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Avetrana: il caso non è chiuso

Avetrana: il caso non è chiuso


Processo Sarah Scazzi
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Per l’assassinio di Sarah Scazzi, commesso 10 anni fa, sono state condannate all’ergastolo la cugina Sabrina e sua madre Cosima. Ma i dubbi non chiariti sono, ancora oggi, troppi. A partire dal ruolo dello zio, Michele Misseri: che si è sempre detto colpevole ma non è mai stato creduto. E da un paio di strane testimonianze…


«Ero una ragazzina, mi ero sviluppata da poco, eravamo in Germania. Dovevo fare la doccia e mi spogliai davanti a mio padre, come avevo fatto migliaia di volte prima. Ricordo come mi studiò. Avvertii i suoi occhi sulla mia pelle e mi vergognai. C’era qualcosa di strano e di inquietante, in quello sguardo. Con una voce dura mi disse: “Non ti devi far più vedere così da me”. Quella fu l’ultima volta che accadde». Parla così Valentina Misseri che ha sempre taciuto questo piccolo, insignificante, rivelatore segreto. Lo ha custodito nel cuore, seppellito da tutto quello che in questi 10 anni è accaduto alla sua famiglia, e che lei ha sopportato con incredibile stoicismo.

Ha gli occhi scuri lucidi, mentre racconta. I capelli lunghi, castani con riflessi un poco più chari sulle punte, le incorniciano il viso provato. Ha poco più di 40 anni, ma si sente stanca. Sua madre Cosima e sua sorella Sabrina sono in carcere, condannate all’ergastolo, mentre il padre Michele – che si è sempre dichiarato colpevole dell’omicidio della cuginetta Sarah Scazzi – ha una pena prossima alla scadenza. «A volte» continua Valentina «papà mi parla di quello che vorrà fare quando uscirà. Dice che vuole restare ad Avetrana, io lo ascolto, ma dentro di me soffro».

Soffre, Valentina, perché è convinta che sia l’unico colpevole: «La verità è che le prove concrete portano tutte a lui. Per me è difficile ammettere di avere un papà pedofilo e omicida. Per me è difficile realizzare che quel padre, che ritenevo perfetto, è stato capace di infliggerci un dolore simile. Eppure, so che è la verità» ripete. Lo ha scritto anche di recente a sua zia Concetta, implorandola di andare a incontrare in carcere Cosima e Sabrina: solo così, e lei lo sente, la mamma di Sarah potrà trovare la verità. Se la colpevolezza delle due donne è stata sancita da tre gradi di giudizio, per molti persistono buchi neri simili a voragini.

Sono passati dieci anni da quando Sarah Scazzi – 15 anni, il fisico di un giunco e tante ambizioni segrete – il 26 agosto 2010, durante la controra (le prime ore del pomeriggio estivo in meridione), sparì nel nulla lungo i 500 metri che separavano casa sua da quella dei Misseri, in via Deledda 22. Nei 42 giorni della ricerca, l’equilibrio di Avetrana – nemmeno 6.000 anime, un’atavica e annoiata tranquillità a scandire il tempo – venne scombussolato: prima una carovana di giornalisti, dunque una colonia di turisti dell’orrore, ne invasero tutti i B&B e le masserie («chiunque aveva una stanza in più in casa l’affittava a peso d’oro» ricordano adesso gli abitanti).

Il paese diventò, senza rendersene conto, un set a cielo aperto. E i suoi cittadini, non solo quelli con un ruolo di primo piano nelle indagini , vennero inconsapevolmente trasformati da persone qualsiasi in personaggi: protagonisti di ore di dirette televisive, star sulle pagine di cronaca. Con puntualità e rigore, i cronisti come gli autori tv indagarono il torbido culturale di un Salento greve e lontano dalla cartolina marina: incesti familiari, abusi sessuali, segreti e ricatti. Venne fuori molto, ma non tutto. La vita di Misseri si scopre solo adesso, grazie alle sue parole, come una discesa agli inferi.

