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Maranza, l’Italia sotto assedio: dalle periferie ai centri storici

Maranza, l’Italia sotto assedio: dalle periferie ai centri storici

Le gang formate da seconde e terze generazioni di immigrati allargano il loro bacino di disordini anche alle province, con gli oratori costretti a chiudere. Inoltre, diventano “manovalanza”per antagonisti e centri sociali

Il conto alla rovescia è partito. Piazza Duomo sbrilluccica. La fine dell’anno si avvicina, assieme a un’atroce dilemma pre natalizio: i maranza si lanceranno all’assalto di Milano pure stavolta? L’anno scorso salirono sulla statua di Vittorio Emanuele II al grido di «Allahu Akbar», lanciando poco benauguranti insulti agli indigeni, tipo «polizia di m…» e «’fanculo Italia». Altri si scatenarono per le vie del centro, molestando gruppi di ragazze. Le intemerate delle ultime settimane non lasciano ben sperare. Agguerrite bande giovanili, traboccanti di scatenati figlioli degli immigrati di prima e seconda generazione, ormai spadroneggiano.

Sulla Madunina sventola bandiera bianca. Anzi rossa. E con una stella verde a cinque punte. Come quella del Marocco sventagliata lo scorso capodanno. Audaci e caricaturali violenti si sono presi la città. Dalla banlieue di Corvetto, dimenticata periferia della Gotham City tricolore, ai lustrini di Gae Aulenti, simbolo del rinascimento meneghino. Scippi e ruberie, spaccio e terrore, coltelli e pistole. E ora l’esercito in triacetato si muove alla conquista dell’Italia. Don Alì, autoproclamatosi «il re dei maranza», voleva persino chiamare a raccolta gli accoliti per invadere il Sud, reo di parlar male di lorsignori, i trapiantati nel settentrione. Così, il tiktoker torinese annunciava battaglia. «Altro che Totò Riina», scriveva con malcelato orgoglio. Un mese fa è stato arrestato per l’agguato a un maestro elementare, aggredito davanti alla figlia.

L’egemonico progetto di Don Alì dovrà essere rimandato. Ma la colonizzazione del Nord, intanto, sembra già a buon punto. Non solo metropoli, come Torino e Milano. Le gang straniere, zeppe pure di minorenni, hanno invaso la provincia lombardo-veneta. Fino a raggiungere la capitale, dove imperversa la banda del Colosseo. Sono ovunque, ormai. Lega ha proposto un disegno di legge per modificare le regole sull’immigrazione. Il segretario, Matteo Salvini, annuncia anche norme anti maranza: ovvero «l’ampliamento dei casi in cui è prevista la revoca e la stretta sui ricongiungimenti». Ma la ribalda sottocultura viene evocata pure dal ben più conciliante Antonio Tajani. A chi sbertuccia l’ipotesi di cittadinanza facile per i giovani, il leader di Forza Italia replica: «Preferite i maranza o chi va a scuola per dieci anni e diventa italiano?». Sono talmente spadroneggianti da aver dato spunto all’ultima campagna pubblicitaria della Ryanair: «Ci riserviamo il diritto di non servire chi indossa tute da maranza».

Il dettaglio va arricchito. L’abbigliamento, per questo plotone di debosciati, è tutto. Talmente iconico da venire scopiazzato pure da giovani e pacifici connazionali. Oltre al completo sportivo in triacetato con bande laterali, indossano sneakers appariscenti tipo le Nike TN, piumini lucidi smanicati con marca a vista, capellino marrone Gucci d’ordinanza, marsupio rigorosamente a tracolla, catenoni bene in vista. Un completo iconico che li rende riconoscibili ovunque. Perché essere come loro è diventato pop. Per questo, assieme ai capi firmati, le loro imprese criminali vengono sfoggiate sui social. Delinquenza instagrammabile.

Le gesta metropolitane ispirano anche le bande di provincia. La Brianza è accerchiata. A partire da Monza, dove la stazione ferroviaria è diventata terra di nessuno. O meglio: dei maranza. Un mese fa c’è stato un maxi controllo: la metà aveva precedenti. Ma persino l’elegante centro storico è invivibile. La centralissima via Bergamo s’è trasformata nella strada della mala movida. Le risse tra bande sono abituali. Quest’estate albanesi e nordafricani si sono scontrati per strada. Sono volati calci, pugni e bottiglie. La gente si è dovuta rifugiare nel bar, mentre i gestori abbassavano le saracinesche. Da Carnate, invece, parte verso Monza il convoglio dei maranza: canne fumate nei vagoni e bagni devastati. L’esasperata sindaca, Rosella Maggiolini, ha chiesto un presidio fisso dell’esercito nel piazzale della stazione. A Cesano Maderno, che dista qualche chilometro dal capoluogo brianzolo, il parroco è stato costretto a chiudere l’oratorio per evitare le scorribande della gang locale: furti, minacce e spaccio. E nelle altre province lombarde, dal bresciano al bergamasco, la situazione non è un certo più rassicurante. A Ghedi, nella Bassa, alcuni giovani sono stati aggrediti da una banda di coetanei armati di katana e pistole. Due volte, in pochi giorni.

