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CRISI E DEBITI: LA SERIE A HA FINITO I SOLDI

CRISI E DEBITI: LA SERIE A HA FINITO I SOLDI

Le big hanno bruciato 600 milioni di euro in un anno, cercano soldi e prestiti e devono affrontare un mercato che sarà all’insegna del costo zero – FONDI E TV. LE SFIDE DEL CALCIO ITALIANO NEL 2021


L’orchestra ha smesso di suonare, anche se il Titanic Serie A continua a dirigersi verso l’iceberg della crisi. L’allarme ormai è stato recepito da tutti, se è vero che un dirigente avveduto e di lungo corso come Beppe Marotta, dominus dell’Inter cinese, dice ormai pubblicamente che non solo non c’è spazio per nuovi investimenti ma si deve andare e in fretta verso un rapido taglio del costo del lavoro perché gli stipendi dei calciatori sono insostenibili per il sistema. La decrescita felice nel calcio non esiste. Il calo dei ricavi causa pandemia ha portato l’incidenza del monte ingaggi da una ragionevole quota 50 (per cento) ad oltre il 75%: troppo per reggere nel medio e nel lungo periodo.

Dunque, motori indietro tutta. Dal Governo non arrivano segnali confortanti sulla riapertura degli stadi a breve e i prossimi mesi saranno di sofferenza pura. Ecco perché il mercato di riparazione di inizio 2021 è destinato ad entrare nella storia come quello più low cost di sempre, dove la parola d’ordine sarà cedere, se possibile, oppure prestare in qualsiasi altro caso. Almeno per togliersi il peso di cedolini da onorare ogni mese per giocatori poco funzionali ai progetti dei rispettivi tecnici i quali a loro volta sono stati invitati a non insistere con le richieste.

QUANTO COSTA IL CALCIO A MILANO

Ci saranno delle isole felici, nel senso di operazioni ragionate per dare forza a progetti incompleti. Non tutto il panorama sarà piatto, insomma, ma non ci saranno città dove si potrà continuare a pensare al calcio come avveniva all’epoca delle vacche grasse o come prima della pandemia. E c’è un dato su tutti che dovrebbe colpire: Milano che comanda la Serie A con Milan e Inter (rigoroso ordine di classifica a inizio gennaio) è anche quella che si sta misurando con le tensioni più forti.

La voce di una possibile cessione dell’Inter da parte del gruppo Suning è stata smentita con forza dalla famiglia Zhang. Non, però, la ricerca sul mercato finanziario di soldi per rifinanziare i bond da 375 milioni di euro con scadenza 2022 che rappresentano solo una parte della situazione debitoria del club. L’Inter è costata fin qui a Suning oltre 600 milioni e ha costretto ha iniezioni di capitali per 70 da marzo a oggi. Le restrizioni del governo cinese fanno il resto.

In 30 mesi, invece, Elliott ha dovuto mettere mano al portafoglio per complessivi 770 milioni di euro (86 da marzo) per escutere il pegno Milan dal misterioso Li e dargli solidità finanziaria. Logico che Singer e Zhang guardino allo stadio come alla chiave di volta di tutto, perché su queste basi sarà altrimenti impossibile garantire a Milano un futuro nell’elite europea del pallone.

LA JUVENTUS E LE ALTRE

Nemmeno a Torino o Roma se la passano bene e le ricadute sul mercato saranno evidenti. La Juventus ha ormai consumato l’aumento di capitale da 300 milioni di euro del dicembre 2019: doveva rappresentare la benzina per un piano quadriennale di nuovo sviluppo, è servito per galleggiare senza problemi sulla crisi. In estate gli investimenti sono stati fatti, ma spesso con formule di pagamento posticipate nel tempo come per Chiesa che alla fine costerà a Paratici 60 milioni di euro.

La casa madre è corsa ai ripari allungando fino al 2024 l’accordo per tenere il marchio Jeep sulla maglia: 135 milioni più bonus in tre anni. Sono la fotografia esatta del valore del brand bianconero e allo stesso tempo un segnale preoccupante perché sono comunque soldi che girano di mano in mano da parte dello stesso proprietario. Esattamente quello che accade nell’Inter con le partnership direttamente o indirettamente legate a Suning.

A Roma c’è Friedkin che sta facendo i conti con l’era Pallotta che ha lasciato in eredità una situazione finanziaria non semplice. L’aumento di capitale è già salito a 210 milioni di euro rispetto ai 150 indicati qualche mese fa perché bisogna ricostruire dalle fondamenta. A Napoli, così come altrove, la via maestra sarà il taglio del monte ingaggi. Per tutti, però, l’obbligo è arrivare dentro le prime quattro per garantirsi un posto nella prossima Champions League: nessuno può rinunciare a quel denaro e allora qualche sforzo verrà fatto anche a costo di fare nuovi debiti da spalmare sul futuro. In un sistema che assomiglia sinistramente sempre più a una bolla in fase di esplosione.

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