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Troppi costi e spazzatura spaziale, servono satelliti riciclabili

Troppi costi e spazzatura spaziale, servono satelliti riciclabili

Troppa spazzatura spaziale, spreco di elementi nobili e costi esagerati. Servono i satelliti riciclabili, con materiali da recuperare o trasformare. Avete idee? Le agenzie spaziali di Europa e Usa ne cercano di nuove. In fretta.

Una delle caratteristiche dell’industria spaziale è poco importa quanto scrupolosamente scegliamo i materiali per costruire i satelliti, con quale altissima tecnologia li lavoriamo, né quanto valgano al chilo, una volta che una missione è finita ciò che resta in orbita, o talvolta brucia nell’atmosfera ricadendo sulla Terra, è soltanto spazzatura. E di questa spazzatura ce n’è fin troppa disseminata nelle orbite, specialmente quelle geostazionarie (che cambiano in funzione di massa e velocità dei satelliti stessi), tanto che la Nasa e non soltanto le devono costantemente tenere sotto controllo. Inoltre, alcune società americane e inglesi propongono il recupero dei corpi ormai inutilizzati che restano in eterna caduta lassù ma si tratta comunque di mandare altra roba che faccia il lavoro per noi.

L’idea ora è invece quella che vedrebbe la possibilità di riciclarli per missioni future, magari come materiale da costruzione, combustibile o addirittura… cibo! Nell’ambito della sua iniziativa Clean Space (Spazio pulito), l’Agenzia Spaziale Europea è quindi alla ricerca di nuove idee su materiali che potrebbero essere convertiti in risorse diverse ma utili per altri processi.

Il punto è che nonostante l’arrivo di operatori spaziali privati portare qualcosa oltre l’atmosfera costa ancora molto – un carico utile, in genere, costa il suo stesso peso in oro – e più si sposta nel Sistema solare più diventa prezioso. Quindi riciclare o convertire le carcasse spaziali per missioni successive potrebbe apportare un valore aggiunto significativo al settore, permettendo anche un florido mercato dell’usato a vantaggio di nazioni che avrebbero necessità di controllare ambiente e confini ma che hanno Pil troppo bassi per permettersi un programma spaziale tutto loro.

L’idea si ispira all’approccio “dalla culla alla culla” esplorato dall’industria terrestre negli ultimi anni, in cui tutte le materie prime di un prodotto possono essere successivamente riutilizzate per un altro oppure consumate come cibo, senza residui, scarti e senza perdite di qualità. Adattando questo approccio allo spazio, le future sonde planetarie e i satelliti potrebbero diventare fonti di carburante o altre materie prime considerate scarse per le missioni esplorative che seguiranno. Gli esempi potrebbero includere la macinazione delle leghe metalliche in polvere da utilizzare come materie prime per la produzione di nuovo hardware mediante la stampa tridimensionale, mentre i materiali organici potrebbero essere separati mediante riscaldamento per il successivo riutilizzo dei gas che produrrebbero bruciando. Il residuo combustibile solido dei missili, per esempio, potrebbe essere scomposto per essere riutilizzato.

I materiali biodegradabili potrebbero essere sfruttati come nutrienti biologici in un sistema di supporto vitale, come il “Micro-Ecological Life Support System Alternative” dell’Esa, in sigla “Melissa”, che tra anni potrà creare un supporto vitale circolare per le future missioni con equipaggio, basato su microbi e piante. Per questo l’Agenzia ha pubblicato sul suo portare per le aziende fornitrici un bando per “concetti di nuovi materiali sostenibili” invitando le aziende a studiare vari concetti, inclusa la considerazione dei tipi di materiali che potrebbero diventare nutrienti biologici. Sarà quindi molto interessante anche esaminare quali materiali potrebbero rimpiazzare quelli attuali come il titanio e le leghe di alluminio, le resine epossidiche o la fibra di carbonio. E quale livello di energia potrebbe essere richiesto per tali processi di conversione, che magari per diventare sostenibili ci costringeranno magari a copiare dalla natura favorendo la “produzione lenta”. Contemporaneamente il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti è alla ricerca di nuovi modi per riutilizzare la spazzatura spaziale che galleggia a migliaia di miglia dalla Terra in preziose parti di satelliti o persino in veicoli spaziali completamente nuovi.

Per questo la Darpa (Agenzia americana per progetti di ricerca avanzata per la Difesa) ha avviato il programma Phoenix (Fenice), che cerca di riciclare pezzi ancora funzionanti di satelliti fuori servizio e di incorporarli in nuovi sistemi spaziali a basso costo. Il progetto mira a utilizzare un veicolo simile a un robot meccanico per afferrare antenne ancora funzionanti dai numerosi satelliti in pensione e morti in orbita geostazionaria – circa 35.406 chilometri sopra di noi – e collegarle a “satlet” più piccoli o nanosatelliti. «Se questo programma ha successo, i detriti spaziali diventeranno una risorsa», ha detto in una dichiarazione Regina Dugan, direttrice della Darpa. I detriti spaziali – un accumulo di satelliti defunti, stadi di razzi esauriti e altra spazzatura orbitante – sono diventati un problema enorme. C’è così tanta spazzatura lassù che le collisioni tra pezzi di detriti potrebbero iniziare ad aumentare in modo esponenziale portando a un cumulo di macerie in continua crescita.

Se funzionerà, Phoenix potrebbe far risparmiare ai militari un sacco di soldi sui costi di lancio, poiché le antenne e i pannelli solari sono ingombranti e costosi, qualche volta anche molto pesanti, e richiedono quindi molto carburante per arrivare allo spazio. Ma non sarà una cosa semplice poiché In genere i satelliti non sono progettati per essere smontati o riparati, quindi «non si tratta semplicemente di rimuovere dadi o bulloni» come ha affermato David Barnhart, responsabile del programma che spiega: « Ciò richiede una nuova tecnologia robotica e strumenti speciali per afferrare, tagliare e modificare componenti complessi, poiché sono solitamente stampati o saldati tra loro». Quindi anche gli Usa con Phoenix sono alla ricerca di tecnologie per aiutare a sviluppare una nuova classe di satelliti che possano essere lanciati in modo più economico e poi riciclato almeno in parte, e ha organizzato per il mese di maggio due giorni di riunioni con scienziati di ogni esperienza che possano illustrare nuove idee.

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