Vostok 2018
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Vostok 2018, esercitazioni militari tra Russia e Cina. Noi c'eravamo

MLADEN ANTONOV/AFP/Getty Images
Un carro armato russo partecipa alle esercitazioni militari di Vostok 2018 nel campo di addestramento di Tsugol, non lontano dal confine cinese e mongolo in Siberia, 13 settembre 2018.
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Gli elicotteri militari russi partecipano alle esercitazioni militari Vostok-2018 nel campo di addestramento di Tsugol, non lontano dal confine cinese e mongolo in Siberia, 13 settembre 2018.
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Esplosioni durante le esercitazioni militari di Vostok 2018 nel campo di Tsugol, non lontano dal confine cinese e mongolo in Siberia, 13 settembre 2018.
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Sfilata di truppe russe, cinesi e mongole alla fine della giornata di esercitazioni militari di Vostok 2018, nel campo di addestramento di Tsugol, non lontano dal confine cinese e mongolo in Siberia, 13 settembre 2018.

Penisola di Clerk, Russia. Il Pacifico ha il colore della guerra fredda. Quel grigio scuro, intenso, con le sfumature del metallo. Si potrebbero immaginare onde altissime, di bufera sulle coste del campo di addestramento di Clerk, a un tiro di schioppo dalla Corea del Nord. E invece l'oceano non smentisce il suo nome. Lambisce tranquillo questa natura intatta, con migliaia di varietà di fiori. E il contrasto tra i fiori e il carro armato che sta passando produce una strana commistione. Guardare le esercitazioni militari tira fuori il voyeur che c'è in ognuno di noi: vedi quello "che non si deve", quello che è esagerato, sbagliato per chi è cresciuto coni valori della pace. Eppure c'è un elemento eccitante e contemporaneamente rassicurante, nell'osservazione della dimostrazione di potenza.

Viaggio in un territorio immenso 

Molti hanno scritto delle manovre militari Vostok 2018. Panorama c'era, unico giornale italiano presente. Un viaggio durato una settimana, da Mosca lungo un territorio immenso, in luoghi da sogno se ami l'estremo. Spostamenti in elicottero Mi 26 da Chita, regione del Transbajkal al campo addestramento di Tsugòl. In nave o seduti sulle panche dei carri militari, dal porto di Vladivostok a Clerk. E ancora oltre il fiume Konda, che si snoda in mezzo al terreno argilloso. Intorno boschi che iniziano ad arrossire e ingiallire. Chilometri e chilometri, sino alla piana di Telemba, dove in mezzo al nulla i temutissimi sistemi antimissile S 400 si sono fatti vedere all'opera.

Le manovre militari si tengono d'autunno, dice la tradizione. In quella che se la percorri sembra la terra di nessuno, perché non finisce mai e per ore non incontri anima viva. E invece è la terra di Vladimir Putin, atterrato in elicottero proprio a Tsugòl, dove la Cina ha fatto la sua comparsa nella spettacolare simulazione bellica di giovedì 13 e anche nella successiva parata militare. E non sarà l'ultima: secondo il ministro russo della Difesa Sergey Shoigu le esercitazioni con Pechino "si terranno regolarmente".

Russia e Cina avversari strategici della Nato

Le due bandiere che sfilavano vicine facevano un certo effetto. "Molto strano che la Nato consideri queste esercitazioni una sfida, dal momento che si svolgono in una zona che non ha alcun rapporto con lo spazio di responsabilità dell'Alleanza" ci ha detto Feodor Lukyanov, primus inter pares fra i politologi russi. "Mosca e Pechino d'altra parte sono state definite da Washington degli avversari strategici, e questo porta una serie di misure di carattere militare". Insomma, chiaro no? "Voi ci considerate entrambi avversari e noi siamo pronti ad agire insieme".

La Russia spesso viene descritta come un giano bifronte. Con un'espressione sempre più sorridente, rivolta verso est; con sopracciglia aggrottate a guardare a ovest. E non si tratta soltanto di missili in prova, dazi, sanzioni, rapporti russoamericani o una nuova versione di guerra fredda più avanzata di quanto ci immaginiamo, come teorizza il politologo russo Aleksandr Goltz.

L'autocefalia della chiesa ucraina

L'Europa vede crescere ogni giorno elementi di attrito con Mosca e onde d'urto, che possono trasformarsi in un attimo in polveriere geopolitiche. Proprio alla vigilia di Vostok 2018, si viveva una silenziosa agonia in ambiti ben diversi, non quelli del fucile, ma quelli della croce. Il Patriarcato di Mosca alla fine è sbottato di fronte a qullo che ha l'aria di uno scisma interno alla chiesa ortodossa, ossia l'autocefalia della chiesa ucraina che significa completa indipendenza, dopo che per oltre mille anni è stata autonoma, ma all'interno del Patriarcato di Mosca. Il metropolita russo Hilarion ha usato un termine molto in voga in ambito militare: "minaccia". "Noi della Chiesa russa" ha dichiarato "non riconosciamo questa autocefalia. E non avremo altra scelta se non interrompere la comunicazione con Costantinopoli". Da Mosca è stato segnalato anche a Papa Francesco lo scontro aperto in atto con Bartolomeo, patriarca di Costantinopoli, in particolare dopo la nomina dell'arcivescovo Daniel di Pamphilon (Usa) e del vescovo Hilarion di Edmonton (Canada) come esarchia Kiev.

I rapporti tesi con l'ovest

Quest'ultima parabola religiosa è stata definita da alcuni osservatori russi "anche peggio" dell'allargamento della Nato, al quale Mosca collega le sue politiche di riarmo. Dallo sfascio degli anni 90 alle forze armate russe di oggi, tirate a lucido e con prestigio crescente tra la popolazione: se nel 2005 solo il 52 per cento dei russi le riteneva in grado di affrontare una vera minaccia militare da un altro stato, in questi anni le percentuali, secondo il Centro demoscopico indipendente Levada, sono arrivate oltre l'80. "Con queste manovre noi vediamo soltanto la punta dell'iceberg: c'è una preparazione enorme, di mesi e mesi, che resta dietro le quinte", spiega a Panorama l'esperto di difesa Mikhail Khodarenok. "Non è che... hop! Domani facciamo le manovre e minacciamo qualcuno. Anzi, chiariamolo: la Russia è tutto tranne che interessata a una contrapposizione militare con l'ovest".

Benché, secondo altri osservatori, il rischio di questa contrapposizione si corra tutti i giorni nel teatro siriano. Mosca è impegnata da tre anni a sostegno delle forze governative di Bashar Assad, e ciò rappresenta un banco di prova ben più impegnativo e reale delle stesse Vostok 2018, dove però c'è stato un passaggio che pochi hanno colto. "La Cina ha confermato quello che era il nostro messaggio: il desiderio di procedere fianco a fianco per difendere la pace", sottolinea Aleksandr Sladkov, veterano dei giornalisti di guerra russi. "Il comando cinese per Vostok 2018 è stato estremamente chiaro. Di solito sono neutrali e cauti, invece hanno fatto dichiarazioni che riservano per loro anche un rischio. Evidentemente il rischio lo hanno messo nel conto" aggiunge Sladkov che per i colleghi russi è una leggenda vivente. Si passa il pollice sul labbro, e poi aggiunge pensoso: "Ora la questione è però un'altra: possiamo tornare al dialogo con l'ovest o abbiamo già superato il punto di non ritorno?". 


(Articolo pubblicato sul n° 40 di Panorama, in edicola dal 20 settembre 2018, con il titolo "Non è un film e noi c'eravamo")


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