L’ex imprenditore Alberto Genovese oggi è in una comunità per tossicodipendenti e deve affrontare i processi dov’è imputato per stupro. La sua «Terrazza sentimento» con i party, la droga, i falsi amici appaiono lontani. Gianluigi Nuzzi, che ha ricostruito in un libro quella e altre esistenze al di là del limite, racconta in esclusiva a Panorama il recente percorso dell’uomo che voleva essere il re del mondo grazie al denaro.
Alle 7 di ogni mattina l’uomo vestito interamente di scuro infila la testa nel cappuccio della felpa, s’incammina sul vialetto fino all’ingresso, inseguito da Emy, un cane bastardino adorato da tutti. È inghiottito dal silenzio di via della Croce a Cuveglio, il paesino in Valcuvia, nel Varesotto, che ospita la comunità di recupero Crest dove fatti di crack, alcolisti, tossicodipendenti e disperati di ogni risma cercano di ritornare a una normalità almeno apparente. La retta in solvenza da 7.500 euro al mese filtra i pazienti privati, ma quest’uomo stempiato e dallo sguardo sfuggente non ha mai avuto problemi di denaro in vita sua. Anzi. Alberto Genovese ha appena venduto per 200 milioni il 25 per cento della sua Prima Spa, colosso assicurativo online, eppure oggi sotto quel cashmere di pregio, alla caviglia indossa un braccialetto elettronico nero, che indica 24 ore su 24 dove si trova. Qualora superi il cancello in fondo alla stradina, si troverà i carabinieri in meno di tre minuti lì per arrestarlo e finirà di nuovo in carcere. Lui non ci pensa nemmeno, gira la chiave e rientra. Tutti i 18 ospiti dormono.
Al primo piano, dove sono alloggiati i 12 uomini, il predatore travolto dalle accuse di abusi sessuali improvvisa la sua nuova esistenza in una stanzetta che divide con un sudamericano arrivato qui per problemi di droga e alcol.
Due finestre, due letti, una scrivania dove l’ex imprenditore impila le sue nuove letture, avendo ormai dimenticato la collezione di guide turistiche per mete tropicali che, ai tempi d’oro di Terrazza sentimento, raggiungeva rigorosamente in jet privato. Uno sull’altro troviamo volumi di certo impegnativi: dai manuali su sessualità e dipendenze a quelli sulla terapia dialettico-comportamentale (Dbt), adattata ai disturbi legati all’uso di sostanze stupefacenti, che Genovese segue da quando, lo scorso agosto, i giudici lo ritennero idoneo a lasciare il carcere per iniziare un percorso di recupero.
Qui giorno dopo giorno Genovese punta a salire ogni grado della gerarchia degli ospiti e dall’inverno scorso ha conquistato il ruolo più elevato, quello del «coordinatore», colui che assegna e ottimizza le attività degli altri. E per questa micro-comunità dove mansioni e orari sono assai definiti si tratta di una responsabilità che cambia la qualità della vita.
In tutti i giorni feriali la sveglia è alle 7, quando Genovese si alza appunto per primo per aprire casa, dopodiché raggiunge la sala per le colazioni dove c’è l’appello della giornata e si fa colazione: tè, latte, yogurt e frutta. Al sabato è concessa una crostatina e la domenica un po’ di Nutella. Genovese è chiamato a vigilare che nessuno prenda più di un cucchiaio di zucchero e uno di cacao, mentre a ciascuno vengono distribuite due cialde per il caffè e un pacchetto di sigarette al giorno.
Terminata la colazione, l’ex re Mida delle start-up aiuta come gli altri a sparecchiare e portare tazze e piatti e bicchieri in cucina, dopo che proprio lui con un altro responsabile l’avevano aperta, trattenendo le chiavi visto che in questi locali sono presenti utensili che potrebbero rappresentare un pericolo. I coltelli vengono contati ogni sera e così quelli più grandi da cucina e le pentole, che rischierebbero essere usate come armi improprie, finiscono sottochiave.
