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ANSA / MATTEO BAZZI
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Renzi: l'antidemocratico che sta distruggendo il PD

Aveva promesso di tacere due anni e invece non ha resistito neppure due mesi. Così Matteo Renzi ha rotto il fioretto e pur di influenzare l'esito della Direzione del prossimo 3 maggio ha deciso di fare la sua relazione in tv, scavalcando ogni regola democratica interna al Pd e mettendo ancora una volta da parte le indicazioni del segretario reggente.

“Ha un ego smisurato”. Luigi Di Maio dopo lo show di Renzi ha centrato il problema del Pd, che è sempre più alle prese con l'egocentrismo del suo ex segretario che non riesce a fare un passo di lato e neppure scordarsi che quel 40 per cento raccolto al referendum non era una consacrazione delle europee, ma una sonora sconfitta.

Ma la musica appare sempre la stessa, in un lagnante disco rotto che suona sempre la stessa nota e sembra non riuscire andare oltre. Perchè se l'ex premier chiude a un governo con i 5 Stelle, dall'altro rilancia una sorta di nuova costituente per riavviare le riforme costituzionali e la riforma della legge elettorale per tornare presto alle urne. Ma se l'ipotesi è quella di un governissimo i tempi per entrambe le riforme rischiano di essere molto lunghi.

L'egocentrismo renziano

L'egocentrismo renziano ruota tutto intorno all'uomo al governo e la presunzione arriva a fotografare un'Italia ferma senza la guida del quarantenne di Firenze. Così dopo aver disarcionato Enrico Letta da Palazzo Chigi, getta nell'inutilità anche il governo Gentiloni che ha traghettato il Paese per oltre 500 giorni, dopo la catastrofe del 4 dicembre 2016. Ma si sa, che anche in quel caso le ambizioni di Renzi prevedevano un passaggio breve di Gentiloni a Palazzo Chigi e un rapido ritorno alle urne.

Quel premier sommesso, arrivato per caso, invece ha finito per conquistare la popolarità che Renzi ha bruciato per via della sua troppa arroganza, presto rivelatasi un'arma a doppio taglio. Oggi c'è chi spera che sia ancora il pragmatismo di Gentiloni a governare di fronte al triste spettacolo di una classe dirigente immatura che a quasi due mesi dalle elezioni ha saputo regalare al Paese solo un indecoroso tira e molla.

I politici immaturi

La colpa è tutta dei leader vogliosi di non cedere un pezzo della scena. Renzi incapace di partecipare alla direzione come un normale parlamentare occupa la poltrona di Fazio, Matteo Salvini che continua a giocare con i forni di Di Maio che si aprono e si chiudono, mantenendo un filo diretto con l'alleato Silvio Berlusconi che ogni giorno a suon di battute segna la sua distanza politica e umana con “quei populisti” del Movimento 5 stelle.

Un dedalo di interessi, mosse e strategie, tutte volte a mantenere il proprio spazio di incontestata sovranità. Ma in un panorama come quello uscito dalle urne lo scorso 4 marzo, dove nessuno ha la maggioranza per stare da solo, un atteggiamento del genere non porta da nessuna parte.

Il pericolo del Pd

Per il Pd però il problema è ben più grave e si chiama Matteo Renzi. L'intervista rilasciata a Fabio Fazio, di fatto, supera la stessa utilità della direzione convocata per valutare la possibile convergenza del partito con il Movimento come aveva indicato il segretario reggente Maurizio Martina uscendo dalle consultazioni con Roberto Fico. Invece ancora una volta da agente esterno, Renzi ha voluto imprimere un'accelerazione, calpestando i tempi della democrazia interna al partito e anticipandone le mosse.

Se qualche minoranza avesse fatto lo stesso, con la stessa violenza al tempo della sua di reggenza sarebbero partite le truppe renziane a colpi di hashtag per deleggitimare il nemico. Invece stavolta il Pd tace assente, quasi narcotizzato di fronte all'ennesima sparata dell'ex premier. Solo il fake account di Gianni Kuperlo dopo la trasmissione Che tempo che fa ha avuto la lucidità di commentare amaramente “con la sua intervista abbiamo perso un altro 5 per cento dei voti” e “Maurizio Martina sta mandando curriculum a prestigiose università europee”, ricordando la “fine” di Enrico Letta dopo la cacciata da Palazzo Chigi.

Insomma, l'egocentrismo di Matteo Renzi è sempre più lontano dagli elettori. In Molise il Pd ha raccolto appena l'8 per cento, in Friuli Venezia Giulia ha tenuto il 18 per centro, ma nei due municipi romani dove si tornerà alle urne la base chiamata alle primarie ha bocciato i due candidati ufficiali del Pd, favorendo esponenti più dissidenti verso la linea renziana.

A dimostrazione che se Renzi oggi controlla le truppe parlamentari grazie a quelle liste scritte in una notte, nelle sezioni e nei territori c'è voglia di tornare al confronto e archiviare al più presto la politica dei caminetti fiorentini, egoriferita e suddita di una voce sola. Prima che il Pd diventi un altro arnese inutile, rottamato dai suoi stessi dirigenti.

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