Paolo VI, il Papa che non riuscì a salvare l'amico Aldo Moro

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Aldo Moro e Paolo VI. i due erano legati da un'amicizia di lunga data.
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Corrado Guerzoni, segretario personale di Moro. Fu il primo ad ipotizzare un ipotetico intervento di Andreotti sulla lettera di Paolo VI alle BR
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Padre David Maria Turoldo. Consigliò ai Socialisti di rivolgersi alla S.Sede tramite Monsignor Riva.
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Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea. Fu il contatto con la famiglia Moro e uno dei promotori del riscatto alle BR.
19630630-ROMA-INCORONAZIONE DI PAOLO VI MONTINI IN VATICANO: ALDO MORO CON LA FIGLIA. ANSA ARCHIVIO/32433
Aldo Moro si reca all'incoronazione di Paolo VI assieme alla figlia
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Moro fa visita all'amico Giovanni Battista Montini, nel 1964 già Papa Paolo VI.
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La Basilica di san Giovanni in Laterano durante la Messa di Suffragio per Aldo Moro il 13 maggio 1978

Il 9 maggio 1978 Giovanni Battista Montini, Papa Paolo VI, cadde in ginocchio nella cappella privata raccogliendosi nel dolore e nella preghiera. Aveva appena ricevuto la notizia del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro nel portabagagli della Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani. I suoi sforzi, esplicitati durante le omelie lungo i 55 interminabili giorni della prigionia e sintetizzati nella lettera indirizzata ai brigatisti, si erano rivelati vani.

Salvare la vita ad un amico

Paolo VI non era riuscito a salvare la vita ad uno statista massima espressione della politica cattolica italiana ma non soltanto: aveva perso, quel pomeriggio di 40 anni fa, un amico sincero. I due si conoscevano infatti da lungo tempo, sin dalla militanza comune nella FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) di cui proprio Montini era stato tra i fondatori. Il futuro Papa aveva chiamato proprio Moro a dirigere la Federazione negli anni difficilissimi della guerra, che costituirono un passo fondamentale nella formazione politica dello statista barese e di molti altri futuri leader della Dc.

Partecipare dunque alla tragedia di una persona che Montini considerava di famiglia fu un durissimo colpo anche per la già compromessa salute del Pontefice che si spegnerà appena tre mesi più tardi, il 6 agosto 1978.

L'intervento mediatore del Pontefice della provincia di Brescia da poco canonizzato fu duplice: da una parte gli appelli per la liberazione dell'ostaggio ripetuti in diverse occasioni pubbliche ed attraverso i media; dall'altra un'azione individuale che si sviluppò nell'arco temporale compreso tra gli ultimi due comunicati delle Brigate Rosse, tra il 24 aprile e il 5 maggio.

Tre giorni prima del ritrovamento del comunicato n°8 (quello che conteneva la richiesta di scambio con i brigatisti in carcere) Giovanni Battista Montini scrisse una lettera ai carcerieri di Moro, che diventerà oggetto di una lunga controversia per le ipotesi di manipolazione dei contenuti che si sono succedute negli anni. Nella missiva il Pontefice chiedeva la liberazione dell'ostaggio "senza condizioni".

La lettera di Paolo VI ai carcerieri di Aldo Moro

La ricezione della lettera, che pareva aver omologato l'atteggiamento del Vaticano alla linea della "fermezza" espressa dai partiti politici con l'eccezione del Psi (in primis La Dc di Andreotti) gettò Moro nello sconforto e nell'angoscia. In realtà nella prima stesura il Papa avrebbe scritto "senza condizioni imbarazzanti"(dove l'aggettivo indicherebbe più che altro l'imbarazzo come sinonimo di paralisi nelle trattative "ufficiali") lasciando quindi intendere l'intenzione del Pontefice di intervenire come soggetto di una negoziazione diretta con le BR.

Sulla correzione fatta all'ultimo minuto del testo della lettera si sono succedute numerose interpretazioni e ipotesi. Alcune di queste chiamano in causa l'allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, che avrebbe pilotato per mezzo di Agostino Casaroli (futuro Segretario di Stato Vaticano) la correzione del testo nella versione definitiva, tesi che sarà ripresa nel film di Marco Bellocchio sul rapimento Moro, "Buongiorno Notte". Il primo ad indicare la possibilità di un intervento di Andreotti fu Corrado Guerzoni, Segretario personale di Moro. La sua idea sarà smentita da successive testimonianze come quella del Segretario particolare di Paolo VI Monsignor Pasquale Macchi. Proprio il segretario sarà uno dei primi a confermare l'intenzione di Papa Paolo VI di volersi sostituire come ostaggio in cambio della liberazione di Aldo Moro. A supportare le voci sul tentativo estremo di Montini furono i pregressi che videro il Pontefice spendersi più volte in azioni simili. Si ricordano gli interventi accorati e determinati durante il rapimento di Mario Sossi tra l'aprile ed il maggio 1974. Nello stesso mese si offrì ai terroristi palestinesi in cambio dei 105 bambini sequestrati in una scuola elementare israeliana; nel 1977 offrì la sua persona in cambio degli ostaggi del volo Lufthansa 181 sequestrati dai Palestinesi a Mogadiscio.

