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Luigi de Magistris esce dalla casa del suo alleato Carlo Tansi, a Montalto Uffugo, il 19 gennaio 2021 (Ansa).
Politica

De Magistris: «Torno in Calabria a combattere la masso-mafia. Stavolta da politico»

C'è uno spettro che s'aggira per la Calabria. E non si tratta né del celebre racconto di Edgar Allan Poe, né dell'incipit del Manifesto del Partito comunista. A cavallo di Tirreno e Jonio si è materializzato Luigi de Magistris, che si è candidato alla guida della Regione. L'annuncio è arrivato l'8 febbraio, quando a Cosenza Il sindaco di Napoli e l'ex direttore della Protezione civile calabrese, Carlo Tansi (che in caso di vittoria sarà presidente del Consiglio regionale) hanno ufficializzato la loro alleanza elettorale. Panorama.it lo ha incontrato per un dialogo serrato, per capire spinte e contro-spinte che l'hanno indotto a tuffarsi nell'agone politico di una delle realtà politico-amministrative più complesse d'Europa. Tra queste maglie, il 53enne sindaco di Napoli ha lasciato innumerevoli amici ed estimatori della prima ora. Ma anche molti nemici, equamente distribuiti e ben camuffati tra le rovine dei due tradizionali schieramenti partitici costituzionali. E forse ora pronti a sferrargli l'attacco decisivo. Ma lui non molla. «Non mi avrete mai perché sono un uomo libero» dice secco Luigi de Magistris., che dopo due mandati nelle prossime settimane lascerà la guida di Napoli. A metà tra il ribelle genere Masaniello e il magistrato tutto d'un pezzo, l'aspirante governatore manda un chiaro messaggio al coacervo masso-mafioso che tiene in pugno le sorti dei calabresi.

Dottor de Magistris, si dice che a volte ritornino. Lei pare stia ritornando, in Calabria.

«Forse non me ne sono mai andato, nel senso che il legame con questa terra è, da sempre, indissolubile. Umano, politico, istituzionale e, quel che più conta, di affetto».

Per gli inglesi lei potrebbe essere vittima di un «momentary lapse of reason», di una momentanea perdita della ragione. Sicuro di voler candidarsi a governatore?

«Convintissimo. Scelta di cuore e della ragione, per costruire un laboratorio politico che metta insieme rottura del sistema e capacità di governo».

Non ci faccia scomodare il suo conterraneo Ernesto De Martino: non è che lei è vittima di una classica «fascinazione» alla calabrese?

«Addirittura. Assicuro tutti che sono nel pieno delle mie facoltà mentali».

Vedremo. Intanto torniamo alla Napoli della prima metà anni Ottanta: Liceo classico Pansini, roccaforte dell'estrema sinistra studentesca.

«Era l'epoca in cui si doveva scegliere se votare Pci o Democrazia proletaria, in cui i rimaneva affascinati da Enrico Berlinguer. Lotte studentesche che mi hanno formato».

Le cito il saggio "I rivoluzionari" dello storico Eric Hobsbawm…

«Eh, bel libro, uno dei migliori saggi di storia. Feci preoccupare i miei».

Estate del 1985, dopo la maturità: filosofia o giurisprudenza?

«Ero profondamente appassionato di filosofia, attesi sino alla scadenza dei primi di novembre, poi optai per il diritto e non mi sono mai pentito. Alla fine, la filosofia è la base del diritto».

Filosofia del diritto, insomma.

«Complimenti per la sintesi».

Con un padre (e un nonno) magistrato, la scelta sarà stata piuttosto scontata.

«Meno di quanto si possa immaginare. Prima di iscrivermi a Legge, non pensavo proprio di "fare" il Pm».

Suo padre fu l'estensore della sentenza d'appello nel «caso Cirillo», a Napoli.

«L'ex ministro della sanità Francesco De Lorenzo è stato uno dei pochissimi ministri che ha riportato una condanna passata in giudicato. Ed eseguita».

