Gomorra: perché va guardata, nonostante le critiche

Questa serie non s’ha da vedere. È diseducativa. Le prese di distanza da Gomorra da parte di tre importanti Procuratori impegnati contro le mafie (Nicola Gratteri, Federico Cafiero de Raho e Giuseppe Borrelli) sono la peggiore recensione che la serie italiana più vista (e venduta) all’estero potesse ricevere. Soprattutto se si pensa che Gomorra è figlia di un caposaldo della cultura dell’antimafia: il best seller di Roberto Saviano pubblicato da mondadori nel 2006. Eppure questo non è bastato a evitare il corto-circuito: nel passaggio dal reportage alla fiction, infatti, i camorristi si sono umanizzati, generando empatia nel pubblico (un certo pubblico, ndr) e in questo è difficile dare torto ai magistrati. Ma d'altro canto liquidare Gomorra come “rappresentazione tranquillizzante” è solo in parte condivisibile, per almeno 4 motivi (attenzione: spoiler)

Il male? In Gomorra non paga

Se c’è una serie dove i cattivi alla fine non vincono è proprio Gomorra. A ogni azione (malvagia) di Ciro, Genny, Don Pietro, Donna Imma, Scianèl corrisponde sempre una reazione uguale e contraria: sparatorie, il carcere, la perdita degli affetti, la morte. E in Gomorra si muore in modo persino più atroce che in Game of Thrones. Un esempio? Nel finale della seconda stagione, la Grande Mietritrice si porta via persino la piccola figlia incolpevole di Ciro “l’immortale”, che per vendicarsi ucciderà Don Pietro Savastano mentre è al cimitero. E a suggerirgli di farlo è proprio il di lui figlio Genny, perché in terra di mafia anche gli affetti familiari cedono il passo al più bieco interesse.

Nessuna indulgenza

Genny e Ciro, i protagonisti della serie mostrano rari sprazzi di umanità. Sono crudeli, cinici e gretti: non hanno pietà né esitazione nel prendersela con i più deboli e gli innocenti. La loro ferocia è ampiamente raccontata. Il problema forse è: saranno tutti gli spettatori in grado di comprendere il lato oscuro della loro forza?

La denuncia

La supervisione di Saviano alla serie non è una pura formalità: si vede che lo scrittore si è messo d’impegno perché negli script trovi posto la spiegazione di come realmente opera la camorra. Gli sceneggiatori "rubano" a man bassa dalla cronaca e dagli atti processuali quando raccontano, per esempio, come funziona il business dei cimiteri in alcuni luoghi della Campania. Nel sesto episodio della terza stagione (attualmente in onda) la parte procedurale di Gomorra si sofferma su una giovane famiglia, che paga ai boss una discreta somma perché il marito abbia un posto di lavoro al nero. Ma quando lui si lamenta dello stipendio, viene barbaramente ucciso davanti agli occhi del figlio disabile. Oltre al danno la beffa: la moglie sarà infatti costretta a scegliere l’impresa di pompe funebri del boss che ha ordinato l’esecuzione, e che con quei soldi, assieme alle tangenti richieste per dare lavoro, riscatterà aziende in difficoltà, rigenerando continuamente le finanze dei clan. Semplificazioni in parte, è vero: ma è anche su certe semplificazioni che si basa l’economia del male in terra di mafia. E mostrarlo in una serie tv (forse) vale più di 10 articoli di giornale.

La qualità

Gomorra è un prodotto di buona fattura. Le recensioni entusiastiche dei giornali americani abituati a confrontarsi con serie di altissima qualità, lo dimostrano: il taglio cinematografico paga e la recitazione degli attori marca una grande differenza con altre fiction. Ammettiamolo, se c’è una serie che ha alzato gli standard della fiction italiana è proprio Gomorra. O no?

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