La Fed e la multa alle banche americane: motivi e conseguenze

Nessuna sorpresa, la multa era nell’aria. Si è conclusa, forse in via definitiva, la querelle sui tassi di cambio manipolati da un pool di banche iniziata nel 2013. Barclays, Citigroup, J.P. Morgan e Royal Bank of Scotland si dichiareranno colpevoli di aver manipolato il mercato, nello specifico il cambio euro-dollaro. E quindi dovranno pagare alle autorità di Stati Uniti e Regno Unito sanzioni per complessivi 5,6 miliardi di dollari, di cui 1,8 miliardi che finiranno alla Federal Reserve. Multe che però rischiano di essere un episodio isolato.

Quanto è il conto?

Tutto era nato nel 2013, quando l’agenzia di stampa Bloomberg narrò per prima le possibili manipolazioni del mercato dei cambi e dei tassi d’interesse. Secondo le indiscrezioni che emergevano dal mondo bancario, un gruppo di banche, le maggiori a livello globale, avevano istituito un cartello per tenere sotto controllo i mercati di riferimento. E sulla base di ciò sono partite le indagini, che hanno portato alla presa di coscienza, da parte delle autorità, dell’esistenza di reati concreti. Infatti Barclays, Citigroup, J.P. Morgan e RBS sono state prima di tutto sanzionate sulla base di reati, come la manipolazione del mercato. Nello specifico, Citi è stata multata per 925 milioni di dollari, Barclays per 650 milioni, JPM per 550 milioni e RBS per 395 milioni.

Vanno però aggiunte le sanzioni comminate dalla Federal Reserve. Vale a dire, 342 milioni di dollari per Citi, Barclays e JPM, 274 milioni per RBS. Coinvolte, anche per questioni diverse, la svizzera UBS, sanzionata per 203 milioni di dollari per lo scandalo della manipolazione del London interbank offered rate (Libor), cioè il tasso d'interesse a cui si prestano i soldi gli istituti bancari britannici. E sanzionata anche Bank of America-Merrill Lynch, 205 milioni di dollari, nell’ambito dell’indagine della Fed. Nessun reato per BofA-ML. A questa girandola di multe bisogna però aggiungere i 2,5 miliardi di dollari comminati dalla giustizia USA e UK alla tedesca Deutsche Bank, sempre nell’ambito del Libor, a cui si sommano i 725 milioni di euro pagati nel 2013 alle autorità europee per lo stesso motivo. 

È stata ravvisata l'esistenza di un cartello sul tasso di cambio fra euro e dollaro

L’impatto sui conti

L’impatto delle sanzioni non è irrilevante per le banche coinvolte. Per Bank of America-Merrill Lynch, quella meglio posizionata, si tratta dello 0,3% del common equity, per J.P. Morgan è l’1,1% e per Citi l’1,6 per cento. Sopra il 2%, più precisamente il 2,2%, troviamo Royal Bank of Scotland, mentre in vetta troviamo UBS, con un impatto del 3,7% del common equity. Ma ciò che importa di più non sono i meri risvolti finanziari, quanto le conseguenze future delle sanzioni. Due sono le domande da porsi e, quindi, due le considerazioni legittime. Prima domanda: è possibile che nessuno dei regolatori si sia accorto di ciò che avveniva sul mercato Forex? Un cartello, di qualunque tipo, non esiste fino a quando non c’è l’evidenza che esso danneggi la pluralità. 

La gestione di un mercato

Ed ecco la prima considerazione. Dal momento in cui il mercato è gestito da pochi, selezionati, operatori, è palese che essi operino in una sorta di patto di non concorrenza. Traduzione: telefonate, chat, email e comunicazioni di vario genere su “come fissare il tasso di cambio nella giornata odierna” (frase pronunciata spesso dagli operatori, riportata nei documenti in possesso ai regolatori) sono all’ordine del giorno. Ed è normale che sia così. Il coordinamento è utile per evitare danni collaterali. Pensiamo all’operato delle banche centrali. È lapalissiano che esiste una linea guida nelle azioni della Federal Reserve, della Banca centrale europea, della Bank of England e delle maggiori istituzioni monetarie mondiali. Gli effetti, o meglio i danni collaterali, di una mossa a sorpresa, senza coordinamento, si sono osservati pochi mesi fa, quando la Swiss National Bank ha tolto il floor di 1,20 nel cross franco-euro. Il panico ha preso il sopravvento sul mercato e con esso sono arrivate le perdite, milionarie, per diversi agenti economici.

Le banche coinvolte saranno sottoposte a una maggiore vigilanza


Quali conseguenze future?

La seconda domanda riguarda ciò che sarà dopo. Possono delle sanzioni pecuniarie, con relativi controlli più serrati per un dato numero di tempo, ridurre la formazione di cartelli? La considerazione è presto formulata. In un segmento in cui l’accesso è sottoposto a diverse variabili, fra cui l’expertise e la reputazione dei partecipanti, non è pensabile che possa esserci approssimazione. Ciò però non significa che il singolo (sia se si considera come operatore sia come team) possa farsi prendere la mano e agire in modo indisturbato, manipolando a suo piacimento il mercato di riferimento. Il metro di paragone sono i prodotti finanziari derivati, diventati dopo la crisi subprime il male assoluto per molti narratori della finanza. Non è lo strumento in sé a essere dannoso, quanto il suo utilizzo sconsiderato. È il libero arbitrio del singolo che provoca i danni maggiori, dato che spesso è mosso da un impulso che nulla a che fare con la ricerca dell’efficienza del mercato, quello dell’avidità. L’impressione di fondo è che, nella pratica, cambierà poco. Continuerà a essere un cartello de facto, anche perché solo pochi operatori hanno le caratteristiche necessarie per gestire un mercato così delicato come il Forex. 

L’educazione dei singoli

I regolatori hanno imposto alle banche coinvolte controlli più serrati, una rendicontazione più precisa e un monitoraggio più profondo. È quasi come un’ammissione di colpa. Del resto, ci fosse stata una vigilanza meno squilibrata, volta più a punire che a prevenire, non si sarebbe arrivati a questo punto. La rivoluzione, come disse l’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan, non si fa con le multe, ma con l’educazione dei singoli. In questo caso, a non delinquere.

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