Laurea nel 1990, prove scritte per la magistratura nel maggio del 1992. Immaginiamo il clima di quei giorni…

«Indelebile. Il presidente della mia Commissione si chiamava Francesca Morvillo, moglie di Giovanni Falcone. Il 22 maggio del 1992 consegnai la mia ultima prova scritta proprio nelle sue mani. Il giorno dopo ci fu l' "apocalisse" a Capaci».

Dopo l'uditorato, la scelta della sede: Brindisi o… Catanzaro.

«Racconto un episodio. Avevo pre-scelto la carriera in Procura e la sede più vicino casa, ancora libera, era Brindisi. Fui raggiunto da una collega brindisina che aveva saputo della mia pre-opzione per la sua città, e mi chiese se potevo lasciargliela libera. Rimanevano Catanzaro e Reggio Calabria. Catanzaro era più vicina a Napoli».

Questa sua collega ha ancora oggi una bella responsabilità.

«Le devo molto, se non mi avesse bussato alla porta, quest'intervista lei non me l'avrebbe mai chiesta».

A Catanzaro rimase, una prima volta, tra il 1995 e il 1998.

«Indossai la toga il primo dicembre del 1995, giorno del giuramento. L'allora procuratore capo Mariano Lombardi mi disse di prendere possesso dell'ufficio: fui inondato di faldoni, ma non avevo neanche la mia stanza, nonostante sapessero, da dieci mesi, del mio arrivo».

Bell'accoglienza. Dicono che i calabresi siano ospitali…

«Ci sono calabresi e… calabresi».

Esordì con l'inchiesta per la realizzazione del nuovo Palazzo di Giustizia. Una specie di derby, in pratica.

«Il primo di una lunga serie, con molte partite di andata e ritorno. Non impiegai molto a capire che gli ostacoli sarebbero arrivati dall'interno dell'ordine giudiziario».

Come finì quel procedimento?

«Proscioglimento in udienza preliminare "perchè il fatto non costituisce reato" ».

Non siamo tutti giuristi, ovvero?

«Il fatto venne commesso - si trattava dell'utilizzo del cemento armato depotenziato rispetto alla disciplina antisismica - ma gli autori non volevano commetterlo, perché non sapevano che fosse un reato».

Ci perdoni!

«Sarò chiarissimo: ha presente quando i bambini, organizzati in bande, litigano e si tirano le pietre? Lo abbiamo fatto tutti... Uno di essi colpisce un altro alla testa e poi, per discolparsi, in lacrime dice di non averlo fatto di proposito. Ecco, la sintesi di quella sentenza».

Ma i ragazzini chi erano?

«Altro che innocenti "criaturi" (bambini in napoletano, nda). Imprenditori del cemento inseriti negli affari cittadini. E chi scrisse la sentenza era addirittura un magistrato inserito in ambienti molto vicini a quei "bambini"…».

Ah, conobbe una certa Calabria.

«Entrai nel mirino di certa magistratura e censurarono l'ufficiale di Polizia giudiziaria che collaborava con me».

Intanto s'imbatteva nella massoneria deviata. «Un capoluogo sotto il cappuccio» fu scritto…

«Definizione giornalistica, ma efficace. Le deviazioni ebbero un peso importante, perché si inserivano tra crimine organizzato, borghesia mafiosa, mondo delle professioni e pezzi della politica».

E tra un massone e un colletto bianco deviato trovò anche il tempo per sposarsi.

«Nel 1996 conobbi Mariateresa, una praticante avvocato. Due anni di fidanzamento prima delle nozze, il 30 maggio del 1998. Cerimonia in collina, a Petrizzi, un pittoresco comune sopra la splendida baia di Soverato».

Dicembre 1998: Napoli era pur sempre casa sua.

«In realtà l'obiettivo comune era di stabilirci da me. Dal 1999 al dicembre del 2002 respirai l'aria della mia città in un periodo esaltante, soprattutto dal punto di vista psicologico, perché pensavo a quante volte, passando da giovane dall'allora sede degli Uffici giudiziari di Castelcapuano, sognavo di entraci con la toga sulle spalle».