Tra pulizie, appelli e sedute con psicologi e medici scorre la giornata. Genovese dal primo giorno ha imparato a non violare le cinque regole che vietano di rubare, fare sesso, compiere violenze, dire parolacce, consumare alcol o droghe. Oggi, in più, è chiamato a verificare che tutto proceda bene e, in caso contrario, a intervenire. Se manca un indumento, ispeziona gli armadi di tutti per verificare che non sia stato rubato, se nota un’inadempienza compila l’apposito cartoncino. Del resto, se si infrangono le regole più importanti, per punizione si finisce seduti su una sedia di fronte all’ufficio dello staff per un giorno intero.
In questa situazione Genovese cerca di conquistare fiducia e simpatia di tutti, operatori e pazienti. E quindi si dedica soprattutto a cucinare i piatti che evocano le sue origini napoletane: dalla pasta alla sorrentina alla pizza che prepara al sabato. Quando cucina gli piace ascoltare musica rock, dai Dire Straits ai Depeche Mode, per poi concentrarsi sugli scacchi e sugli atti del suo processo. «Se stai male» esorta chi fa più fatica a reagire «prova a lavorare ugualmente e troverai energia». E interviene sempre negli incontri di gruppo dove valorizza gli elementi positivi. Che sia una strategia manipolatoria o gli effetti di un cambiamento, lo dirà chi sarà chiamato a pronunciarsi.
Lui passa la giornata da responsabile modello: ritira al cancello frutta, verdura o biancheria dalla lavanderia industriale, quando qualcuno litiga cerca di attutire, trascorre la serata del mercoledì dedicata ai film prediligendo quelli di Tim Burton e altri portati dalla sorella. Lei e la madre vanno spesso a trovarlo nel fine settimana, ma anche il padre a febbraio ha raggiunto la comunità dopo molti anni che non si incontrava con il figlio Alberto. Quest’ultimo ha puntato spesso l’indice contro di lui, come racconto nel mio ultimo saggio I predatori (tra noi), analizzando con documenti e testimonianze i comportamenti di questi predatori, bulimici di sesso, che si mimetizzano negli ambienti più impensabili per colpire donne trattate come bambole di pezza.
Il percorso di Genovese, terminato il delirio di Terrazza sentimento, era iniziato quando venne portato dietro le sbarre, il 6 novembre del 2020, con otto agenti che alle 23,25 fecero irruzione in una dépendance dell’attico, al terzo piano della scala C nello stesso palazzo, a pochi passi dal Duomo. I poliziotti lo trovarono in preda alla sua droga, con tre bustine di ketamina pronte all’uso, ecstasy e oltre 9 grammi di cocaina. Era la fine di tutto. «Nuovo giunto di 43 anni, prima detenzione, vive con la compagna, senza figli» è l’incipit del suo diario penitenziario. «La compagna non lavora. Genitori viventi con cui ha buoni rapporti. Tossicodipendenza da cocaina con stick urine positivo, nega abuso alcolico… valutazione dell’ideazione alterata… Riferisce abuso di cocaina, tre grammi a settimana, dopo una cena la provò e non ha più smesso da quattro anni. Alcol in associazione a cocaina, Md e allucinogeni. Nega pregressi problemi psichiatrici, nega in passato e nell’attualità ideazione anticonservativa o autolesiva. Comportamento adeguato, pensiero lucido e consapevole. Tono dell’umore in asse, eloquio fluido, si definisce “terrorizzato”…».
Passare da Terrazza sentimento a una cella da condividere con altri, senza lussi e sfarzi e soprattutto droga, è stato un salto nel vuoto. Così l’11 novembre, cinque giorni dopo le manette, Genovese si ritrova stretto nel degrado: «Riferisce malessere legato al luogo» prosegue il documento – e alle persone con cui è costretto a vivere. Parlano arabo ad alta voce, fumano e sono molto rumorosi, tengono la tv a volume alto, inoltre non sopporta che assumano terapia e che siano «drogati».
