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Sequestro Moro: tutti i comunicati delle Br nei 55 giorni di prigionia

L'analisi degli obiettivi e del linguaggio dei rapitori. Le lettere di Moro durante la drammatica trattativa tra le Br e lo Stato prima della tragica fine

Tra Largo Arenula e Largo di Torre Argentina c'è un sottopasso pedonale. Sul tetto di una macchinetta automatica per le fototessere c'è una busta arancione. Dentro l'involucro, il primo comunicato delle Brigate Rosse viene ritrovato da un giornalista de "Il Messaggero" dopo una telefonata in redazione da parte dei rapitori.

Si apre così la storia dei 9 comunicati (di cui uno falso) divulgati dai brigatisti durante i 55 giorni di prigionia del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.

Di seguito, la sintesi e l'analisi dei messaggi inseriti nel contesto dei 55 giorni del sequestro.

COMUNICATO n.1 - Aldo Moro nella "prigione del popolo"

E'il primo messaggio fatto pervenire ai media due giorni dopo la strage di via Fani. Viene ritrovato sabato 18 marzo 1978. Allegato al messaggio nella busta trovata sopra la macchina per fototessere c'è la polaroid che diventerà l'icona dei 55 giorni del sequestro di Aldo Moro. Il Presidente DC è ritratto in maniche di camicia, in apparenti buone condizioni fisiche. Dietro di lui un fondale con la stella a cinque punte su cui campeggia la scritta "Brigate Rosse".

Il lessico del primo messaggio dei brigasti presenta già una serie di caratteristiche che ricorreranno nei comunicati successivi: la contrapposizione tra il "noi", che evoca anche una supposta unità del fronte terrorista ed il "loro", identificato come il nemico del proletariato (regime democristiano, Stato imperialista delle multinazionali, partiti dell'arco costituzionale ecc.).

L'impressione è quella che i redattori dei messaggi vogliano arrivare subito all'obiettivo della propria legittimazione e ad un riconoscimento da parte dello Stato come interlocutori ufficiali e rappresentanti della giustizia nei confronti di un non meglio descritto "proletariato". Proprio questa volontà emerge fin dalle prime battute, dove si dichiara la detenzione del "prigioniero" (e non "ostaggio") in uno stato di detenzione carceraria, la famigerata "Prigione del popolo".

Si nota subito l'enfasi posta dai brigatisti riguardo il successo dell'azione in via Fani, con l'eliminazione fisica non di una scorta regolare bensì degli appartenenti a non ben definiti "famigerati Corpi Speciali". Di seguito le Br analizzano il curriculum politico di Aldo Moro, che definiscono erede diretto dell'anticomunismo di Alcide De Gasperi, principale promotore dell'allontanamento di quel PCI erede della lotta partigiana dalla compagine del Governo e di conseguenza artefice della mancata rivoluzione proletaria che avrebbe dovuto seguire la fine della guerra.

Nella seconda parte del primo comunicato le Brigate Rosse passano all'incitamento e alla ricerca dell'appoggio dei "compagni" tramite l'eco attesa dai media nazionali e internazionali. Si definisce il nemico da combattere, lo Stato Imperialista delle Multinazionali (una sorta di anticipazione delle future critiche alla globalizzazione) un organo sovranazionale rappresentato in Italia dalla Democrazia Cristiana, dai Servizi e dai partiti politici (non escluso il Pci, perchè siamo al culmine della fase di avvicinamento all'area di governo nota come "compromesso storico". Quindi il primo messaggio non è tanto rivolto allo Stato, bensì ai simpatizzanti e fiancheggiatori non organici alle Br, come in una sorta di dimostrazione dell'effettivo potere dei terroristi nell'azione militare pronta a colpire direttamente il "cuore dello Stato".

Il comunicato si chiude infatti con l'uso di termini militari atti a dimostrare che vi sia in corso una guerra (come ad esempio l'espressione "stanare dai covi democristiani gli agenti controrivoluzionari" piuttosto che il "non concedere tregua" (notare che "Senza Tregua" era il titolo di un testo fondamentale sulla guerriglia partigiana scritto dal gappista Giovanni Pesce e considerato una guida negli ambienti del terrorismo come dimostrò la storia di Giangiacomo Feltrinelli). La parte finale è spezzettata in una serie di slogan, altra caratteristica ricorrente dei messaggi durante la detenzione di Aldo Moro.