La lettera di Giovanni Battista Montini ai carcerieri di Moro e le intenzioni del Vaticano di intervenire come intermediario nella trattativa per la liberazione dell'ostaggio furono considerate dalle Brigate Rosse come un'opportunità di ottenere quel riconoscimento politico che lo Stato italiano, con l'affermarsi della strategia della fermezza, negava.

Paolo VI e la ricerca della trattativa diretta con le Brigate Rosse

Attraverso il Vaticano, in quei due drammatici mesi del 1978, presero forma diverse iniziative alternative alla trattativa tra lo Stato e le Brigate Rosse. E'nota l'iniziativa del Vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi che, in costante contatto con i familiari di Aldo Moro, avrebbe organizzato la raccolta del riscatto pronto ad essere versato ai carcerieri in cambio della vita del prigioniero. Sempre da ambienti religiosi partì l'iniziativa di far passare la trattativa attraverso le carceri dove erano detenuti i brigatisti. Se ne occupò l'Ispettore generale dei cappellani carcerari Don Cesare Curioni, che avrebbe secondo alcune fonti ricevuto l'incarico direttamente da Paolo VI di prendere contatto con i membri delle BR, (in particolare modo alle Carceri Nuove di Torino) con l'obiettivo di raggiungere i carcerieri di Moro che chiedevano la liberazione dei detenuti politici.

Durante gli ultimi giorni della prigionia di Moro si mosse anche la Caritas, nell'intento di convogliare il rapimento sul piano umanitario. Era il 18 aprile 1978, giorno della scoperta del covo di via Gradoli e del falso comunicato n.7, quando sui giornali comparve la dichiarazione di intervento dell'organizzazione umanitaria cattolica. L'iniziativa della Caritas fu affidata a Monsignor Georg Hussler, invitato all'azione dal Vaticano, mentre la Dc si manteneva a riguardo su posizioni neutrali perché non venisse identificata l'azione umanitaria con quella politica, che si era stabilizzata sull'idea di una fermezza senza compromessi con le Brigate Rosse.

I Socialisti bussano alla porta del Vaticano

Nei giorni del sequestro Moro cercarono di mettersi in contatto con Paolo VI e la Santa Sede anche i Socialisti, sin dall'inizio favorevoli alla trattativa con i terroristi rossi. Lo fecero per suggerimento di Padre David Maria Turoldo, mentre l'iniziativa fu portata avanti dall'ambasciatore del Psi presso la santa Sede, il Senatore Gennaro Acquaviva. Questi si mise in contatto con monsignor Clemente Riva, Vescovo ausiliario di Roma.I colloqui tra i due non ebbero esito, in quanto Riva riferì tra le righe che anche il Vaticano, pur mantenendo viva la possibilità di un'iniziativa diretta del Santo Padre, si sarebbe assestato sulla linea della fermezza. Anche ai Socialisti, riferì Acquaviva, fu indicata l'esistenza di una forte somma raccolta per pagare un ipotetico riscatto.

Il 5 maggio è recapitata l'ultima lettera di Aldo Moro alla famiglia, quella che contiene le durissime accuse alla Democrazia Cristiana per il comportamento intransigente che portò il Presidente del partito di fronte alla morte. Lo scritto, testamento dell'amore di Moro per i membri della sua famiglia e per gli amici più cari, si conclude con una nota amara nei confronti di un amico di lunga data, Papa Montini. Le ultime righe della lettera recitano così: "il Papa ha fatto pochino. Forse ne avrà scrupolo". Così come Aldo Moro si sentirà abbandonato da tutti nelle ultime ore passate nella "prigione del popolo", Giovanni Battista Montini sarà affranto da queste ultime parole rivolte a lui dall'amico di sempre, che non riuscì a salvare nonostante gli sforzi compiuti.

Dio, Dio Mio: perchè mi hai abbandonato? 13 maggio 1978

Il tema della solitudine e della sconfitta ritornerà nel discorso di Paolo VI in occasione della Messa in ricordo di Aldo Moro, che rifiutò i funerali di Stato. Il Pontefice usò le parole del Salmo 22, in cui Gesù sulla croce si sente abbandonato dal Padre. L'omelia del Papa si apriva il 13 maggio 1978 con queste parole: E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui.

Signore, ascoltaci!

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