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Venezuela-Italia: i retroscena dell’affare coltan

Venezuela-Italia: i retroscena dell’affare coltan

  • L’inchiesta sul minerale di Maduro
  • Capitalismo alla cubana

L’inchiesta di Panorama sull’oro blu diretto a Trieste ha messo in luce appoggi politici e legami col regime di Nicolás Maduro e ha dato spunto per un’interrogazione parlamentare a Giuseppe Conte. La vicenda però ha anche risvolti internazionali.


I nomi della delegazione venezuelana arrivata a Trieste per dare via libera all’importazione di coltan in Italia. Gli uomini del figlio del presidente Nicolás Maduro finiti il 23 luglio nella lista nera delle sanzioni americane per lo sfruttamento delle risorse minerarie del Venezuela. E l’interrogazione parlamentare al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, «sul trasporto di coltan verso l’Italia» con la richiesta che venga «fatta luce sui legami tra il Movimento 5 stelle e il regime di Maduro».

Panorama agli inizi di luglio ha raccontato la storia dell’esportazione del minerale del futuro dal Paese sudamericano, con risvolti internazionali e le denunce dell’opposizione, a cominciare dal deputato in esilio Américo de Grazia, che sostiene: «Il regime di Maduro vuole arricchirsi con il coltan del Venezuela». Dall’oro blu si ricava il tantalio, metallo chiave per cellulari, computer, industria aerospaziale e armamenti. E la República Bolivariana avrebbe più di 100 miliardi di dollari di riserve del prezioso minerale.

La parte della storia che riguarda il nostro Paese ha una data chiave: il 10 maggio 2018, quando Maduro annunciava l’invio «della prima esportazione del coltan dal Venezuela verso l’Italia». Un mese e mezzo prima atterrava a Venezia una mini delegazione venezuelana per proseguire verso Trieste, dove l’imprenditore Francisco Blasini voleva importare il coltan. Il progetto era ambizioso e prevedeva anche la lavorazione e la produzione di microchip. La delegazione doveva dare il via libera certificando l’esportazione, e dal 21 al 24 marzo si fermò a Trieste.

Oggi Blasini non vuole parlare della vicenda, ma si limita a sottolineare che era «un affare legale, alla luce del sole, che poteva portare 7 milioni di euro di coltan al mese a Trieste nel giro di tre anni». Panorama ha scoperto chi sono i tre venezuelani che alloggiavano al Savoia Excelsior Palace, un lussuoso hotel sul lungomare. Il più alto in grado era il viceministro delle miniere. Nel marzo 2018 risultava in carica Nelson Hernandez, sostituito a giugno. Adesso lavora nel settore sanitario mantenendo un basso profilo.

Della delegazione faceva parte anche un giovane imprenditore, Daniel Calles, vicino al regime che ha aziende e proprietà in Florida, Argentina, Panama, Spagna, Repubblica Dominicana nel settore immobiliare. Il terzo personaggio, forse il più interessante, era Higinio Alfredo Benítez Mendoza, allora a capo dell’Ufficio nazionale di Controllo e Ispezione Mineraria. In pratica, un procuratore ispettivo sul cosiddetto Arco Minero, che doveva vigilare sulla cassaforte mineraria del Venezuela dove si estraggono oro, diamanti e coltan.

Benitez Mendoza, dopo la missione in Italia e il semaforo verde all’esportazione del coltan di Maduro, veniva ripreso in un video propagandistico dell’11 maggio 2018. Assieme a due ministri, Victor Cano per le miniere e José Gregorio Vielma Mora del Commercio estero, che annunciavano con orgoglio il carico di «cinque tonnellate di coltan verso la città portuale di Trieste».
In giugno Benitez Mendoza lanciava l’operazione anticorruzione «Manos de Metal» contro il contrabbando d’oro. Però pestava i piedi agli amici di Nicolasito e Tareck El Aissami, potente uomo del regime, oggi ministro del Petrolio nel mirino degli Usa.

Dopo neanche tre mesi il procuratore generale del Venezuela, Tarek Saab, ha estromesso Benitez Mendoza accusandolo proprio di contrabbando d’oro. Una specie di regolamento di conti legato ai grandi appetiti minerari, che metteva fuori gioco il membro della delegazione giunto a Trieste. Non è chiaro se oggi sia all’estero o ancora in Venezuela, ma su Twitter si proclama sempre «chavista e rivoluzionario».