Affetti. Intanto il cordone ombelicale con la Calabria era duro da recidere.

«Nonostante in molti avessero "festeggiato" al momento del mio trasferimento alla volta di Napoli, sapevo che, in fondo, si era trattato di un semplice arrivederci, per cui credo di aver continuato a disturbare il sonno a quei "molti"».

«Il sonno della regione genera mostri» diceva Pedro Calderon de la Barca. A proposito di sonno…

«Contribuì molto mia moglie per il nostro ritorno a Catanzaro, ovviamente. Ma c'era comunque un'opera da completare».

Si narra che suo padre Giuseppe, scomparso nel luglio del 2002, avesse confidato a un collega che lei avrebbe potuto pagare con la vita quel ritorno in Calabria.

«Lo seppi dopo la sua morte. Quando gli comunicai della mia intenzione di ritornare a Catanzaro lo percepivo preoccupato, forse impaurito. Conoscendo come avevo lavorato nel corso della mia prima parentesi calabrese, e sapendo quali effetti avevano raggiunto le mie indagini, temeva non solo per la mia vita professionale»

E, infatti, nel dicembre 2002 i «salotti buoni» della città iniziarono a darle il «ben tornato».

«Lessi alcune intercettazioni telefoniche: alcuni "colletti bianchi", coinvolti in reati contro la pubblica amministrazione, erano molto preoccupati del mio ritorno. Certo non mi stesero tappeti in velluto rosso e non fui accolto al suono dei violini».

Però l'allora procuratore capo la elogiò pubblicamente.

«Durante la conferenza stampa in occasione dell'inchiesta contro lo sfruttamento dell'immigrazione clandestina finalizzata alla compravendita di bambini, il procuratore capo Mariano Lombardi presentò l'indagine come "epocale". Erano, evidentemente inchieste che non toccavano il livello politico e quindi il sostituto procuratore de Magistris poteva essere lodato».

Lei si appellò alla statistica.

«L'analisi statistica dell'andamento delle indagini nel settore della pubblica amministrazione, in quegli anni, aveva registrato un picco dal 1995 al 1998, in concomitanza con il mio primo periodo a Catanzaro, un crollo dal 1998 al 2002, quando ero a Napoli, ed un ulteriore picco quando ritornai nel capoluogo catanzarese, dal 2002 al 2008».

Osteggiato dalla «borghesia criminale» ma riaccolto a gran voce dalla gente comune.

«Fu la mia forza. Le persone, per strada, mi davano del tu, sapevano che ero dalla loro parte. Catanzaro è piccola».

In quel periodo disse, che la Calabria, a causa della sua classe politico-amministrativa, le ricordava il Sudamerica.

«Con tutto il rispetto per l'America meridionale (sic!) e per la Calabria pulita, che era ed è tantissima, mi riferivo alle deviazioni che riscontrato in alcuni ambienti caratterizzati da un sistema di potere criminale che ricordava quello delle stagioni più buie, dal punto di vista democratico, del grande continente posto al di sotto della Florida».

Iniziò a scoperchiare il pentolone della sanità.

«Furono molti i tappi che io e la mia squadra di polizia giudiziaria facemmo saltare. In realtà iniziai già nel primo periodo, con l'inchiesta "Shock" che riguardava una clinica neuropsichiatrica della città, Villa Nuccia, in cui trovavano ricovero i figli delle più pericolose famiglie di 'ndrangheta: le certificazioni mediche attestavano malattie mentali inesistenti per evitare il servizio militare o addirittura il regime carcerario».

Addirittura appuraste la sovrapposizione tra massoneria deviata e parte della magistratura calabrese.

«Magistratura di vertice, per giunta. Intercettai l'Avvocato generale di Catanzaro Giuseppe Chiaravalloti, che era sostituto procuratore generale, il sempre presente procuratore capo Lombardi e un avvocato che seguiva collaboratori di giustizia».

Chiaravalloti chi? L'ex presidente della Regione tra il 2000 e il 2005 che voleva darla in pasto alla camorra?

«Esattamente».

