Tra 1994 e 1995 il concorso per «uditori giudiziari» (in cui Luca Palamara ebbe la prima nomina) si distinse per arbìtri e irregolarità. Ma tutto è stato prontamente silenziato. Panorama riscostruisce, carte alla mano, quella vicenda di 25 anni fa. Purtroppo, visti i recenti abusi nel potere delle toghe, attualissima.
Questa è la storia di un tentativo di frode ai danni del concorso di Stato per entrare in magistratura, organizzato tra il 1994 e il 1995. Non è una novità: decine di questi concorsi sono stati colpiti da denunce di irregolarità e corruttele di ogni tipo. Ma questa è anche la storia di come il Csm, il Consiglio superiore della magistratura che dovrebbe garantire la massima trasparenza sull’ordine giudiziario, 25 anni fa si dette da fare per coprire quello scandalo. E quel concorso ha anche un’importanza particolare.
Perché forse è un beffardo segno del destino, o magari una di quelle coincidenze paradossali tipiche della giustizia italiana, ma uno dei 320 vincitori di quell’esame fu Luca Palamara, divenuto oggi – suo malgrado – il simbolo negativo del carrierismo giudiziario. Palamara, va detto subito, non c’entra assolutamente nulla con la frode tentata un quarto di secolo fa. Dopo quell’esame, però, è divenuto pubblico ministero a Roma e poi leader della corrente di Unità per la Costituzione, quindi è stato scelto come presidente dell’Associazione nazionale magistrati, il sindacato di categoria, e alla fine è entrato anche lui nel Csm. A travolgere Palamara, tra 2019 e 2020, è stato un altro scandalo: quello delle sue chat telefoniche, intercettate per un’accusa di corruzione. Messaggini e telefonate hanno rivelato che attorno all’organo direttivo della magistratura si muove un circo di trattative nascoste tra le correnti, di scambi di favore per strappare nomine e promozioni in barba a regole e qualità professionali dei candidati. Per quelle chat, Palamara è stato processato dal Csm, che ha cercato in tutti i modi di silenziare anche il suo scandalo: stavolta non ha potuto agire a porte chiuse, ma ha evitato perfino di ascoltare i testi di Palamara e alla fine l’ha farisaicamente condannato e radiato dalla magistratura, lo scorso ottobre, come fosse l’unico responsabile del degrado collettivo.
Con lo stesso ipocrita intento di nascondere e silenziare lo scandalo, tra il 1994 e il 1995 il Csm affrontò e risolse a porte chiuse il grave caso di un tentativo di frode ai danni del concorso per 320 «uditori giudiziari», così si chiamano i magistrati di prima nomina. Tutto accadde sotto la presidenza di Oscar Luigi Scalfaro, quando il suo vicepresidente al Csm era Giovanni Galloni, che come il capo dello Stato era un democristiano di sinistra: nei verbali di una delle ultime sedute del Consiglio che affrontarono la vicenda si legge l’annotazione, esplicita e sconcertante, che il caso «ha avuto fortunatamente una scarsissima risonanza pubblica, anche per le attenzioni a questo scopo profuse dal Csm».
Tutto comincia nel marzo 1994, pochi giorni prima della prova scritta, quando il Csm riceve la segnalazione di uno dei magistrati che fanno parte della commissione d’esame. Elio Michelini, pretore a Roma, denuncia alla sezione disciplinare del Consiglio che un collega gli ha appena «raccomandato» la figlia, che sta per partecipare all’esame. Il collega è Guglielmo Caristo, e all’epoca è una toga di peso visto che è il presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma e membro del Tribunale dei ministri. Il pretore racconta che Caristo è andato a trovarlo in ufficio e gli ha chiesto di consegnargli la traccia della prova scritta. In alternativa, gli ha suggerito di appoggiare la traccia proposta dal presidente della commissione esaminatrice, con il quale ha fatto capire di essere d’accordo. Interrogato dalla sezione disciplinare del Csm, Michelini si dice convinto che Caristo abbia rivolto le stesse richieste anche ad altri membri della commissione esaminatrice. Tra l’altro, dal 1975 al 1987, proprio Caristo è stato il magistrato segretario delle commissioni d’esame per uditore giudiziario, un fatto che a sua volta proietta una luce ambigua su tanti altri concorsi.
Di tutto questo, però, nei verbali pubblici del Csm restano pochissime tracce: il plenum, riunito d’urgenza da Galloni il 18 e 19 marzo 1994, delibera a stragrande maggioranza che la vicenda non debba essere trattata in seduta pubblica. Porte chiuse, l’opinione pubblica non deve sapere, la stampa resta fuori. A votare no sono pochi consiglieri, cinque in tutto, e tra loro soprattutto due laici, eletti dal Parlamento. Sono l’avvocato radicale Mauro Mellini, da sempre «anima nera» del Csm, e il socialista Mario Patrono, docente di diritto costituzionale: «Dobbiamo garantire trasparenza democratica», protestano. Ma è inutile. La maggioranza è con Galloni, e soprattutto i membri togati, i magistrati, votano per silenziare lo scandalo, al massimo si astengono. Eppure tra loro compaiono nomi altisonanti, come quelli di Renato Teresi, Maurizio Laudi, Alfonso Amatucci…
Le indagini del Csm sul caso, almeno quelle, vanno avanti. Nell’ottobre 1995 Caristo viene rimosso dall’ordine giudiziario: non tanto per i suoi maneggi sul concorso, quanto perché la sua condotta in generale non è stata proprio commendevole. Ha commesso gravi errori materiali che hanno condotto alla scarcerazione anticipata di un detenuto; ha chiesto a un collega magistrato di revocare il sequestro di casa sua, costruita abusivamente; ha anche caldeggiato il caso di due imputati parlando con i pubblici ministeri che si occupavano del loro procedimento.
Quindi il Csm lo allontana dalla magistratura. Fine della storia? Macché. Le cronache dimostrano che, all’inizio del 1996, Caristo fa ancora il giudice. Non è più a Roma, ma alla Corte d’appello di Firenze. Forse ha ottenuto che un Tar abbia respinto la «condanna» pronunciata dal Csm nel 1995. Ma poi, il 25 luglio 1996, Caristo viene addirittura arrestato per favoreggiamento nei confronti del clan della mala del Brenta, guidata da Felice Maniero. Da quel momento, come spesso capita alle vicende giudiziarie che riguardano i magistrati, la storia scandalosa di Caristo evapora, finisce nel buio, scompare per sempre dall’orizzonte ottico. Forse alla fine del processo sarà stato anche assolto, chissà.
Ma non è questo l’importante. A scandalizzare, in realtà, dovrebbe essere la vergogna dei concorsi per entrare in magistratura, che come accadeva nel 1994 continuano a essere viziati da evidenti e gravissime anomalie. Il Csm tollera, benevolmente. E non è il solo a farlo. Pochi mesi fa, davanti alle denunce che hanno crivellato l’ultimo di quei concorsi, in Parlamento l’ex ministro grillino della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha allargato le braccia e ha detto di non poterci (e non volerci) fare nulla. A scandalizzare dovrebbe essere anche l’ipocrita cortina di silenzio imposta dal Csm alla vicenda del concorso di 25 anni fa. A scandalizzare, soprattutto, dovrebbe essere l’assenza di trasparenza del Csm, come ha mostrato anche il suo farisaico processo a Palamara. Guarda caso, entrato in magistratura proprio grazie al concorso del 1994. n
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