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MARCO BERTORELLO/AFP/Getty Images
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I liberali europei dicono No a Beppe Grillo

L'establishment ha deciso di fermare l'ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento Europeo. Tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi. Abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima. Grazie a tutti coloro che ci hanno supportato e sono stati al nostro fianco. La delegazione del MoVimento 5 Stelle in Parlamento Europeo continuerà la sua attività per creare un gruppo politico autonomo per la prossima legislatura europea: il DDM (Direct Democracy Movement).


E infine Beppe Grillo ha dovuto trangugiare l'amaro calice europeo. Lo ha trangugiato a modo suo, chiamando in causa il complotto del sistema e cercando di rassicurare la base disorientata sul suo blog, con un post intitolato L'establishment contro il MoVimento 5 Stelle

Ma la verità è un'altra, ed è anche piuttosto imbarazzante:  gli europarlamentari liberaldemocratici a Strasburgo, a maggioranza, hanno subito espresso la loro contrarietà all'ingresso del M5S nel Gruppo dei liberali a Strasburgo costringendo il leader belga Verhofstadt - con cui Davide Casaleggio e lo stesso Grillo avevano condotto la trattativa - a fare una rapida marcia indietro. Sono stati soprattutto i francesi e i tedeschi a segnalare  che i valori euroscettici del gruppo grillino sono incompatibili con quelli dell'Alde e che quindi, senza il loro voto, non sarebbe mai stato possibile raggiungere i 2/3 dei voti necessari per cambiare la composizione del Gruppo.

A voler fare una sintesi, potremmo dire che Grillo ha perso la sua battaglia europea, non prima di aver perso la faccia in Italia con una mossa a sorpresa, che ha preso in contropiede i suoi stessi europarlamentari. 


La mossa è stata in sostanza aprire sul blog, senza nessun preavviso, un referendum lampo per decidere la nuova collocazione politica del M5S nel parlamento europeo. L'idea di fondo (che assomigliava a una capriola) era semplice: abbandonare il gruppo di Farage, il leader anti-immigrazione inglese con cui  Grillo stesso s'incontrò in un pub durante la campagna per le Europee 2014, e aderire al gruppo liberaldemocratico (ALDE) a Strasburgo, cioé a un gruppo di moderati europeisti – per dirla con le parole iperboliche usate dallo stesso Farage – che è considerato «il più euro-fanatico» di tutti i gruppi presenti a Strasburgo. 

La votazione online si è conclusa come voleva Grillo, con un'affluenza di 40.654 iscritti certificati pari a circa il 40% degli aventi diritto al voto, e  il 78,5% dei votanti che hanno votato Sì al passaggio all'Alde. Quello che Grillo non aveva previsto - nonostante l'accordo con Verhofstadt - era il no maggioritario dei liberali europei. Qualcuno, prima che giungesse la notizia della bocciatura all'ingresso del M5S nell'Alde, aveva provato a buttarla sul ridere sostenendo che i grillini potevano ora aprire il parlamento europeo come una scatola di caviale, ma lo Champagne lo avrebbe portato Guy Verhofstadt, il capogruppo ALDE che fino a qualche mese fa veniva presentato sul blog di Grillo come uno dei cosiddetti imprensentabili.

Ma il guaio per Grillo - e il boomerang in termini d'immagine - è soprattutto interno. I primi a rimanere interdetti erano stati, in primis, molti europarlamentari ed esponenti grillini. Ma anche molti iscritti hanno manifestato sul blog tutto il loro stupore di fronte al dietrofront imposto da Grillo. 

C'è chi ha subito contestato sulla sua pagina facebook il metodo scelto da Grillo, cioé l'assoluta opacità di un voto di cui erano all'oscuro fino a ieri quasi tutti gli eurodeputati del M5S, e c'è chi ha preferito sottolineare  - come Carlo Sibilia o l'eurodeputato Marco Zanni - l'incongruenza di aderire a un fronte come quello dell'ALDE che ha sempre votato a favore di accordi come il TTIP contro il quale in Italia il gruppo grillino lancia da anni fulmini e saette. Ci hanno pensato i liberali, di fatto, a dar loro ragione.

E dire che il significato politico di questa svolta, a differenza di quello che aveva il nuovo codice etico salva-Raggi approvato sul blog prima di Natale, era solo apparentemente di difficile lettura. 

Farage, che di Grillo conosce anche la spregiudicatezza politica, lo aveva previsto sin da ieri, a urne (del blog) aperte: l'alleanza M5S-ALDE non durerà. La raguone era semplice: l'adesione all'ALDE del M5S, più che disegnare una convinta svolta  filoeuropea del M5S, doveva servire a creare - come scrive Grillo sul suo blog -  il «terzo eurogruppo a Strasburgo» (contrattando però una posizione che riservi però ai suoi eurodeputati un'assoluta autonomia di voto), a incassare il corposo bonus di 700 mila euro destinato ai partiti che aderiscono a un gruppo parlamentare europeo, a giocare fino in fondo la partita delle nomine e delle poltrone destinate soltanto ai partiti che aderiscono ai Gruppi, infine a non perdere il privilegio dei riflettori in vista della vera campagna campale che immaginano Grillo e Casaleggio jr: quella per la conquista del potere  a Roma.

Non c'era alla base del referendum farsa indetto da Grillo nessuna scelta strategica europeista, nessun cambio di visione. In sostanza Farage non andava più bene ai due capi assoluti del M5S, non perché estremista o antieuropeista, ma perché sempre più irrilevante numericamente nell'europarlamento dopo la vittoria referendaria della Brexit.  

Non c'era insomma altro insomma che tatticismo, cinismo politico e guerre di poltrone e di denari, dietro questa sventata svolta, così come il nuovo codice etico garantista che qualcuno ha definito perfidamente ad-giuntam (romana) era nato da esigenze contingenti, legate alle inchieste che da Livorno a Quarto fino a Roma stanno investendo anche le giunte 5S.


Dal campione dei diritti Stefano Rodotà al leader anti-immigrazione Nick Farage, da Nick Farage fino ai falliti corteggiamenti dei moderati e laici filoeuropeisti di ALDE, il M5S si conferma un partito privo di una linea strategica che continua senza interruzioni, sin dal 2013, a collezionare cambi di pelle politici, pur di avere sempre i riflettori ben puntati addosso. Il problema è che in italia le cose talvolta gli vanno bene, ma in Europa sono pochi quelli disposti a dargli credito.  La sola stella polare, sin dal 2013, è stata un'altra: la spregiudicatezza politica del fondatore e, ovviamente, il verticismo gerarchico. 

Il più esplicito nelle critiche è stato Claudio Messora, ex responsabile della comunicazione del M5s al Parlamento Europeo, che sul suo blog ha pubblicato la lettera ricevuta dal gruppo dei liberali nel 2014, alla vigilia delle elezioni, quando  ancora era a Strasburgo. Una lettera durissima contro il M5S dove i liberali sostenevano "che il Movimento 5 Stelle vuole portare l’Italia fuori dall’Eurozona" e che "nei fatti è profondamente anti-europeo". 

Ma chi perde, in questa battaglia, è anche Guy Verhofstadt, il capo dell'Alde contro il quale il M5S tuonava fino a qualche tempo fa, e che si è detto  favorevole all'ingresso del M5S nel suo gruppo per "dividere il fronte populista". Gli è andata male e probabilmente per questo, come ha dichiarato il capodelegazione dell'Alde, non potrò più ambire a  diventare il presidente del parlamento europeo. Aprendo la trattativa con Grillo, si è giocato infatti il possibile voto del gruppo socialista europeo. Guy e Beppe

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