Niente male come ambiente lavorativo. Scomodò persino il dio del mare, Poseidone. L'estate del 2004 i calabresi non la dimenticheranno.

«Ringrazio ancora i Carabinieri per quel titolo evocativo. L'indagine nacque per contrastare il mal funzionamento dei depuratori, tanto sul Tirreno quanto sullo Jonio. Fondi europei svaniti nel nulla, depuratori mal funzionanti o mai realizzati. Il "mare degli dei" finito nella…cacca. Mi perdoni, ma l'immagine rende l'idea di cosa trovammo».

"Why not?" divenne un mantra.

«Termine polisenso che la Polizia giudiziaria diede all'inchiesta. Si trattava del nome di una agenzia di lavoro interinale nel settore dell'informatica, legata all'ipotetica esistenza di un gruppo di potere trasversale a sua volta legato a una loggia massonica coperta, che la stampa del periodo definì come "Loggia di San Marino"».

E venne fuori il diluvio universale…

«Indagai Romano Prodi, Clemente Mastella, il presidente della regione Calabria Agazio Loiero, l'ex Giuseppe Chiaravalloti e una marea di politici regionali, amministratori pubblici e imprenditori».

Le cronache narrano dell'incipit dell'inchiesta paradossale, quasi da opera buffa.

«Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere della Sera, noto per le sue inchieste sullo sperpero dei denari pubblici, pare avesse criticato aspramente l'allora segretario regionale dei Democratici di sinistra e vice presidente della regione Nicola Adamo».

I motivi?

«Stella lo accusava di presunti conflitti di interesse a suo carico per il fatto che sua moglie fosse parte di una società che lavorava a stretto contatto con ambienti politici. Insomma, questione di opportunità politica».

A quel punto, che successe?

«Successe che Adamo si presentò in Procura a Catanzaro per autodenunciarsi, e che quell'atto procedimentale arrivasse sulla mia scrivania. Non so ancor oggi se il fato, o il solo meccanismo dell'assegnazione automatica dei fascicoli abbiano fatto il resto. Iniziai a indagare e, come per Poseidone, si aprirono le cataratte del cielo».

Certo che quel nome, "Why not", è entrato nella cultura popolare di massa.

«Significati, slang, declinazioni. Lo si interpretò nei modi più disparati, ognuno a suo modo: "Perché no?", "Perché non si può fare giustizia applicando l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge?"; "Perché oggi ci troviamo qui?. E poi, nel dialetto napoletano, "guaie 'e notte", che significa "guai di notte!"».

E fu così che il pavimento, sotto i suoi piedi, iniziò a scricchiolare.

«Avevo contro i vertici del mio ufficio, cioè della Procura ordinaria, la Procura generale, il Governo con il ministero della Giustizia, quasi tutto il mondo politico, una parte agguerrita dei mezzi d'informazione, la borghesia mafiosa, le massonerie, qualche settore della Polizia Giudiziaria».

Scappa una domanda: ma lei, a Catanzaro, qualche amico l'aveva?

«Certo e anche molti. La parte sana di Catanzaro, a tutti i livelli istituzionali, e della Calabria era con me! Come non ricordare i tanti testimoni che si erano esposti superando una storica omertà locale, i consulenti. Certo, il sistema malato era ben rodato».

Però aveva il sostegno dei calabresi, quelli che hanno bisogno «d'essere parlati» per dirla con Corrado Alvaro.

«La risposta della società civile calabrese fu senza precedenti: 100.000 calabresi firmarono una petizione contro il mio trasferimento, quando l'allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, a settembre del 2007, chiese il mio trasferimento d'urgenza. Ci fu una mobilitazione straordinaria che andò avanti per settimane: giovani, studenti, lavoratori, professionisti, casalinghe. La Calabria dal cuore grande».

I cittadini scesero in piazza.

«Ricordo il giorno in cui fu chiesto il mio allontanamento, con la piazza di fronte al Tribunale che brulicava di manifestanti: c'erano quelli di Rifondazione comunista e c'era un cartello portato dai ragazzi di Forza Nuova con su scritto "de Magistris non si tocca". C'erano tutti, l'estremismo di sinistra e quello di destra, i moderati, i liberali, i cattolici, i conservatori, i progressisti laici. E anche i preti».

