardi di euro, contro 10,75.
L’Italia è fanalino di coda con 700 milioni seguita dalla Francia ferma a 500. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha annunciato l’ottavo pacchetto di aiuti militari a Kiev entro fine anno. Sul piatto del Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre c’era un pacchetto i di 50 miliardi di aiuti finanziari e cinque per le forniture belliche, ma soprattutto il cruciale via libera all’ingresso dell’Ucraina nella Ue promessa dal premier Mario Draghi. L’Ungheria di Viktor Orbán si è sempre opposta, seguita alla vigilia del vertice dall’Austria del cancelliere Karl Nehammer. Il premier ungherese, che mantiene buoni rapporti con Putin dipendendo dal gas russo, ha ottenuto lo scongelamento da Bruxelles di 10 dei 12,7 miliardi di euro bloccati per le accuse di deriva autoritaria a Budapest. I repubblicani di Donald Trump, che potrebbe tornare alla Casa Bianca, sono la vera spina nel fianco di Zelensky che è volato nella capitale americana senza riuscire a convincere il Congresso a sbloccare i fondi. Un anno prima era stato accolto come un eroe al Campidoglio e gli Usa avevano staccato un assegno da 50 miliardi di dollari.
«Border first», prima il confine con il Messico da dove entrano fiumi di migranti, è lo slogan dei repubblicani. Il presidente Joe Biden ha proposto per l’Ucraina altri 60 miliardi di dollari sostenendo che «non possiamo lasciar vincere Putin». I membri del Congresso, filo Trump, vogliono legare il nuovo esborso a un consistente investimento sul rafforzamento delle barriere anti immigrazione. «Nel mezzo di una storica crisi di confine (con il Messico, ndr), Zelensky viene a Washington per chiedere al Congresso che si preoccupi più del suo confine che del nostro» è stata la doccia fredda del senatore dell’Ohio J.D. Vance alla vigilia della visita. Secondo i sondaggi quasi la metà della popolazione americana (48 per cenro) pensa che gli Usa stiano spendendo troppo per l’Ucraina. La percentuale sale al 59 fra gli elettori repubblicani.
Le difficoltà internazionali e sul piano militare hanno provocato le prime crepe politiche interne per Zelensky. Lo Stato maggiore ucraino ha diffuso un documento impietoso del capo delle forze armate, Valerij Zalužnyj, che gode di un’ampia popolarità. Il generale ammette la fase di stallo, dopo la propagandata offensiva d’estate, e propone delle soluzioni innovative per evitare una «guerra di trincea come nel 1914-1918». Zelensky all’inizio ha smentito il super generale alimentando le indiscrezioni su uno scontro sempre più acceso fra i due. I militari sono insofferenti rispetto agli interventi del presidente sulle scelte operative. «C’è scoramento per come va la guerra» osserva una fonte occidentale di Panorama. «Mancano uomini. Per il reclutamento si sta passando dai volontari a tutti gli altri con un giro di vite sulle esenzioni».
Poi è intervenuto a gamba tesa il sindaco di Kiev, l’ex pugile Vitalij Klitschko, dichiarando il suo pieno appoggio al generale Zalužnyj, che «ha detto la verità sulla situazione». Il rivale politico di Zelensky ha puntato il dito, in un’intervista al notiziario svizzero 20 Minuten, contro gli «errori» del presidente nella conduzione del Paese in guerra. «Naturalmente possiamo mentire al nostro popolo e ai nostri partner, ma non si può farlo per sempre» ha sottolineato Klitschko. Non solo: si è scagliato anche contro un «crescente autoritarismo» ipotizzando che «a un certo punto non saremo più diversi dalla Russia, dove tutto dipende dal capriccio di un uomo». Critiche pesanti che hanno fatto scalpore come il fermo alla frontiera da parte dell’Sbu, i servizi segreti ucraini, del leader dell’opposizione, l’ex presidente Petro Porošenko, che si stava recando all’estero per convincere il mondo a non dimenticare l’Ucraina. I servizi volevano evitare che si incontrasse con Orbán bollato come «quinta colonna» russa nell’Unione europea. «Oltre alla situazione militare Zelensky è molto preoccupato da quella finanziaria» spiega la fonte a Kiev. «Se dall’Occidente arrivano meno soldi non ci sarà più la liquidità per pagare gli stipendi dell’amministrazione pubblica». In Italia il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha riaffermato che è «giusto continuare a sostenere l’Ucraina». Allo stesso tempo ammette di essere «consapevole della stanchezza che c’è nelle nostre opinioni pubbliche, che nessuno ha mai negato». Da Kiev si fa notare «che ancora nessun esponente di rilievo parla di negoziato, ma potrebbe essere solo una questione di mesi. L’ipotesi probabile è una soluzione coreana». Ovvero congelamento del conflitto come sul celebre 38esimo parallelo. «La pace significa sempre sacrifici e talvolta amputazioni territoriali» aggiunge Aldo Ferrari dell’Ispi. «I russi avrebbero in mano una vittoria di Pirro, ma è ora il momento per arrivare a un armistizio».