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NoName 057 è una cosa, la guerra cyber un’altra

NoName 057 è una cosa, la guerra cyber un’altra

La Rubrica – Cybersecurity week

Mentre in Occidente si celebrano i successi contro il collettivo russo “NoName057”, noto per i suoi attacchi DDoS a siti occidentali, le cronache sul campo di battaglia dell’Ucraina ci restituiscono l’immagine di un conflitto digitale che da tempo ha preso un’altra piega. I DDoS, attacchi di negazione del servizio, sono come picchetti digitali: bloccano, rallentano, infastidiscono. Possono oscurare temporaneamente un sito istituzionale o interrompere un servizio pubblico, sono molto simili alle zanzare d’estate, fastidiose, ma non lasciano ferite permanenti. Possiamo dire che si tratta di manifestazioni rumorose, ma la vera guerra cyber sostituisce al frastuono un silenzio assordante e al contempo devastante. Le bombe cyber si propagano in uno spazio privo d’aria: non fanno rumore ma nel mondo reale gli effetti sono fin troppo tangibili. Questo è quanto sarebbe accaduto al Gaskar Integration Plant, uno dei principali produttori di droni per l’esercito russo. Secondo quanto dichiarato dal collettivo ucraino BO Team (Black Owl), in collaborazione con l’Ukrainian Cyber Alliance e, pare, con il supporto del Ministero della Difesa di Kiev, l’intera infrastruttura IT della fabbrica sarebbe stata compromessa, paralizzata e infine distrutta. Non un fastidio, ma una cancellazione dal reale. 47 terabyte di dati cancellati, 10 di backup svaniti nel nulla. La rete interna fuori uso al punto che le porte fisiche della struttura sono rimaste bloccate. Per aprirle, sarebbe stato necessario attivare l’allarme antincendio. Se fosse un racconto distopico, lo definiremmo evocativo. Invece sembrerebbe essere cronaca.

Ma non basta: insieme ai dati, sarebbero stati sottratti anche tutti i codici sorgente dei droni. In altre parole, il cuore algoritmico di ciò che rendeva operativi quegli strumenti bellici. BO Team lo racconta con ironia spietata sostenendo di avere “penetrato a fondo” il costruttore “fino alle tonsille della smilitarizzazione e denazificazione”. Un’espressione sarcastica, che riprende la retorica russa per restituirla come parodia armata.

In questo sabotaggio c’è una riflessione implicita sul potere del digitale e sulla sua vulnerabilità strutturale. Se la guerra tradizionale cancella con le macerie, quella cyber cancella con il vuoto. E se il codice è il nuovo armamento, allora l’hacker è il nuovo sabotatore: non del ponte, ma di chi i ponti li produce.

È in questo scenario che il contrasto con i NoName diventa significativo. Da una parte, un gruppo che oscura pagine web con l’intensità di uno scherzo telefonico reiterato. Dall’altra, un attacco chirurgico, coordinato con i servizi d’intelligence, che incide sul tessuto industriale di uno Stato in guerra. Due forme diverse di “militanza digitale”, due livelli profondamente diversi di impatto.

La notizia ha anche un altro risvolto inquietante: secondo gli hacker ucraini, la Cina starebbe supportando Gaskar sia nella produzione dei droni sia nella formazione di specialisti. Nulla di confermato ufficialmente, ma l’insinuazione basta a suggerire quanto sia interconnesso e quindi fragile il mondo che abbiamo costruito.

La domanda non è più “possono farlo?”, ma “chi è pronto a sopportarne le conseguenze?”. Perché se è vero che una democrazia può sopravvivere a un blackout temporaneo del sito del Parlamento, è altrettanto vero che un esercito può collassare se perde l’accesso alla propria rete logistica e produttiva. La cyberwar non è il futuro della guerra: è la sua manifestazione presente, già scritta nelle linee di codice e nei log di sistema.

La filosofia ci insegna che non tutto ciò che si vede è reale, e non tutto ciò che è reale si vede. Il danno inferto a Gaskar è la dimostrazione di quanto le conseguenze di un attacco cyber possano farsi concrete come una bomba. O, per usare le parole degli stessi attaccanti, come possano portare a una smilitarizzazione profonda. Fino alle tonsille.

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