Pure la Chiesa?

«Durante una messa ho sentito un parroco dire: "Qua a Catanzaro c'è un magistrato che va sostenuto… Vogliono cacciarlo via"».

Ma la sollevazione popolare non bastò.

«Purtroppo, la decisione di farmi fuori sul piano professionale, era già stata presa».

Però se le andava a cercare. Ormai sotto attacco, lei cosa fa? Va a scoperchiare indicibili legami occulti in Basilicata, con l'inchiesta «Toghe lucane».

«Quell'inchiesta produsse innumerevoli altri effetti collaterali per fermarmi e allontanarmi. Da un lato trovai coinvolti in fatti gravi, numerosi magistrati lucani; dall'altro c'erano altri magistrati che lavoravano con professionalità e onestà che venivano ostacolati nell'esercizio delle loro funzioni. Un verminaio».

Ripeteva, in quegli anni, che più in alto arrivava a indagare, più le inchieste le venivano avocate. «Scippate» disse.

«Fino alla fine, il copione si ripeteva: Why not?, Poseidone, Toghe lucane, da questo punto di vista, erano praticamente stratificate. Come le inchieste sulla Sorical, la società di gestione delle acque pubbliche calabresi e quelle sulla sanità».

Alla fine più che le inchieste, si riuscì a spostare il loro titolare.

«Certo, ottenendo il risultato massimo, spostando, anzi cacciandomi. Non mi sottraevano più le inchieste perché hanno sottratto me stesso».

Walter Lippmann diceva: «In una società libera lo Stato non dovrebbe amministrare gli affari degli uomini. Dovrebbe amministrare la giustizia sugli uomini che conducono affari privati». Non è che il buon Walter fosse calabrese?

«Eh, bella questa. Il faro che deve guidare il Pubblico ministero è quello della Giustizia e dell'obbligatorietà dell'azione penale. Il rapporto in cui mi sono sempre imbattuto è quello di Giustizia e legalità, che dovrebbero coincidere sempre di più ma che sono sempre più spesso distoniche».

E si arrivò alla «guerra» tra la procura di Catanzaro e quella di Salerno.

«Un fatto mai accaduto in precedenza. Come se le guardie si recassero a casa di una persona per arrestarla per truffa e il presunto truffatore arrestasse le guardie. Non si era mai visto prima che magistrati indagati (quelli di Catanzaro) arrivassero a sequestrare le carte dei magistrati (quelli di Salerno) che stavano indagando su di loro. Un'aberrazione giuridica e giudiziaria».

Miravano a distruggerla. Lei affermò che «i procedimenti disciplinari erano al limite dell'Inquisizione». Poco «Santa», evidentemente…

«La "santità" non riguardava chi mi stava distruggendo. Fui il magistrato arrivato a collezionare il maggior numero di inchieste amministrative, ispezioni, indagini disciplinari e interrogazioni parlamentari».

Per un totale di…

«Eh, centinaia di atti nei miei confronti».

Chi sostenne la requisitoria, contro di lei, innanzi al Csm disse, in sostanza, che lei non fosse il modello di magistrato che voleva la Costituzione.

«Impressionante. Il 18 gennaio del 2008 il Procuratore generale Dott. Vito D'Ambrosio affermò che "de Magistris lavora talmente tanto che interpreta il suo lavoro come una missione, e non è il modello di magistrato che vuole la Costituzione"».

Piero Calamandrei si sarà rivoltato nella tomba.

«Scrisse "Elogio dei giudici scritto da un avvocato", nel 1935. Andrebbe reso obbligatorio, quel saggio».

Il 28 settembre del 2009 lei scrisse al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, informandolo della decisione di lasciare la magistratura. Cosa le rispose?

«Non mi ha mai risposto».

Dalla magistratura alla politica. Eletto al Parlamento europeo, nel giugno di quell'anno, secondo solo a Silvio Berlusconi, numeri alla mano: 414.000 preferenze.

