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Esclusivo – Assassini per hobby: «Così ci proposero di sparare ai bambini di Sarajevo»

Esclusivo – Assassini per hobby: «Così ci proposero di sparare ai bambini di Sarajevo»

C’era un tariffario dei “safari a Sarajevo” quando, durante l’assedio, si offriva ad appassionati di armi di colpire la popolazione inerme. Lo conferma a Panorama un testimone oculare. Ecco, in esclusiva, la sua storia.

Quando ho sentito le prime notizie in tv sui cecchini di Sarajevo mi è subito tornato in mente un episodio di 30 anni fa, racconta a Panorama, Roberto Ruzzier. «Ai tempi dell’assedio della città facevo parte di un gruppo soft air nato nel capoluogo giuliano», spiega il triestino che oggi ha 72 anni. Simulazioni di guerra con armi finte a pallini, che hanno preso piede con tanto di campionati nazionali. Alle porte di casa stava esplodendo la Jugoslavia.

«Eravamo agli albori di Internet e un paio del gruppo cominciavano a smanettare», ricorda ancora Ruzzier. «Uno dei due, che chiamavamo Rollo, ma non ricordo il cognome, scopre che girava un’“offerta” per andare a Sarajevo a sparare come cecchini”. Nel pacchetto si specificava che veniva fornito un fucile di precisione e alcuni colpi, tre se non ricordo male, per un prezzo esorbitante di un paio di milioni di lire».

La segnalazione alla Questura

Ruzzier spiega a Panorama che «ne abbiamo parlato nel gruppo, decidendo di andare a raccontare tutto in Questura». Doveva essere fra il 1993 e 1995. La Digos conferma «che c’è traccia» della segnalazione, ma non si è mai arrivati a una notizia di reato. Il fascicolo è andato probabilmente al macero, come da normale procedura dopo tanti anni.

Oggi quella storia è tornata d’attualità. Il 15 ottobre il pm della Procura di Milano, Alessandro Gobbi, ha dato mandato al Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri di indagare sui “safari” a Sarajevo. L’ipotesi di reato è pesantissima: omicidio plurimo aggravato dai motivi abietti e dalla crudeltà.

I “turisti della morte”

Nell’esposto di gennaio dello scrittore milanese Ezio Gavazzeni si parla anche di turisti della morte italiani. Panorama ha ricostruito fra Bosnia, Slovenia e Italia questa turpe storia con luci, ombre e risvolti politici balcanici.

L’oggetto dell’esposto parla chiaro: «Durante l’assedio di Sarajevo ricchi stranieri hanno pagato per (…) sparare alle persone (…) durante la guerra del 1992-96 (….). In una testimonianza è riportato che tra questi ci fossero degli italiani: un uomo di Torino, uno di Milano e l’ultimo di Trieste».

Il caso è esploso sui media di mezzo mondo e Gavazzeni dichiara a Panorama: «Sono in silenzio stampa, ma la fuga di notizie riguarda il 15 per cento di quello che abbiamo trovato».

Le informative dei servizi

Michael Giffoni era il vicecapo della delegazione diplomatica speciale a Sarajevo, che aveva aperto i battenti nell’aprile 1994, in pieno assedio, sotto il tiro costante dei cecchini e le granate che piombavano dalle posizioni serbe sulle colline e dal quartiere di Grbavica.

«Le voci sui “safari” c’erano già prima del nostro arrivo nella fossa di Sarajevo. Ai funzionari del Sismi arrivò un’informativa dell’intelligence bosniaca, che parlava di italiani fra i cecchini a pagamento», racconta Giffoni.

La testimonianza dell’intelligence bosniaca

Panorama ha contattato Edin Subašic, 62 anni, uno dei testimoni indicato nell’esposto di Gavazzeni, che durante la guerra era ufficiale dell’intelligence militare del 2° corpo dell’esercito bosniaco. «A fine novembre 1993 sono stato assegnato dal generale Mustafa Hajrulahovic per valutare le informazioni degli interrogatori dei combattenti nemici catturati».

Un volontario serbo di 20 anni, fatto prigioniero vicino a Sarajevo, «conferma la presenza di stranieri sul campo di battaglia». Subašic ricorda che il giovane «descrive cinque italiani tra i volontari e i mercenari a Grbavica. Uomini ricchi che pagavano per sparare ai musulmani. Uno era un cacciatore di Milano che considerava il viaggio un hobby».

Secondo i bosniaci partivano dall’Italia in aereo, atterravano in Ungheria e proseguivano via terra verso Belgrado, poi Pale. «Esisteva un macabro listino prezzi in marchi tedeschi con tariffe per ogni bersaglio: adulti, donne, bambini, donne incinte o soldati. I prezzi più alti erano per i bambini».

Il ruolo di Trieste

Subašic riferisce al generale Hajrulahovic, detto “Talijan”, che informa il Sismi. «Abbiamo bloccato tutto e non ci saranno più safari», ricorda. «I viaggi erano stati fermati in 2-3 mesi tramite il monitoraggio a Trieste».

Il capoluogo giuliano era indicato, assieme a Vienna e a una località in Svizzera, come punto di arruolamento della diaspora serba, spiega Giffoni. «La segnalazione è stata presa in carico e abbiamo bloccato il traffico».

Dubbi, documentari e nuove accuse

Nel 1995 la Digos indaga, ma senza risultati. Oggi i servizi non trovano riscontro sulle precise informative bosniache. Intanto resta l’immagine di Sarajevo sotto tiro, con gli striscioni “Pazi snajper” lungo il viale dei cecchini.

La prima denuncia pubblica riemerge nel 2022 con il documentario Sarajevo Safari di Miran Zupanic. Tra i testimoni anche una ex spia slovena, nome in codice “Biscotto”, che parla di stranieri trattati come Vip perché paganti.

Ora l’apertura dell’inchiesta a Milano ha riacceso il caso. Spunta anche una denuncia del giornalista croato Domagoj Margetic contro il presidente serbo Aleksandar Vucic, accusato di aver partecipato alla “caccia umana”. Vucic ha smentito seccamente: «Mai nella vita ho fatto il cecchino». Ma avrebbe aderito all’unità cetnica che operava dal cimitero ebraico sopra Sarajevo.

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