Aveva immaginato il carcere come un luogo in cui avrebbe potuto stare finalmente tranquillo e leggere – ha portato con sé quattro libri. Invece, fatica a pensare, persino fare una doccia gli pesa, perché le condizioni igieniche della cella gli sembrano inadeguate. «Ha precedenti per liti condominiali, molestie e rumori, sostiene di soffrire di fame d’aria. Chiede aiuto per dormire. Umore in deflessione reattiva».
Passano due giorni e il 13 novembre la sorveglianza segnala al pronto intervento il detenuto milionario: «Si presenta al colloquio con succo di frutta e libro, bisogna richiamarlo all’uso della mascherina, sembra non sopportare i tempi del carcere e lo si invita ad adeguarsi… riflette sulla funzione educativa della detenzione, in questo momento gli sembra assolutamente assente e sente solo la punizione, che peraltro inizia a percepire come non del tutto ingiusta».
Giorno dopo giorno i colloqui con i professionisti fanno emergere una «scissione tra l’Alberto di giorno e l’Alberto di notte» mentre dopo l’interrogatorio con il pubblico ministero «appare distrutto, si sente confuso e dice di sentire delle voci. Non riesce a far combaciare i pezzi della sua vita, gli sembra di avere vissuto un incubo. Non capisce come abbia potuto circondarsi di persone false e che lo idolatravano solo per i soldi. Si agita e cammina in continuazione senza riuscire a stare fermo. A tratti sembra voler piangere ma non lo fa».
La mancanza di stupefacenti si fa sentire anche il 23 novembre quando «destabilizzato dalle vicende mediatiche» ancora «riferisce allucinazioni sulla base delle macchie sul muro». Una situazione che spingerà la direzione penitenziaria a trasferirlo nella sezione cosiddetta «protetti», riservata a chi è accusato di aver commesso reati di violenza sessuale. Qui, sebbene continuino le esperienze raccontate da Genovese come allucinatorie, frutto della mancanza di cocaina e altre droghe, il cosiddetto «craving», inizia a far emergere meglio quei «tratti personologici istrionici e narcisistici, con uno stile di pensiero improntato alla razionalità, poco abile quando si tratta di riflettere sulle proprie emozioni e stati affettivi». Permangono i problemi nell’adattarsi alla detenzione e di relazione con gli altri detenuti: un giorno perde l’equilibrio e finisce a terra, il 14 dicembre racconta della colluttazione con un compagno di cella, il 18 dicembre cade dal letto a castello, il 28 dicembre incontra gli specialisti a «seguito di un episodio di violenza di cui è stato vittima».
I primi mesi del 2021 sembrano davvero interminabili tra «attacchi di panico, umore deflesso, malessere generale, plurimi episodi di allucinazioni, episodi di pianto con la manifestazione di idee anticonservative». Poteva comprare qualunque cosa e soddisfare qualsiasi capriccio, si ritrova ora a vivere una situazione dove non ha più alcun controllo su quanto accade. E così, quando a fine febbraio la polizia gli notifica un nuovo atto giudiziario, ha una crisi isterica con i medici che devono portarlo via a braccia per calmarlo. Ma anche applicare i piani terapeutici non è facile. O cerca lui di scegliere dosaggio, modalità di assunzione, indicando persino la molecola gradita, contrattando per ore con i medici, o i farmaci assegnati risultano sbagliati. Per esempio, le benzodiazepine non fanno effetto perché Genovese sembra esserne assuefatto, avendole con ogni probabilità ingerite tante volte per contrastare gli effetti della cocaina.
Ma la consapevolezza piano piano emerge o almeno così sembra leggendo le lettere che scrive dalla detenzione al suo «miglior amico», uno dei pochi o forse l’unico «che non si droga»: «Questa mazzata dell’arresto, questa merda di stare in galera sono stati la fortuna più grande della mia vita, lo schifo di cui sono accusato è stato il pugno in faccia che mi ha spiegato che sono un cocainomane di merda e non c’era stato un cazzo di nessuno dei miei sedicenti amici che m’avesse detto “sei un cocainomane di merda ora ti salvo la vita…tu che avevi visto com’ero ridotto”». Ma solo toccando il fondo si può affogare o, chissà, risalire.