«In realtà primo, visto che Berlusconi era ineleggibile».

L'accusarono di non essere stato molto presente tra i banchi dell'emiciclo di Strasburgo…

«È esattamente il contrario. Sono stato tra i più attivi, salvo gli ultimi due mesi, febbraio marzo 2011, quando decisi di candidarmi sindaco a Napoli».

Esattamente 10 anni fa annunciò di candidarsi, appunto, a sindaco della sua città. Due vittorie con cifra elettorale praticamente simile.

«Sia nel 2011 che nel 2016 sconfissi fortissimi schieramenti partitici, che andavano dal centro-destra al centro-sinistra sino ai 5 Stelle, con il 65% dei consensi ottenuti nel corso dei due successivi ballottaggi. Appoggiato dai miei schieramenti civici, ho governato una delle città più difficili al mondo. Oltre che tra le più belle».

Quella foto che la ritrasse con la bandana arancione è divenuta iconica. Novello Masaniello?

«Non vabbè! Ero così felice, gioioso, fuori di me, non capivo niente. Me la posero al capo e me la misi sulla fronte. Mi accostarono a Tommaso Aniello, detto Masaniello, per il fatto di essermi, come lui, opposto al sistema imperante. Lui nel Seicento, però, fece una brutta fine, io sono ancora in piedi e la gente di Napoli mi ha premiato per dieci lunghissimi anni, sapendo di poter contare su di me come uno di famiglia».

Anche i più critici, alla fine, le hanno stretto la mano.

«È la mia vittoria più bella. Anche chi mi aveva interpretato in modo "ribelle", oggi mi apprezza in una posizione istituzionale».

Napoli: dalle montagne di spazzatura a nuova capitale del turismo europeo.

«Quando iniziai la campagna elettorale, nella primavera del 2011, in alcuni zone della città i cumuli di immondizia ('a monnezza) arrivava al primo piano delle abitazioni. Quando scoppiò la pandemia, un anno fa esatto, Napoli era prima in Italia come meta scelta dal turismo e dalla cultura».

E veniamo all'oggi: lo scorso 19 gennaio, ha annunciato di voler concorrere al guidare la Calabria. Sa bene cosa l'aspetta, perché conosce bene questa regione.

«Ne sono assolutamente consapevole, e questo genere di avventure, tra passione, difficoltà, salite aspre, fa evidentemente parte del mio Dna. Le vicende umane, anche le più ardite, si possono realizzare se c'è visione dei problemi, volontà, entusiasmo».

Ad oggi, al centro-sinistra come al centro-destra calabrese, si rifanno molti di quelli che lei indagò e arrestò quand'era pubblico ministero a Catanzaro.

«Dopo venti e più anni, mi sembra che nulla sia cambiato, che molte storie, anzi gli stessi nomi, ritornino. Il sistema criminale si è difeso bene, ed in alcuni contesti, il tempo pare sia passato invano».

Senza allarmarla: non è che i suoi competitor siano animati da una sete di vendetta?

«Mi auguro di no, anche se molti dei nomi di allora, proprio in queste ore, continuano ad agire maleficamente, rancorosi, vendicativi». Io non sono spinto dalla vendetta, questo sia chiaro».

Il buono, il brutto e il cattivo

«Non mi faccia fare nomi, ancora. Io vorrei continuare a impersonare "il giusto"».

La penisola calabrese ha necessità d'altro. C'è una sanità allo sbando. E il Covid-19, questa volta, non c'entra proprio.

«Ha aggravato una situazione già critica, è stata una forma di detonazione. Mettendo a nudo ulteriori emergenze mai superate. Sarà uno dei primi temi, il primo, cui metterò mano, in caso di vittoria».

Pochi giorni addietro l'intera dirigenza provinciale dell'Azienda sanitaria è sottoposta al divieto di dimora a Cosenza.

«Il tempo sembra essere passato invano. Non è mai fuggito (tempus fugit…) per come avrebbe dovuto fare».

