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Verdi sbiaditi

Verdi sbiaditi

Mentre in Germania gli ambientalisti sono dati al 20 per cento, diventando così partito di governo, in Italia restano inchiodati a un irrilevante 2 per cento. Tra battaglie inconsistenti, vecchi slogan, il movimento non sa attrarre volti nuovi.


La tutela dell’ambiente passa per la disfida della statua della porchetta. Potrebbe sembrare una battuta, ma è tutto vero. Nei giorni scorsi, nella capitale, quartiere Trastevere, è stata installata una statua raffigurante una porchetta, pietanza tipica romana. Senza entrare nel dettaglio dell’opera, realizzata da uno studente su volontà della presidente del Municipio I, si è scatenato il putiferio. «La rappresentazione di un animale morto, avvolto nello spago, non giova affatto all’immagine del Made in Italy e al consumo di cibo di qualità», hanno tuonato i Verdi romani sui social. E giù con la richiesta di rimozione della statua, simbolo di perdizione anti-ecologista. E, da un punto di vista politico, emblema di un’incapacità, da parte degli alfieri dell’ecologismo nostrano, di mettersi in sintonia con il Paese.

Tanto da spiegare il motivo per cui i Verdi, in Italia, vanno poco oltre il 2 per cento. Mentre altrove, come in Germania, volano e puntano a governare. E dire che anche Greta Thunberg ora parla di una nuova «speranza» sulla possibilità di salvare il pianeta.

L’attivista svedese, nonostante la giovanissima età, ha spesso indossato i panni di una Cassandra contemporanea, ha portato avanti un cambio di registro perentorio. È meno truce, infatti, lo sguardo della ragazzina che ha conquistato le copertine di tutti i giornali del globo, con i suoi scioperi del venerdì, salendo in cattedra e bacchettando tutti, leader mondiali e pezzi grossi della finanza. Il finale, anche per lei, potrebbe non essere così catastrofico, come preconizzava fino a qualche tempo fa. «Nel mio cuore c’è sempre stato spazio per la speranza, anche se all’inizio ho dovuto usare parole forti per attirare l’attenzione delle persone, perché per decenni chi si batteva contro i cambiamenti climatici non era stato ascoltato», ha detto in una recente intervista.

Del resto il verde, si sa, è il colore della speranza. Quasi sempre, almeno. In Italia il verde ripropone una speranza sbiadita. Di sicuro impercettibile, a differenza di altri Paesi, in cui il peso politico dei Verdi, intesi come soggetto politico, è notevole: c’è la capacità di lasciare il segno, eccome. I temi della tutela ambientale sono certo più riconoscibili e centrali, tanto che è stato istituito, in Italia, un apposito ministero, quello della Transizione ecologica. Ma si torna al punto di partenza: esiste un brand, quello dei Verdi, che ha un valore simbolico, ma senza peso elettorale.

Battaglie inconsistenti, vecchi slogan legati a una storia antica, iniziata fin dalla metà degli anni Ottanta, sull’onda lunga della campagna contro il nucleare. Anche se è il 1990 l’anno di fondazione ufficiale del Sole che ride, simbolo della Federazione dei Verdi italiani, che è sempre meno sorridente a guardare i numeri. A trent’anni dalla nascita, è stato riproposto un maquillage per uscire dal cono d’ombra, un restyling simbolico per lanciare un segnale di vita rispetto ai sondaggi che indicano un andamento piatto: quando va bene, il dato si attesta sopra il 2 per cento. Adesso Angelo Bonelli&co ci riprovano, tirando a lucido il nome usato alle Europee del 2019, Europa Verde, che ha ottenuto il 2,3 per cento.

Un consenso lontanissimo dalla soglia di sbarramento del 4 per cento, ma che rese soddisfatti, almeno nelle dichiarazioni, i dirigenti verdi. Chissà perché, visto che in quei giorni c’erano i global strike, gli scioperi per il clima promossi per seguire l’esempio di Greta. Per battezzare il soggetto di Europa Verde è stata addirittura promossa qualcosa come un’assemblea costituente. Un evento che sta a indicare qualcosa di nascente, un progetto nuovo di zecca. Tra gli altri è continuato il corteggiamento al sindaco di Milano, Giuseppe Sala, folgorato sulla via dell’ambientalismo, tanto da annunciare inizialmente l’adesione ai Verdi, ma quelli europei.

Dietro all’operazione, in realtà, si scorgono i soliti volti, i leader di sempre. Quelli che hanno inchiodato il Sole che ride intorno al 2 per cento, nascondendo spesso il simbolo in liste o coalizioni tutt’altro che vincenti, come alle ultime Politiche quando era nel raggruppamento di Insieme (con ex prodiani e socialisti): su tutti c’è proprio Angelo Bonelli, ex parlamentare e candidato a qualsiasi cosa da qualche anno a questa parte, spesso con esiti infausti.

Dopo aver ereditato la leadership del partito, in seguito al passo indietro dell’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio, ha corso come sindaco di Taranto nel 2012. È stato uno dei migliori risultati della sua carriera politica, ma soprattutto l’ultima parziale gioia (parliamo comunque di un 12 per cento) dopodiché ha fatto incetta di sconfitte, dalle Politiche del 2013, in cui era nelle liste di Rivoluzione civile di Antonio Ingroia alle Europee del 2019, quando era appunto uno degli alfieri di Europa Verde. In mezzo tante altre mancate rielezioni.

Eppure resiste, immarcescibile, al comando del movimento che guida, sia in veste ufficiale che da dietro le quinte, da quando Greta Thunberg aveva sei anni. Le difficoltà, è noto, aguzzano l’ingegno. Di fronte alla carenza dei risultati sono state inventate soluzioni per garantirsi un minimo di rappresentanza nelle Istituzioni e scongiurare la scomparsa dalla geografia politica. La strada più agevole è quella di offrire un tetto ai fuoriusciti di altre forze politiche. È il caso dell’Europarlamento, dove in rappresentanza di Europa Verde c’è Eleonora Evi, eletta con il Movimento 5 Stelle prima di prenderne le distanze. Oggi è considerata l’astro nascente dei Verdi.

Se le ambizioni fossero confermate, bisognerebbe comunque ringraziare i grillini, che l’hanno candidata. In Italia, invece, i Verdi hanno dovuto affidarsi a Rossella Muroni, ex presidente di Legambiente ed eletta nel 2018 con Leu, per rientrare alla Camera sotto l’ombrello della componente parlamentare FacciamoEco-Federazione dei Verdi.

E pensare che, secondo gli esperti, il brand funziona. Secondo un’analisi di YouTrend sul web Europa Verde è una chiave molto ricercata. Più che internet che sulla scheda elettorale. Del resto in Europa è vero: il marchio green in politica è un traino quasi ovunque. L’esempio principe è in Germania, dove Annalena Baerbock, fresca di candidatura alla cancelleria, ambisce a prendere il posto di Angela Merkel.

Magari sarà anche una suggestione mediatica, un’esagerazione giornalistica, ma è un’ipotesi: i sondaggi danno i Grünen, i Verdi tedeschi appunto, almeno al 20 per cento. Giusto dieci volte di più rispetto alle rilevazioni in Italia.

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