COMUNICATO n.2 -  L'"Internazionale del terrore" letta dai terroristi

Questa volta, come a confermare la volontà dei rapitori di coinvolgere il più possibile i mass media e di raccoglierne la più larga eco possibile, i volantini vengono fatti trovare a Torino, Roma, Milano e Genova in seguito a telefonate alle redazioni locali dell'Ansa, delle radio e di alcuni quotidiani. E'il 25 marzo 1978.

Moro ha trascorso la Pasqua nella "prigione del popolo". Sono passati 8 giorni dal primo comunicato e la reazione dello Stato al rapimento e alla strage degli agenti di scorta aveva portato alla fiducia immediata all'esecutivo guidato da Giulio Andreotti, che aveva già reso nota la linea della "fermezza" nel rifiutare ogni tipo di trattativa con i rapitori.

L'incipit del messaggio dattiloscritto riguarda un prolisso elenco delle responsabilità di Aldo Moro nell'esercizio delle sue numerose cariche istituzionali dagli anni '50 in poi. Si fa accenno a passaggi fondamentali e oscuri nella storia della Repubblica, sopra tutti il "Piano Solo" e lo scandalo del Sifar del Generale De Lorenzo (1964). I rapitori dichiarano che tutti questi ultimi saranno i punti chiave dell'interrogatorio al prigioniero Moro e che le risposte saranno divulgate pubblicamente, cosa che non avverrà mai.

Il comunicato, diviso anche in questo caso in due parti distinte, affronta quindi la definizione del nemico sovranazionale, quel fantomatico Stato Imperialista retto manu militari da organizzazioni identificate come "Internazionale del Terrore". Stati Uniti e Israele sarebbero i centri nevralgici della controrivoluzione e della repressione della lotta comunista e proletaria (contro gli irlandesi dell'IRA, i Palestinesi, I tedeschi della Raf, i Tupamaros). Importante il riferimento all'autonomia delle BR messa in dubbio dai giornali nella prima settimana della prigionia di Moro. Lo scritto si chiude con un riferimento non privo di interrogativi: si rende onore ai due giovanissimi "compagni" milanesi Fausto Tinelli e Lorenzo "Iaio" Iannucci, assassinati il 18 marzo 1978. Nonostante gli organi di informazione e gli inquirenti credessero fermamente nella pista dello spaccio di droga, le Br escludono anche il possibile movente politico indicando chiaramente il duplice omicidio quale opera di "sicari del regime", come fossero stati a conoscenza di qualche elemento oscuro nella vicenda.

COMUNICATO n.3 - La lettera a Cossiga. L'attacco al Pci di Berlinguer

La sera del 29 marzo 1978 si ripete la pratica usata per il recapito del comunicato precedente, fatto ritrovare nelle stesse città dopo le telefonate alle redazioni. Allegata al messaggio delle Br viene ritrovata una lettera scritta da Aldo Moro a Francesco Cossiga (Ministro degli Interni). L'autenticità delle parole del Presidente della Dc è subito messa in dubbio, poiché suona come un testo dettato dai carcerieri al fine di alzare il tono della trattativa con lo Stato.

Ormai il Governo ed i rappresentanti dei partiti hanno definito la propria linea, con la Dc, il Pc e l'Msi per la fermezza, alla quale si contrapponeva la voce dei Socialisti di Craxi e dei Socialdemocratici aperti alla trattativa per avere salva la vita di Moro. La minaccia di rendere pubbliche le missive del prigioniero che avrebbero potuto contenere elementi compromettenti nei confronti della politica italiana fu una sorta di boomerang per Moretti e i suoi, che trovarono inefficaci e sminuite le armi costituite dalle parole di Moro da parte dei destinatari del comunicato.

