Aerospazio, in arrivo l’onda lunga della crisi, ma ci sarebbe tanto lavoro da fare: aeroporti, tecnologia, spazio e droni.
In Italia a lavorare per le industrie aeronautiche, spaziali e della Difesa sono circa 60.000 persone. Dal personale di Leonardo e delle società fornitrici, fino ai costruttori di piccoli aerei e di componenti, dalle viti speciali alle eliche, dalla strumentazione agli interni. Così nonostante Donald Trump ed Emmanuel Macron abbiano cercato di aiutare da subito colossi come Boeing negli Usa e Airbus in Europa (ma anche nel resto del mondo, e nonostante questo ci sono decine di migliaia di tagli), come ci si aspettava ecco l’onda lunga della pandemia colpire anche il comparto «aereo» italiano.
Perché se durante la fase acuta soprattutto chi lavorava per la Difesa non si è mai fermato, ora che le compagnie aeree agonizzano e i costruttori hanno ridotto le consegne, chi produce parti non riceve più ordini e quindi va in crisi. E siccome in Italia il volume maggiore dell’aerospazio è costituito da Leonardo e dal suo indotto, ecco che il pericolo di licenziamenti di massa si fa concreto.
La nostra ex Finmeccanica, insieme con Airbus, è parte della Atr, l’azienda che costruisce turboelica per il trasporto regionale, e al di la delle Alpi hanno ovviamente dovuto rimodulare i ritmi di costruzione perché, semplicemente, anche le compagnie aeree loro clienti non intendono ritirare aeromobili ordinati in epoca pre Covid, aerei che ora rimarrebbero fermi sui piazzali. Per prevenire un possibile disastro, soprattutto nelle aziende del Sud, dove si «batte lamiera» e «laminano compositi» per Boeing e Atr, e dove comunque risiedono una ventina di realtà importanti per l’aviazione mondiale, il segretario della Fim Cisl Roberto Benaglia ha acceso un faro proprio su una delle aziende in pericolo, la Dema di Somma Vesuviana che impiega 338 persone. Si terrà a proposito un incontro al ministero del lavoro, intanto i lavoratori hanno proclamato lo sciopero.
E potrebbe essere un problema anche per gli stabilimenti di Grottaglie dove si fanno parti della fusoliera del B-787 Dreamliner, la cui produzione oggi è rallentata quasi al 30%. Qualche decina di aziende aerospaziali italiane fino a pochi mesi fa avevano ottimi contratti in essere con realtà cinesi grazie all’accordo firmato del 2015 per lo sviluppo aerospaziale congiunto (valore sette miliardi di euro), ma il Covid ha comportato il quasi completo rallentamento del flusso di denaro che dai colossi aeronautici di Pechino (Avic, Comac, Dahua, eccetera) arrivava ai fornitori italiani.
Fatta relativamente salva la Difesa, che conta su forniture e sviluppo continuativi, e ammessi anche i salvataggi pubblici ben mascherati come i 900 milioni di euro di contratti con Piaggio Aerospace per rinnovare alcune flotte pubbliche e per rendere più attraente impolpare il portafoglio dell’azienda (in questi giorni sono cominciate le visite dei potenziali clienti nello stabilimento di Villanova d’Albenga), resta il fatto che ci sarebbe tantissimo da fare nel comparto aerospaziale. Ma ben venga se salviamo il lavoro.
Come uscirne? Questa è l’occasione di rimetterci a progettare e costruire nuovi aeroplani per anticipare le esigenze del prossimo mercato, quando lo spazio dentro le cabine dovrà essere maggiore e le emissioni nocive in atmosfera inferiori. Leonardo, con o senza Atr, potrebbe accelerare il progetto per il nuovo aeroplano regionale previsto per il 2035, mentre parte delle aziende potrebbero dare una mano a chi ha molto lavoro come il comparto spaziale. Industria che vede un calendario di lanci in orbita molto fitto e una continua richiesta di nuovi progetti, come mostra il portale dedicato ai bandi e alle gare dell’Agenzia spaziale europea (Esa).
Sul piano delle infrastrutture abbiamo una rete di aeroporti minori da rinnovare completamente (molti presentano ancora edifici pre bellici), ci sono ancora zone dei nostri spazi aerei non completamente coperte dai servizi di controllo a causa dell’orografia complessa. Possiamo accelerare nello sviluppo del traffico dei droni cargo, c’è da riorganizzare la formazione dei tecnici (siamo l’unica nazione europea nella quale non esiste più il perito aeronautico che esca dalle scuole superiori già con la licenza europea di manutentore).
Ma soprattutto dobbiamo ricostruire completamente l’aviazione generale, ovvero la base sulla quale si forma quella commerciale. Il lavoro, inteso come cose da fare, dunque non mancherebbe, ma si aspetta sempre troppo un’Europa nella quale gli altri sanno essere un po’ più patrioti di noi. E se poi chi dovrebbe occuparsene evidentemente non ha mai frequentato neppure un campo di aeromodellismo, diventa davvero impossibile.
