Naples' Mayor Luigi de Magistris
ANSA /Ciro Fusco
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Masanielli alla conquista della poltrona

Affiliati e simpatizzanti del Centro Sociale Insurgencia e, al fianco del sindaco di Napoli De Magistris, hanno ruoli istituzionali

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hiamatelo centro (sociale) per l’impiego. A Napoli la rivoluzione arancione del sindaco Luigi de Magistris - checché ne pensi Mao Tse-tung - è diventata a tutti gli effetti un pranzo di gala. Dove le portate più appetitose sono poltrone e stipendi pubblici arraffati da kompagni che hanno assaporato il gusto dolce dei privilegi. Uomini e donne che arrivano dal centro sociale Insurgencia e che alla lotta di classe hanno preferito la pagnotta di classe. L’ultima ad aver abbassato il pugno chiuso per aprire la porta del Palazzo è la «pasionaria» Eleonora De Majo, nominata assessore comunale alla Cultura e al Turismo, a 55 mila euro l’anno. Di lei sono noti i tweet contro l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini («Te la diamo noi una lezione bastardo! Ti aspettiamo a Napoli») e contro il governo israeliano paragonato a «un manipolo di assassini» e gli ebrei «porci». Posizioni che le sono costate l’accusa di antisemitismo da parte della comunità ebraica partenopea, a cui la De Majo ha replicato offrendo la cittadinanza onoraria a Liliana Segre. La senatrice a vita, sopravvissuta agli orrori dell’Olocausto nel campo di concentramento di Auschwitz, l’ha elegantemente rifiutata per evitare «strumentalizzazioni».

Il fidanzato della giovane rivoluzionaria, laureata e di buona famiglia, si chiama Egidio Giordano ed è anche lui nel direttivo di Insurgencia. Il suo lavoro? È assessore alla Cultura nella Terza municipalità quando non è impegnato negli scontri di piazza con le forze dell’ordine. Giordano lavora fianco a fianco col presidente che si chiama Ivo Poggiani, kompagno del medesimo centro sociale. Tutto in famiglia, insomma. «Un luogo utile a pochi fortunati per costruire carriere grazie alla politica e per fare soldi» spiega a Panorama un ex attivista. «Tutti sappiamo che molti dei dirigenti, pur essendo ufficialmente “poveri”, detengono quote di bed&breakfast e di locali attraverso prestanome, e fanno affari con la comunicazione e l’organizzazione di spettacoli. Hanno iniziato mettendo in commercio il vino anticamorra e sono finiti ubriachi di potere». «Qualcuno vive ancora nelle case popolari un tempo assegnate ai nonni» prosegue la fonte di Panorama «nonostante possa permettersi di pagare un affitto togliendo così un tetto a famiglie che veramente ne hanno bisogno».

Prima di Giordano, il ruolo di assessore in Terza municipalità lo ricopriva un’altra donna della galassia Insurgencia, Laura Marmorale, che per un anno (ottobre 2018-novembre 2019) è stata anche nella Giunta de Magistris, e licenziata proprio per fare spazio alla De Majo. Il manuale Cencelli al posto del Capitale.

Chi non ha la fortuna di arrivare a uno strapuntino politico, nella Municipalità presieduta da Ivo Poggiani (che conta oltre 100 mila residenti), può però ambire a un contributo pubblico. È il caso di Raniero Madonna, sempre della medesima scuderia antagonista, che ha vinto un bando «Pon Città di Napoli 2014-20» con un progetto per l’«accoglienza turistica diffusa nel rione Sanità». Al secondo posto è arrivata la cooperativa sociale Mafalda, in cui per un periodo ha lavorato l’assessore Egidio Giordano.

È amministrata da un giovanotto che si chiama Dylan Di Chiara e sui social si presenta come attivista di Insurgencia, mentre uno dei consiglieri è un ex candidato nelle liste di de Magistris. E se a Palazzo San Giacomo finiscono i posti per i colleghi di centro sociale, basta spostarsi di qualche decina di metri. Nella Città Metropolitana, che ha preso il posto dell’ex Provincia, per esempio, de Magistris ha addirittura cambiato il regolamento per poter affidare a Pietro Rinaldi (ex leader di Insurgencia) l’incarico di capo di Gabinetto. L’indennità? Circa 80 mila euro all’anno.

«Insurgencia è diventata un’agenzia interinale per i suoi stessi vertici» si lamenta un militante della prima ora. «Ormai organizzano solo feste a Via Mezzocannone occupato». In uno di questi party, il sindaco fu immortalato a fare il trenino. «Metafora di una città che ha i trasporti peggiori d’Italia» fu la battuta più applaudita sul web alla pubblicazione di quella foto. Napoli è strangolata da quasi cinque miliardi di euro di debiti tra amministrazione centrale e partecipate. I servizi sono ridotti al collasso e l’unico spettro che si aggira per la città non è il comunismo ma il rischio dissesto.

«Se il sindaco fosse ancora un magistrato, chiamerebbe “favoreggiamento” il supporto che la sua amministrazione comunale ha dato ai centri sociali occupati, a persone che dunque commettono un reato» spiega l’ex assessore regionale Severino Nappi, presidente del movimento Il nostro posto. «Supporto che si è manifestato garantendo spazi di tribuna agli occupanti, attraverso la concessione di spazi gratuiti e sanatorie».

In cambio, Insurgencia ha raccolto voti e fatto il «lavoro sporco» come quando aggredì il governatore Vincenzo De Luca lanciandogli contro decine di sacchetti di immondizia, nei giorni in cui il figlio Roberto rimase coinvolto in un’inchiesta (poi archiviata), per favorire de Magistris nella corsa alla Regione Campania, ambizione svanita. «La città è abbandonata a se stessa: cantieri fermi, disoccupazione dilagante e l’incapacità e l’inesperienza assurti a valori» commenta Gianpiero Falco, delegato allo sviluppo regionale di Confapi Campania, l’associazione delle piccole e medie imprese. «In città la parola “crescita” è bandita. E dire che non abbiamo nemmeno la decrescita felice, ma quella tragica».

E, a proposito di inesperienza, va segnalato il curriculum del nuovo manager dell’azienda di igiene urbana, Asìa. Maria De Marco, simpatizzante di Insurgencia e fedelissima di de Magistris, è stata chiamata dal sindaco a gestire una partecipata da 220 milioni di euro di fatturato avendo alle spalle un passato da pasticciera e decoratrice di dolci. Un po’ la versione napoletana di quel che Lenin sosteneva quando auspicava che «ogni cuoca dovrebbe imparare a reggere lo Stato». Ma lui, però, si fermava alla teoria.  n

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Simone Di Meo