La risposta della controparte, rappresentata dalla posizione di assoluta intransigenza di Giulio Andreotti, costrinse i carcerieri a dichiarare che il "prigioniero" collaborasse fattivamente e stesse svelando segreti inquietanti. L'attacco è poi diretto al Partito Comunista Italiano accusato di tradimento del proletariato per la sua opera di "spionaggio e delazione" nel fabbriche. I toni contro Berlinguer sono durissimi: è il capo di un partito di traditori e spie asservito al potere Dc, alla quale in quei mesi i comunisti si sarebbero avvicinati. Il testo qui rispecchia l'origine vetero marxista del linguaggio originario delle Brigate Rosse sin dalla fondazione nel 1970.

COMUNICATO n.4 - Moro abbandonato, lettera a Zaccagnini - Le Br sulla difensiva

Squilla il telefono alla redazione milanese del quotidiano "La Repubblica". Una voce anonima annuncia la pubblicazione del quarto comunicato dopo il rapimento Moro. E' il 4 aprile del 1978. Anche in questo caso assieme al volantino viene ritrovata una lettera del prigioniero al Segretario della Dc Benigno Zaccagnini. Nello scritto autografo al compagno di partito Moro si sarebbe lamentato della linea intransigente espressa dai Comunisti, sentiti come traditori degli accordi del "compromesso storico".

In un passo del manoscritto emerge una contraddizione con il primo comunicato riguardo la sicurezza della scorta e l'inadeguatezza i mezzi a disposizione di quest'ultima al momento dell'agguato di via Fani. Una situazione ben diversa da quella descritta dai terroristi che si erano pregiati di aver eliminato un nucleo di teste di cuoio armate di tutto punto.  Il comunicato va subito sulla difensiva: Moro è stato lasciato solo dalle istituzioni, e lo scritto a Cossiga divulgato con il comunicato n.3 sarebbe stato autenticamente redatto dal prigioniero, nonostante i giornali e le tv lo considerassero un messaggio sotto dettatura. Segue un testo contorto e scritto in un linguaggio esortativo sulle intenzioni programmatiche nel passaggio dall'azione clandestina alla vera e propria guerra del proletariato contro lo Stato Imperialista delle Multinazionali con una serie di passaggi strategici che ricalcano in qualche modo le azioni (non ben declinate nella realtà socio-economica italiana del 1978) dei primi nuclei comunisti organizzati alle origini della Rivoluzione di Ottobre.

COMUNICATO n.5 - Stralcio del "processo" a Moro, attacco a Paolo Emilio Taviani e al Pci di Berlinguer

E'un giorno di primavera ai Giardini Pubblici di Palestro, nel cuore di Milano. In un cestino dei rifiuti viene ritrovato il quinto comunicato dal giorno del sequestro di Aldo Moro. E' il 10 aprile 1978.

Questa volta, insieme al consueto volantino con la stella a cinque punte è presente una parte delle risposte di Moro alle domande del "Tribunale del popolo". E'uno dei passaggi più inquietanti dei 55 giorni di prigionia, in quanto l'attacco è rivolto a Paolo Emilio Taviani, chiamato con spregio dai brigasti "teppista di Stato".

Colpisce il fatto che proprio Taviani fosse stato in quei giorni uno dei più convinti sostenitori della fermezza contro ogni trattativa. Il politico Dc è chiamato in causa come tessitore di trame con i Servizi, la CIA, le altre cariche dello Stato in una rete segreta che ricorda da vicino la descrizione dell'organizzazione "Gladio".

Le Brigate Rosse riprendono il discorso di Moro con una dimostrazione di forza che parte proprio da Taviani e dalle origini del terrorismo in Italia: il gruppo XXII ottobre di Genova (omicidio Floris, 1971). Le parole che seguono sono un elenco dell'azione delle Br della colonna genovese contro la "cricca democristiana" duramente colpita con l'uccisione del giudice Francesco Coco l'8 giugno 1976, il rapimento del magistrato Mario Sossi il 18 maggio 1974 ed altre azioni andate a segno come i ferimento del dirigente Ansaldo Carlo Castellano (17 novembre 1977).

Sembra ancora un passo di difesa, quello compiuto dai redattori del comunicato numero 5: la trattativa sta andando in stallo, la risposta dello Stato è ancora stabile sul rifiuto. E' necessario per i sequestratori ribadire ancora una volta l'azione del fantomatico "partito armato dei proletari" in contrasto all'azione "repressiva" dello Stato, alla quale parteciperebbero attivamente Berlinguer ed il P "C" I, con le virgolette sulla "C" al fine di sottolineare il tradimento dell'ideale comunista.