Iperboli incommentabili. La Procura di Paola ha scoperto che c'era chi aveva trasformato la Commissione invalidi in una sorta di "dopolavoro privato", e chi preferiva fare shopping a Cosenza o andare sulla Sila, piuttosto che partecipare ai tavoli tecnici sulla pandemia.

«Ho letto. Due pagine tristissime. E la tristezza aumenta quando è convolta la salute dei cittadini. La nostra».

Parliamo di alleanze. Ha iniziato a flirtare con Carlo Tansi, leader del movimento Tesoro di Calabria. Arancione pure lui. In Ucraina vi chiederanno i diritti d'autore, quanto al colore.

«Ironico, eh. Questo colore portò bene alla "stagione dei sindaci" nel 2011. Carlo, oltre un anno addietro, venne a Napoli, raccontandomi dei suoi passi significativi in Regione. Ora ci riproviamo».

Vi siete incontrati e subito lasciati. Ora ci state ripensando. Amoreggiate come i teenager?

«Non ci siamo mai lasciati. Quando ci si incontra occorre conoscersi. Le dinamiche politiche devono rispondere non solo alla logica del cuore. Bisogna essere seri e leali. Ci si deve poter fidare, l'uno dell'altro».

Come finirà questa love story in salsa calabra? Le scadenze burocratiche incombono…

«Partiamo, intanto, da un'alleanza politica nell'interesse dei calabresi. Finirà bene, lo annuncio in anteprima, con un accordo leale. Ecco, visto che ha citato Love story, vorremmo essere Tyan O'Neal e Ali MacGraw, magari diretti da un monumento come Arthur Miller (attori e regista del film del 1971, nda)».

Piccola provocazione: in Calabria, si dice sia la 'ndrangheta a decidere il risultato elettorale regionale. Praticamente lei ha già perso…

«Mi auguro, ci auguriamo, di sfatare questo tabù. Sarebbe ora»

Centro-destra e centro-sinistra, intanto, continuano a pagare dazio. Nuovi giovani magistrati, vecchie inchieste. I nomi di indagati e imputati quasi sempre gli stessi. La musica è sempre la stessa.

«Purtroppo sì. Da anni i due storici schieramenti sembrano alternarsi al potere, in realtà forte è il partito trasversale della spesa pubblica, che con un consociativismo degli affari domina, governa e soffoca una regione che ha bisogno di una classe dirigente onesta, competente e di persone libere e coraggiose».

Quante possibilità ha Luigi de Magistris di insediarsi al decimo piano della cittadella regionale intitolata alla memoria di Jole Santelli?

«Non mi piace discettare su sondaggi, percentuali, numeri. Nel cuore sono convinto che vinceremo».

A proposito: i bene informati dicono che la cittadella regionale sia grande quanto la Reggia di Versailles…

«Ah! La riempiremo di contenuti, di persone pulite e capaci, perché è, e sarà un onore, oltre che un onere, lavorare per la propria terra. Io mi sento calabrese, Carlo Tansi lo è veramente».

Qui Vasco Rossi attirò, nel 2004, 400.000 fans in delirio. Quel numero le farebbe vincere le elezioni.

«Buona questa. Musica e politica. Anzi, cambieremo la musica».

Germaneto è ormai il simbolo consolidato della rinascita della Calabria: università, Policlinico, aeroporto a due passi, trasporti intermodali. Da scommetterci per il futuro.

«C'è tanto da scommettere in tutta la Calabria, dal Pollino all'Aspromonte, passando per la Sila che affascinò i lombardi, i piemontesi, i veneti che contribuirono a scoprirla. È tempo che questa terra vada ri-consegnata ai calabresi onesti».

I calabresi l'attendono perché «vogliono essere parlati». Quando si trasferirà, a tempo pieno, tra i due mari?

«Dipende dalla data del voto. Se l'11 aprile, sarò in pianta stabile dal 10 marzo. Ma dalla Calabria non sono mai andato via».

Null'altro da dichiarare?

«C'è l'accordo con Carlo Tansi. Partiamo ufficialmente».


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