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Gaza, la guerra dei numeri e delle immagini: Israele sfida i media, l’Onu e la propaganda di Hamas

Gaza, la guerra dei numeri e delle immagini: Israele sfida i media, l’Onu e la propaganda di Hamas

Non solo bombe e tunnel: il conflitto si combatte anche sul terreno dell’informazione. Un’inchiesta del Guardian accusa Israele di uccidere cinque civili per ogni miliziano. Gerusalemme respinge i dati e lancia un’offensiva diplomatica e mediatica per difendere la propria narrativa.

La guerra a Gaza non si combatte soltanto tra le rovine dei quartieri distrutti o nelle gallerie scavate dai miliziani di Hamas. Un altro fronte, altrettanto decisivo, è quello dell’informazione. Qui, ogni cifra, ogni immagine e ogni parola diventano armi capaci di spostare l’opinione pubblica internazionale. L’ultimo scontro è esploso dopo un’inchiesta del Guardian, condotta in collaborazione con i media indipendenti israeliani +972 Magazine e Local Call. Secondo il quotidiano britannico, un presunto database classificato dell’intelligence militare israeliana indicherebbe che l’83% dei palestinesi uccisi dall’inizio della guerra sarebbe costituito da civili. Una proporzione che, tradotta in termini concreti, significherebbe cinque morti innocenti per ogni combattente eliminato. Un falso clamoroso. Israele ha reagito con fermezza, bollando come «non corretti» i numeri pubblicati e accusando gli autori di mancare di «competenze militari di base». L’IDF ha sottolineato che le proprie valutazioni sono frutto di un lavoro costante di intelligence incrociata, con dati raccolti da fonti diverse e aggiornati di continuo. Secondo le stime ufficiali, i miliziani eliminati sarebbero circa 20.000, cifra che renderebbe impossibile la proporzione di uno a cinque descritta dal Guardian. Per l’esercito, la percentuale di civili tra le vittime resta elevata, ma non raggiunge livelli tali da configurare una strage indiscriminata come quella evocata dalla testata britannica.

Numeri falsi e propaganda propal

Il nodo della questione resta la definizione di «civile». In un conflitto in cui Hamas combatte senza uniforme, utilizza edifici residenziali come depositi di armi e converte scuole e ospedali in centri operativi, la distinzione tra combattente e non combattente è tutt’altro che chiara. Israele accusa i suoi critici di classificare come civili figure legate al movimento islamista, inclusi funzionari dell’apparato politico e amministrativo che, secondo le IDF, svolgono un ruolo diretto nella macchina bellica.Non è la prima volta che Israele denuncia manipolazioni. Durante i precedenti conflitti, i numeri diffusi inizialmente da Hamas sono stati in più occasioni rivisti quando è emerso che tra i caduti c’erano numerosi miliziani registrati come «civili». Lo stesso è accaduto per immagini e video circolati sui social: scene di presunti bombardamenti attribuiti a Israele che provenivano invece da Siria o Yemen, foto di bambini feriti riciclate da teatri di guerra lontani, fino a veri e propri fotomontaggi rilanciati da account vicini alla propaganda palestinese.Per Gerusalemme, si tratta di un meccanismo sistematico: gonfiare i numeri delle vittime civili, diffondere materiale visivo drammatico, e orientare così l’opinione pubblica mondiale contro Israele.La battaglia delle cifre non è soltanto una questione accademica. Le proporzioni tra civili e miliziani uccisi hanno un peso politico e legale enorme: influenzano i rapporti con gli alleati, le discussioni in seno alle Nazioni Unite e i procedimenti aperti presso la Corte penale internazionale. Accettare l’idea che cinque palestinesi su sei siano civili significherebbe, di fatto, condannare Israele come responsabile di un conflitto condotto in violazione del diritto internazionale. Per questo l’IDF difende con forza i propri dati e denuncia come «inventati» quelli diffusi dal Guardian.

L’offensiva mediatica di Gerusalemme

Ma Israele non si limita a smentire. Consapevole della centralità della guerra dell’informazione, ha lanciato un’offensiva diplomatica senza precedenti. Il ministero degli Esteri, guidato da Gideon Saar, ha annunciato l’arrivo entro dicembre di circa 400 delegazioni, per un totale di oltre 5.000 partecipanti tra funzionari governativi, giornalisti, accademici, influencer ed esponenti religiosi. Tutti saranno coinvolti in programmi mirati a promuovere la narrativa israeliana, mostrare le difficoltà di combattere un nemico che si nasconde tra i civili e smascherare la propaganda di Hamas. L’obiettivo dichiarato è duplice: informare correttamente l’opinione pubblica internazionale e consolidare un fronte di sostegno politico in un momento che il governo definisce cruciale.Questa iniziativa riflette la convinzione che il campo di battaglia non sia più soltanto quello fisico, ma anche quello delle percezioni. I numeri e le immagini, oggi, possono contare quanto le armi. Hamas ha fatto della guerra psicologica uno dei suoi strumenti principali: trasformare ogni vittima in un’accusa, ogni immagine in un atto di accusa internazionale, ogni video in un appello emotivo che supera i dati militari. Israele risponde puntando sulla diplomazia e sull’uso mirato dei propri canali di comunicazione, deciso a non lasciare che siano i suoi nemici a scrivere la narrazione del conflitto.

A Gaza mercati pieni di persone e scaffali riforniti di generi alimentari

Sempre a proposito di notizie false il coordinatore delle attività governative nei territori (COGAT), generale di divisione Ghassan Alian, ha diffuso giovedì un video sull’account ufficiale X dell’unità, in lingua inglese e rivolto alla comunità internazionale. Nel filmato compaiono immagini tratte dai social media della Striscia di Gaza che mostrano mercati pieni di persone e scaffali riforniti di generi alimentari. La diffusione del video arriva dopo i recenti rapporti e le dichiarazioni di Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali che hanno denunciato una situazione di carestia nella Striscia. Secondo il Ministero della Difesa israeliano, tali affermazioni fanno parte della cosiddetta «campagna della fame» orchestrata da Hamas.Affrontando il tema, il Maggior Generale Alian ha dichiarato: «Di fronte alla campagna ingannevole di Hamas sulla presunta carestia, è allarmante constatare che le Nazioni Unite e alcune organizzazioni internazionali continuino a diffondere notizie prive di fondamento. Israele permette costantemente l’ingresso nella Striscia di ingenti quantità di viveri, medicinali e aiuti umanitari, mentre le organizzazioni umanitarie scelgono di amplificare la propaganda di un gruppo terroristico che utilizza i civili come scudi per garantirsi la sopravvivenza». Alian ha poi aggiunto: «Invece di limitarsi a diffondere rapporti politicizzati e fuorvianti, le Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali dovrebbero concentrare i propri sforzi nell’assicurare un sostegno concreto ai residenti, evitando di alimentare narrazioni false che avvantaggiano il terrorismo».Concludendo il suo intervento, l’alto ufficiale ha rivolto un appello: «Le Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali devono agire con serietà professionale, collaborando con Israele e con gli altri attori internazionali, affinché gli aiuti raggiungano davvero la popolazione civile e non Hamas». In questo scenario, la guerra dei numeri e delle immagini diventa parte integrante della strategia, e Israele appare determinato a combatterla con la stessa energia con cui affronta i miliziani nelle strade e nei tunnel di Gaza.

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