Pensioni integrative e tfr, cosa cambia

Non tutta la liquidazione, ma solo una piccola parte o comunque una quota minoritaria. E’ la la somma che i lavoratori italiani potranno destinate ai fondi della previdenza integrativa (o complementare), cioè i prodotti finanziari che servono per costruirsi una pensione di scorta per la vecchiaia.

Con l’arrivo del ddl concorrenza, appena approvato al Senato e in attesa del via libera definitivo della Camera, cambiano infatti le regole con cui è possibile crearsi una rendita in vista della terza età, per arrotondare le sempre più magre pensioni pubbliche pagate dall’Inps.


Attualmente,  chi è assunto con un contratto da dipendente ha la possibilità di destinare ai prodotti della previdenza integrativa (cioè ai fondi pensione o ai piani individuali pensionistici, detti anche pip) l’intera quota del tfr (trattamento di fine rapporto) che è la parte di stipendio (circa il 7% della retribuzione annua) accantonata tradizionalmente per la liquidazione. La scelta è facoltativa ma le regole sono un po’ rigide. Nello specifico, chi sceglie di destinare il tfr ai fondi pensioni o a i pip è soggetto a due vincoli.

Innanzitutto, dopo aver aderito alla previdenza integrativa, non è possibile fare marcia indietro e decidere di accantonare di nuovo la liquidazione nelle forma tradizionali, lasciandola nelle casse dell’azienda (o dell'Inps) dove si rivaluta ogni anno dell’1,5% fisso, più i tre quarti del tasso d’inflazione. Inoltre, chi sceglie di di aderire alla previdenza integrativa deve destinarvi obbligatoriamente l’intero tfr e non soltanto una parte.

Più flessibilità
Vista la presenza di questi vincoli, ci sono ancora parecchi italiani che non si fidano della previdenza integrativa, soprattutto per un motivo:  la tradizionale liquidazione si rivaluta di una percentuale predeterminata (o quasi) e viene percepita come un investimento sicuro, mentre i rendimenti dei fondi pensione dipendono dalle oscillazioni dei mercati finanziari e di conseguenza vengono visti da molti lavoratori come un terno al lotto o comunque come una scommessa troppo rischiosa. Non a caso, i lavoratori italiani che hanno aderito alla previdenza integrativa sono tanti (più di 5 milioni tra i dipendenti) ma restano ancora una minoranza: poco più del 30% degli aventi diritto.

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Proprio per vincere queste diffidenze, il ddl concorrenza ha cercato appunto di rendere più flessibili le adesioni ai fondi pensionistici o ai pip. Il lavoratore potrà infatti decidere di destinare ai prodotti della previdenza integrativa soltanto una parte del proprio tfr, accantonando contemporaneamente un’altra quota nelle forme più tradizionali, cioè per la vecchia e cara liquidazione. Maggiore flessibilità ci sarà anche per il pagamento della pensione di scorta. Attualmente, la rendita integrativa può essere chiesta dal lavoratore soltanto dopo aver raggiunto l’età pensionabile.

Un'eccezione è prevista per chi è disoccupato da più di 48 mesi, che può chiedere di avere la pensione integrativa subito, a condizione che manchino meno di 5 anni dal raggiungimento dell’età pensionabile. Quando verrà approvato il ddl concorrenza, la rendita integrativa potrà invece essere richiesta da chi è disoccupato da più di 24 mesi, purché manchino meno di 10 anni al raggiungimento dell’età pensionabile.

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