Dopo l’annuncio di Maduro, ci sono voluti 10 mesi per far arrivare il primo carico pilota di coltan a Trieste. Un container con cinque tonnellate del minerale dal valore di 300 mila dollari, partito dal Venezuela con scalo a Cartagena, in Colombia, e sbarco a Genova. Poi il carico è proseguito su tir fino al porto giuliano, arrivando il 18 marzo 2019. La Guardia di Finanza lo ha sequestrato per un’ipotesi di reato relativo ad autorizzazioni, etichettature e stoccaggio dell’oro blu, che ha una dose di radioattività naturale. Oggi l’istruttoria è chiusa, ma la Procura deciderà sull’esito finale del caso a settembre. Il coltan, dissequestrato, è ora in un magazzino di Milano.

Il progetto di esportazione in Europa lanciata dal governo venezuelano, alla disperata ricerca di risorse dopo il crollo del prezzo del petrolio e a causa delle sanzioni americane, è saltata definitivamente. De Grazia e un ex diplomatico in Venezuela sono convinti che gli americani «monitoravano qualsiasi spedizione di coltan». Del resto, tre mesi dopo il sequestro a Trieste del 2019, il figlio di Maduro, Nicolás Maduro Guerra chiamato familiarmente Nicolasito, veniva inserito dagli americani nella lista Ofac delle sanzioni. Gli Stati Uniti lo hanno accusato «di avere approfittato delle miniere venezuelane, assieme a Maduro e sua moglie Cilia Flores». De Grazia denuncia che per l’Italia «il coltan proveniva dalle miniere di Parguaza. Il figlio di Maduro ne gestisce lo sfruttamento attraverso una società di copertura».

Il 23 luglio scorso gli americani inseriscono nella lista nera dell’Ofac anche i fratelli Santiago Jose Morón Hernandez e Ricardo Jose Morón Hernandez «per il loro sostegno alla corruzione del regime illegittimo di Maduro». Il dipartimento del Tesoro Usa sostiene che i fratelli sono i «testaferros» del figlio di Maduro: «Trattano affari a suo nome». Punta il dito contro «illecite vendite di oro», ma i fratelli sono anche coinvolti nello sfruttamento del coltan. Il ministro degli Esteri venezuelano, Jorge Arreaza, bolla le sanzioni come «arbitrarie» e imposte grazie «a narrazioni fittizie».

Nel 2018, prima del via libera all’esportazione legale di coltan verso Trieste, Santiago Jose Morón Hernandez presentandosi come «rappresentante dello Stato» prendeva il controllo dell’importante società Emmepsa, denunciando irregolarità nella gestione e sfruttamento del minerale. Un tassello di come Nicolasito e la sua cerchia di operatori e prestanome controllano gran parte dell’estrazione di oro e coltan del Venezuela.

Il carico pilota giunto a Trieste è un’altra storia, ma suona strano che l’ambasciata venezuelana risponda a Panorama che «non era a conoscenza, né è stata coinvolta nell’iniziativa privata» sottolineando di non sapere nulla della delegazione del 2018. Nonostante sia stato lo stesso Maduro ad annunciare il via libera in tv del coltan verso l’Italia. In realtà l’ex ambasciatore Isaia Rodriguez era al corrente di cosa è accaduto a Trieste.

Per fare chiarezza, il deputato di Fratelli d’Italia Walter Rizzetto ha depositato il 6 luglio un’interrogazione al presidente del Consiglio dopo avere letto l’inchiesta di Panorama «sull’oro blu di Maduro arrivato anche in Italia». Secondo il parlamentare «va fatta luce sui legami tra il Movimento 5 stelle e il regime di Maduro, anche considerando le recenti inchieste relative a finanziamenti provenienti dal Venezuela alla Casaleggio Associati», sempre bollate come false dai grillini.

Rizzetto, però, chiede «quali siano gli orientamenti e i fatti di cui è a conoscenza il governo sul trasporto di coltan verso l’Italia gestito da Maduro». E «se intenda chiarire la posizione del governo nei confronti di Maduro, anche rispetto allo sfruttamento di coltan». Nel frattempo l’oro blu continua a venire contrabbandato illegalmente dal Venezuela via Brasile e Caraibi.

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