COMUNICATO n.6 - L'imputato Moro è condannato a morte dal "popolo"- il distacco dalla realtà delle Br

Ancora una volta una telefonata a "Repubblica" anticipa il ritrovamento di un comunicato. Stavolta a Roma, ancora in un cestino dei rifiuti in via dell'Annunciata. E' il 15 aprile 1978 e sono passati appena cinque giorni dal comunicato ritrovato a Milano.

L'attacco del comunicato sembrerebbe ad una prima lettura indicare il fallimento degli obiettivi del processo a Moro, il quale secondo i brigatisti non avrebbe aggiunto nulla di nuovo alla storia del potere democristiano dal dopoguerra. E'il comunicato che preannuncia la sentenza di morte per l'imputato del "Tribunale del popolo". Nelle parole dei brigatisti irrompe un linguaggio che per la prima volta utilizza una terminologia molto vicina a quella della mafia. I capi della Dc sono descritti infatti come "boss", appartenenti ad una "cosca" di politici.

L'analisi delle Br di Moretti su 30 anni di Stato Imperialista sostenuto dalla Dc esce dai binari della realtà. La descrizione dell'oppressione di stato nei confronti delle avanguardie comuniste evoca direttamente la storia del nazismo: arresti di massa, rastrellamenti, torture, campi di concentramento per i "compagni combattenti". Non c'è più alcun riferimento a fatti precisi come nel caso del comunicato precedente ( citazione dell'esperienza delle Br a Genova).

COMUNICATO n. 7 (FALSO) - Il cadavere di Aldo Moro sul fondale del lago della Duchessa

Viene trovato la mattina del 18 aprile 1978 a Roma in piazza Belli, a pochi passi dal Ministero di Grazia e Giustizia. Non è un documento originale, ma una copia battuto utilizzando una macchina da scrivere diversa dalla precedente. Importantissima la data del 18 aprile, che coincide con il ritrovamento del covo romano delle Br in via Gradoli 96, occupato da Mario Moretti e Barbara Balzerani ai vertici della colonna romana dell'organizzazione terroristica e autori della strage di via Fani.

Inizialmente identificato come autentico dagli esperti, in realtà differisce dagli altri comunicati per molti aspetti, a partire da quello sintattico lessicale, ai contenuti, all'italiano incerto che lo allontanava dai messaggi ritrovati sino ad allora. Era inoltre molto più breve degli altri e non conteneva i soliti slogan conclusivi. Il messaggio annunciava l'avvenuta esecuzione del Presidente della Dc e l'occultamento del cadavere nei fondali "limacciosi" del lago della Duchessa, uno specchio d'acqua a 1,800 metri di quota tra Lazio ed Abruzzo. Naturalmente i sommozzatori giunti sul posto non trovarono altro che ghiaccio e neppure l'ombra del corpo di Aldo Moro, che era ancora in vita. Il comunicato del lago della Duchessa fu realizzato dal falsario Tony Chichiarelli, collegato alla banda della Magliana.

COMUNICATO n.7-  Moro è vivo, tutta la colpa è di Andreotti. L'ultimo scambio possibile.

Il vero comunicato n.7 delle Brigate Rosse fu trovato due giorni dopo quello fasullo. Era stato lasciato a Roma in via dei Maroniti nella solita busta arancione. Nell'involucro c'è la seconda foto di Aldo Moro, quella che i brigatisti usarono per dimostrare immediatamente l'esistenza in vita del prigioniero, ritratto mentre tiene in mano una copia del quotidiano "La Repubblica" datata 19 aprile.

Il linguaggio torna quello dei veri comunicati divulgati precedentemente. Il cuore del messaggio sono le pesantissime accuse al Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, che sarebbe stato l'autore del falso comunicato, di anni di trame con i Servizi deviati e addirittura della bomba in Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 come atto primo della "strategia della tensione". L'opinione delle Br a riguardo lascia un interrogativo riguardo alla decisione di colpire Aldo Moro piuttosto che Andreotti. Dopo il consueto delirio sulla risposta delle forze proletarie armate, giunge l'ultimatum di 48 ore allo Stato: la vita di Moro in cambio della libertà dei brigatisti incarcerati. O la sentenza del "popolo" sarà eseguita nonostante gli appelli giunti alle Br da parte del Papa Paolo VI, della Caritas, delle organizzazioni umanitarie internazionali.

