La notizia è come una calante scure per le ambizioni della Commissione europea: la BCE ha deciso di rifiutare di fungere da garante per un prestito da 140 miliardi di euro destinato all’Ucraina, che avrebbe dovuto essere garantito con gli asset russi bloccati presso il depositario titoli europeo Euroclear Bank.
Fonti vicine alla decisione spiegano che la banca centrale ritiene che l’operazione violerebbe il suo mandato istituzionale: la BCE non può assumere impegni che si configurino come “finanziamento monetario” degli Stati, né rischi di natura sovrana in forma di garanzia per debiti dei governi.
Le ragioni del diniego: mandato, legittimità, incognite
La ferma decisione della BCE non è una mera sottigliezza tecnica: tocca il cuore della sua funzione.
In particolare nelle seguenti sfaccettature.
Il mandato statutario proibisce alla BCE di finanziare direttamente o indirettamente, mediante garanzie, spese pubbliche o debiti sovrani, per evitare pericolose derive inflazionistiche e preservare l’indipendenza monetaria.
L’uso di asset congelati appartenenti a una banca centrale straniera (quella russa) come collaterale per prestiti a un governo terzo (Ucraina) avrebbe implicazioni giuridiche incerte se non catastrofiche, soprattutto in caso di contenziosi o modifiche delle sanzioni.
Inoltre, anche a livello politico e finanziario, una simile operazione sarebbe vista come un precedente molto pericoloso: trasformerebbe, come abbiamo detto, i beni congelati (sanzioni) in leva finanziaria per debiti sovrani, un meccanismo che, se messo in moto, rischia di minare la fiducia e la stabilità dei mercati europei. Questo comprometterebbe non di poco la possibilità di attrarre investitori e capitali esteri nella eurozona.
Gli esiti per Bruxelles e per l’Ucraina
Il rifiuto della BCE mette in forte crisi il piano europeo di “prestito-risarcimento”: senza il sigillo della banca centrale, la capacità di raccogliere i 140 miliardi si fa improvvisamente molto incerta, se non nulla.
Il fallimento del piano obbliga la Commissione e gli Stati membri a cercare alternative, probabilmente più costose o più controverse, per continuare a sostenere finanziariamente Kiev.
Sul piano geopolitico, il no rilancia il dibattito su come finanziare la ricostruzione e il supporto all’Ucraina senza compromettere la credibilità delle istituzioni dell’Unione.
A livello istituzionale, la mossa rafforza la distinzione tra fiscalità (governi) e moneta (BCE), riaffermando che anche in tempi di guerra e crisi la banca centrale non può diventare “cassaforte politica”
I rischi impliciti di offrire garanzie centrali
La tentazione di usare la BCE come garante era forte: la sua firma avrebbe abbassato i costi di finanziamento del prestito e rassicurato i mercati. Però gli analisti continuano a sostenere che l’accettare tale piano avrebbe comportato diversi scenari azzardati.
Tra i quali possiamo riportare:
l’evoluzione della BCE da guardiano dell’euro in prestatore sovrano, un salto di funzione istituzionale difficilmente reversibile;
esporre l’istituzione a rischi di rimborso complessi, specialmente se le sanzioni sulla Russia venissero rimosse, o in caso di contenzioso legale internazionale;
la nascita di un precedente per altri paesi o altre crisi, indebolendo la separazione tra politica fiscale e politica monetaria.
In breve: si sarebbe rischiata una svalutazione del ruolo e della credibilità dell’eurozona nel suo complesso.
Cosa succede e che realtà si prospettano
Con la ferma posizione della BCE, l’Unione Europea deve ora ripensare la strategia: alcune opzioni realistiche includono emissioni di debito congiunto, garanzie statali collettive, o affidamento a istituzioni private/internazionali.
Tuttavia, il costo politico e finanziario cresce e il rischio di frammentazione delle responsabilità (tra Stati membri, commissione, istituti privati) diventa concreto.
Per l’Ucraina, infine, il rinvio aumenta la pressione e la celerità di trovare una soluzione: la guerra richiede finanziamenti urgenti e ingenti. Se il prestito non trovasse una via d’uscita, Kiev potrebbe vivere un inverno molto difficile, con conseguenze umanitarie, geopolitiche e belliche rilevanti.
Una, non tanto sottile, linea rossa che divide moneta e politica
Il rigetto della proposta della BCE non è un gesto ostile né dettato dall’ignavia, bensì una sentinella: ricorda che l’architettura europea, soprattutto in tema monetario, poggia su equilibri di rigore, credibilità e separazione fra poteri.
Usare la banca centrale come “cassa di garanzia” per decisioni politiche e di spesa è pericoloso e metterebbe in discussione la fiducia nell’economia dell’eurozona. Il “no” di Francoforte invita quindi a riflettere su cosa significhi davvero sostenere un’Europa unita: non solo con le parole, ma con regole che resistano anche durante i peggiori imprevisti ed eventi.