Serviva forse la distanza del tempo per dare una nuova prospettiva ed esaminare con distacco una vicenda che non può dirsi (neppure formalmente) chiusa. «Troppi errori sono stati commessi e tanti interrogativi ancora restano in piedi», denunciano Franco Coppi e Nicola Marseglia, gli avvocati di Sabrina Misseri e di Cosima Serrano. Al centro c’è ancora una volta lui, Michele Misseri: tornato a definirsi l’unico colpevole. Peccato che – nonostante la determinazione con cui da anni sostiene la medesima versione, in linea con la prima confessione – sia considerato inattendibile.

Dopo aver fatto ritrovare il corpo il 6 ottobre 2010, Misseri ha cambiato la sua verità per sei volte. Quasi tutte le versioni, però, hanno avuto un elemento in comune: le registrazioni del verbale incredibilmente si interrompevano prima di ogni colpo di scena, per poi riprendere con elementi e personaggi nuovi. Così Sabrina, sua figlia, è diventata prima testimone, poi complice, infine assassina coadiuvata dalla moglie Cosima per amore del salumiere locale Ivano Russo.

Scandagliando le oltre 20.000 pagine che danno forma scritta al caso, tanti elementi però fanno sorgere più di qualche interrogativo: dal sentimento provato da Sabrina per Ivano Russo (secondo alcuni era malata di «ivanite», per altri attratta solo sessualmente dal giovanotto), fino allo stato di umore di Sarah la mattina della scomparsa. Secondo le difese di Sabrina e Cosima, soprattutto, non sarebbe stata analizzata a dovere la prima confessione di Michele Misseri: l’uccisione da parte dello zio per motivi sessuali. Una strada che per alcuni rimane in piedi. Non solo perché l’autopsia non ha potuto né confermare né negare eventuali abusi, ma anche per il passato da necroforo di Misseri in Germania.

Quando durante un interrogatorio gli domandano se avesse mai abusato di un cadavere prima di quel momento, lui risponde: «No, perché là erano tutti sigillati». Appena gli inquirenti insistono: «Ha mai pensato di dire se non fossero congelati l’avrei fatto?» lui balbetta «Può essere». Sono anche i segni di unghie, rinvenute sulle braccia di Misseri nelle prime visite mediche in ospedale, a creare dubbi: all’inizio avevano fatto immaginare una resistenza di Sarah, poi sono diventate conseguenza del lavoro dei campi.
Si potrebbe andare avanti per molto.

Dalle celle telefoniche alle intercettazioni (in macchina, e in carcere), le interpretazioni non sono mai nette e univoche. L’ambiguità esplode poi con la testimonianza di Donato Massari, che prima spiega di aver visto il giorno della scomparsa di Sarah un’auto sfrecciare per Avetrana guidata da un conducente maschio, forse extracomunitario, con baffi folti e capelli ricci. Poi cambierà più volte versione, arrivando anche ad affermare che forse quella sagoma vista era Sabrina Misseri (e per dimostrarlo disegna su una foto della ragazza ritagliata dal giornale copiosi baffi e rigogliosa capigliatura).

Di rilievo assoluto e dirimente resta il ruolo del fioraio Giovanni Buccolieri, al centro del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo presentato dal’avvocato Franco Coppi. È lui a dire – secondo quanto riportato nel verbale del 9 aprile 2011 – di aver visto Cosima inseguire in auto Sarah, facendola salire con le minacce a bordo e accompagnandola in via Deledda. Ma è sempre lui, due giorni dopo, a tornare dai carabinieri per specificare che quanto dichiarato fosse un sogno. Per questo cambio di versione Buccolieri sarà condannato in primo e secondo grado, salvo poi essere assolto per prescrizione in Cassazione.

Eppure, si gioca su questo – la verità del fioraio, la menzogna, la visione onirica – una parte importante del processo, e della sentenza. Oggi Buccolieri torna a confermare che no, lui non ha visto niente, dice che la sua vita da quel momento – per un sogno – è diventata un incubo. Intanto due persone, che non smettono di professarsi innocenti, restano condannate all’ergastolo.

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