COMUNICATO n.8- Funesti presagi di un condannato a morte, la lista dei brigatisti per lo scambio

Il penultimo comunicato delle Br, ritrovato il 24 aprile 1978, giunge in un momento particolarmente drammatico dei 55 giorni del sequestro dello statista Dc. Due giorni prima il Papa Paolo VI aveva rivolto un appello ai brigatisti letto ambiguamente, poiché il pontefice implorava la liberazione dell'ostaggio "senza condizioni", escludendo quindi ogni forma di scambio o trattativa con i rapitori.

La fermezza del governo Andreotti procedeva parallelamente all'isteria generale e allo spiraglio letto dai sostenitori della trattativa capeggiati da Bettino Craxi. Il clima di chiusura alle richieste delle Br gettò Aldo Moro (che soffriva da tempo di una forma depressiva) nello sconforto, che si può leggere in una secondalettera a Zaccagnini nella quale il prigioniero accusa la condotta dei democristiani annunciando un cupo avvenire per la politica italiana che avrebbe pagato caro il prezzo del suo sacrificio. Il comunicato contiene i nomi dei brigatisti di cui i rapitori richiedono la liberazione in cambio di Moro. Sono in tutto tredici (Tra cui Franceschini e Curcio, oltre al delinquente comune Sante Notarnicola e altri detenuti).

COMUNICATO n.9 - La trattativa è fallita. Il Tribunale del popolo ha emesso la sentenza di morte per colpa della Dc e del Pci

L'ultimo messaggio delle Brigate Rosse precede di soli quattro giorni l'esecuzione di Aldo Moro. Il ritrovamento avviene intorno alle 16,30 del 5 maggio 1978 e a Torino viene lasciato in un luogo macabramente evocativo: nei pressi di Corso Regina Margherita e via Valdocco. E' il "Rondò della Forca" dove fino all'800 venivano impiccati i condannati a morte.

Passano ben 10 giorni dall'ultimo messaggio in cui si moltiplicano gli appelli umanitari, si riaccende la flebile speranza di salvare la vita di Aldo Moro. In questo lasso di tempo il prigioniero moltiplica i suoi appelli per la trattativa, includendo anche politici al di fuori del suo partito come Pietro Ingrao e naturalmente Bettino Craxi. Il comunicato n.9 giunge alle redazioni come una doccia fredda.

Il linguaggio dei terroristi si fa greve nello scaricare la responsabilità di un processo (deciso e svolto solo ed esclusivamente dalle Br) sulla Democrazia Cristiana e addirittura su Luciano Lama e Enrico Berlinguer. Tornano i temi ossessivi del nazismo, dei lager, delle SS e la descrizione delirante di sistematici "rastrellamenti nei quartieri proletari" perpetrati dalle Forze dell'Ordine.

I rapitori di Moro, dopo aver annunciato ufficialmente la fine del processo e l'imminente esecuzione dell'imputato, si aggrappano alla consolazione di una presunta vittoria sullo Stato Imperialista, che non sarebbe riuscito ad individuare il carcere del Presidente Dc in quasi due mesi di sequestro. La postilla che segue la firma in calce al messaggio dichiara la volontà di diramare gli atti del processo del "Tribunale del popolo" ad un fantomatico "Movimento rivoluzionario". L'intenzione non avrà naturalmente alcun seguito.

Quello che accadrà quattro giorni dopo sarà proprio l'esecuzione di Aldo Moro. Era il 9 maggio 1978. Per l'Italia la morte del Presidente Dc significherà la fine di un percorso che cambierà la storia della vita politica nazionale: la morte, contemporanea a quella del suo massimo esponente, dell'idea di "compromesso storico" tra la Dc e il Pci.

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La prima polaroid di Moro durante il sequestro era allegata al comunicato n.1 del 18 aprile 1978

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Edoardo Frittoli