Anche il Veneto rischia di capitolare. Il prefetto trevigiano, Angelo Sidoti, ha messo l’«emergenza maranza» in cima alle urgenze cittadine, viste le continue risse del fine settimana. Per dire l’ultima: un gruppetto di ragazzi è stato massacrato di botte. La celebrazione del gesto su Instagram ha permesso di individuare i delinquenti.

Nel padovano il sindaco di Cittadella, Luca Pierobon, ha chiesto aiuto al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi: da mesi, denuncia, «si sta registrando un preoccupante aumento di fenomeni di bullismo e minacce», che arrivano a estorsioni ai ragazzi delle superiori. E a Legnago, nel Veronese, sono entrati nel Duomo in sella alle loro biciclette per attaccar briga e bestemmiare durante la messa.

Non c’è tregua neppure in estate. Quando la canicola assale, i maranza si spostano nella Riviera romagnola. Di giorno, il branco attacca i lidi più frequentati: lettini distrutti, ombrelloni sradicati, bottiglie sparse. Di notte, si dedica alle usuali prodezze: memorabili risse e smercio di droga.

La loro esistenza criminale viene arricchita anche dall’assidua presenza alle manifestazioni anti governative e Pro Pal. A Milano, durante un corteo per Gaza a settembre, hanno partecipato all’assalto della Stazione centrale: scontri con la polizia, cariche agli agenti, lanci di pietre. E sono riusciti pure ad animare le proteste della Cgil, saldandosi con la sinistra violenta e antagonista in occasione dello sciopero generale di ottobre. Secondo gli investigatori, sarebbero stati proprio anarchici e centri sociali ad averli arruolati. Non solo a Milano o Torino. Ma persino nella più placida Forlì, come informa l’assessore alla Sicurezza, Luca Bartolini. Del resto, lo scorso aprile la Cgil era scesa in piazza proprio per protestare contro le ronde anti maranza nel capoluogo lombardo, criticate anche dal sindaco, Giuseppe Sala.

I dati ufficiali suffragano. Secondo il Viminale, gli stranieri denunciati o arrestati nel 2024 sono stati oltre 287 mila. Oltre un terzo del totale, nonostante siano il nove per cento della popolazione. Ma la loro incidenza sale attorno al sessanta per cento, nel caso di furti e rapine.

La provincia in cui gli stranieri delinquono di più è Prato. Segue Firenze. Terza piazza, invece, per l’immancabile Milano: quasi il 64 per cento dei reati non è compiuto da italiani. Nell’ultima classifica sulla sicurezza del Sole 24 Ore, la metropoli lombarda occupa la penultima posizione. Sala assicura che si tratta di una «narrazione fuorviante». Ma il prefetto meneghino, Bruno Megale, spiega che quest’anno la maggior parte delle 830 persone arrestate per furti o rapine era straniera. Il venti per cento, aggiunge, non ha nemmeno diciott’anni. In effetti la stragrande maggioranza dei detenuti del Beccaria, il carcere minorile milanese, viene da altri Paesi, quasi sempre islamici: nel 2024 erano quasi l’ottanta per cento. Un numero talmente alto da aver convinto il Viminale ad autorizzare l’ingresso nel penitenziario di un imam, da affiancare al cappellano. Il prescelto è Abdullah Tchina, guida religiosa della comunità di Sesto San Giovanni. Sarà lui, insomma, a tentare di rieducare i più incorreggibili.

Impresa improba. Da Corso Como a Quarto Oggiaro, la città è sotto assedio. Pestano i turisti per una collanina. Aggrediscono gli studenti con il machete. Prendono a calci i poliziotti. Sempre pronti a postare sui social, scimmiottando i loro indiscussi idoli: controversi rapper, come la premiata coppia Simba La Rue e Baby Gang. Il primo, al secolo Mohamed Lamine Saida, è stato recentemente arrestato in Spagna per un cospicuo cumulo di pene: dalla sparatoria in un locale di Milano alla rapina a mano armata. Lo scorso settembre, invece, hanno preso Baby Gang, all’anagrafe Zaccaria Mouhib. Un mese dopo è finito ai domiciliari, con braccialetto elettronico. Adesso è ospite di una comunità terapeutica, per cominciare un percorso di «disintossicazione». Canta: «Tengo solo una mentalité. O gli sparo o mi spara. Vivo solo di illegalité. Io imparo, lui impara». In un videoclip, mostra orgoglioso il kalashnikov. I detestati caramba hanno appena scoperto che gli fu prestato da una banda di trafficanti d’armi macedoni.

Simba e Baby Gang, che malvissuti. Dopo aver gambizzato due senegalesi, posavano soddisfatti accanto alle vittime. Pregustando già l’attimo in cui avrebbero mandato la foto alle tipe. Sono i due idoli. L’impareggiabile vanto dei mascalzoni in triacetato.

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