Cultura e turismo sono settori in coma. Per la pandemia, certo. Ma anche per colpa di voucher inservibili, fondi inadeguati, decreti che non risolvono i problemi. E i burocratici «ristori» assomigliano più a inutili mance.
La cultura e il turismo non mangiano più. Dopo anni di ironie su una battuta dell’ex ministro Giulio Tremonti, il centrosinistra si ritrova a condannare due settori alla sofferenza. Certo, l’emergenza Covid-19 incide. Eccome. «Chi protesta non capisce la gravità della situazione» ha tuonato il ministro Dario Franceschini, respingendo gli attacchi lanciati dalla stragrande maggioranza degli operatori del settore.
Di mezzo non c’è solo la pandemia. C’entrano anche i fondi del ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo (Mibact), talvolta impantanati. Ci sono sulla carta, ma non sono del tutto utilizzati. Spesso per progetti poco apprezzati dagli italiani. L’esempio più significativo è quello del bonus Vacanze, presentato per l’estate come lo strumento salva-turismo. Proprio in questi giorni è stato prorogato nel recente decreto Ristori oltre il 31 dicembre. Ma i risultati non sono quelli di un successo. Anzi.
Stando ai dati forniti dal ministero dell’Innovazione di Paola Pisano, sono stati generati più di un milione e 650.000 voucher, di cui ne sono stati utilizzati circa 730.000. In termini economici il naufragio dell’iniziativa è ancora più evidente: di fronte a uno stanziamento di 2,4 miliardi di euro, il giro di affari generato è meno di un terzo. Il totale di movimentazione ammonta infatti a meno di 750 milioni. Il tutto mentre i dati aggiornati quotidianamente indicano che vengono emessi a malapena un migliaio di voucher al giorno. In una curva sempre già discendente.
Ma non c’è solo il bonus Vacanze che si aggira come un fantasma. All’appello mancano ancora centinaia di milioni di euro, bloccati nel rimpallo di competenze. Eppure sarebbero ossigeno per aziende e lavoratori allo stremo. «Sono stati emanati diversi decreti ministeriali a sostegno degli operatori dei vari settori dello spettacolo dal vivi» si è difesa la sottosegretaria ai Beni culturali, Anna Maria Orrico, in Commissione cultura alla Camera, rispondendo all’interrogazione presentata dal deputato di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone.
Il Mibact riferisce, tra le altre cose, di aver destinato 20 milioni di euro al Fondo emergenze con una successiva integrazione di oltre 6 milioni. «Al netto delle norme di legge immediatamente applicative» ha concluso Orrico «sono stati già adottati 20 decreti più due in fase di firma/concerto e una convenzione in attuazione di norme a sostegno del settore della cultura».
Tra i provvedimenti in attesa di soluzione, figura tuttavia il Fondo cultura, fortemente voluto da Franceschini e introdotto dal decreto Rilancio per «promuovere investimenti in favore del patrimonio culturale materiale e immateriale». Ecco, i 100 milioni previsti sono incagliati al ministero dell’Economia e delle finanze che deve pronunciarsi.
Stesso destino per il «fondo turismo per l’acquisto, ristrutturazione e valorizzazione di immobili per attività turistico-ricettive»: 150 milioni di euro per rimettere a posto gli hotel, rendendoli più appetibili. Sarebbero preziosi per dare respiro a un settore asfissiato, ma potrebbero non bastare.
«La situazione è drammatica» sottolinea il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca. «Un anno fa parlavamo dell’esigenza di dirottare turisti dalle città d’arte verso altre mete. Oggi, prima dell’ultimo Dpcm, l’occupazione del settore alberghiero nelle città d’arte si aggira intorno al 15% rispetto a febbraio 2019. E andrà anche peggio».
L’ultimo colpo è arrivato con il tanto celebrato decreto Ristori: si prevede un finanziamento massimo di 150 mila euro per le strutture recettive in crisi. «Il problema è che non si è considerato il singolo hotel ma l’azienda. E dunque le catene potranno chiedere solo quel massimo di 150.000 euro» conclude Bocca. «Si capisce che per chi fattura 20/30 milioni di euro all’anno, quello non è un ristoro, ma una mancia inutile».
Il risultato: «È stato ammazzato definitivamente un malato grave che stava cercando di rialzarsi». Immagine cruda che, tuttavia, trova ennesimo conforto nei numeri: gli ultimi provvedimenti consentono stanziamenti pari a 550 milioni, per un settore che secondo gli ultimi dati Istat tra strutture recettive, ristorazione, attività culturali, sportive e ricreative, vale 139 miliardi.
Identica situazione, non a caso, vive il mondo della cultura. Si attendono novità dal Mibact per i 60 milioni necessari a sostenere artisti, interpreti ed esecutori. Mentre gli organismi dello spettacolo attendono l’ulteriore 20 per cento da ricevere dopo l’anticipo dell’80 per cento di luglio. Dalla Manovra 2020, secondo l’Ufficio per l’attuazione del programma, si attende l’istituzione del «Fondo per il recupero di immobili statali di interesse storico e culturale in stato di abbandono e la riqualificazione delle aree industriali dismesse ove insistano manufatti architettonici di interesse storico». La dotazione iniziale è di un milione di euro ogni anno, dal 2020 al 2022.
Nella lista di attesa ci anche sono provvedimenti in dirittura d’arrivo, seppure in ritardo, come i due milioni stanziati nella scorsa Legge di Bilancio per i piccoli musei. Una misura che, peraltro, prevede lavori di abbattimento delle barriere architettoniche. Magra consolazione, considerando che gli ultimi Dpcm hanno comunque decretato la chiusura dei luoghi di cultura.
Tutto questo, come spiega Rosanna Carrieri, storica dell’arte e attivista dell’associazione «Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali», ha dei costi, sociali e culturali: «Sono servizi che vengono meno, in un momento di grande difficoltà. Ciò che emerge dagli ultimi provvedimenti è la concezione di un modello sociale in cui quello che conta sono produzione e profitto, relegando la cultura a svago, tempo libero, screditanto un settore essenziale per il vivere civile».
E senza tener conto chi lavora di cultura: al di là di bonus e cassa integrazione, «ci sono ampie categorie che non hanno ricevuto nulla e si trovano da mesi senza lavoro e né reddito: lavoratori con contratti a chiamata nei musei, tirocinanti, chi ha un contratto in scadenza in primavera. Non hanno visto alcun rinnovo». Una questione è certa, conclude Carrieri: «È stato fatto troppo poco, e molti stanno rimanendo indietro».
