La lotta contro la carne rossa condotta senza esclusione di colpi dalle multinazionali dell’alimentare, le stesse che puntano sulla carne coltivata, deprime i consumi.
Sono tempi di vacche magrissime. La Chianina, il pio bove del t’amo di carducciana memoria, il «giacimento» delle fiorentine, del peposo, del roast-beef, degli stracotti, rischia l’estinzione. Le ragioni? La lotta contro la carne rossa che è stata condotta senza esclusione di colpi dalle multinazionali dell’alimentare, le stesse che puntano sulla carne coltivata che deprime i consumi.
A questa si aggiungono le difficoltà della grande distribuzione nel vendere una carne che richiede una lunga frollatura e la minore disponibilità di denaro dei consumatori. Infine c’è una contraffazione che non conosce limiti. L’allarme lo ha dato la Confederazione italiana agricoltori (Cia) di Arezzo, territorio d’elezione dove si concentra un terzo dei capi del bue bianco, che ha stimato nel 27 per cento in dieci anni la diminuzione di allevamenti e nel 20 per cento il calo dei capi. Il numero di chianine censite tra Toscana, Umbria e Lazio è stimato in 15.769, ma la crisi rischia di far chiudere altri allevamenti. La situazione è allarmante. Sostengono Serena Stefani e Massimiliano Dindalini, presidente e direttore di Cia, il numero di capi allevati nell’aretino è sceso a 4.616 (circa il 20 per cento in meno rispetto al 2013), le stalle sono diminuite di un terzo e gli allevatori che devono accudire peraltro i capi allo stato semibrado non riescono a mantenere tutti gli animali».
I costi di allevamento superano i ricavi e c’è un progressivo abbandono dei pascoli di collina. Le vendite si sono contratte di almeno venti punti e il prezzo è passato da circa 8,5 euro al chilo a meno di 7. I produttori sostengono che i due punti maggiori di crisi sono il non rispetto dell’Igp (la Chianina è l’architrave del marchio bue bianco dell’Appenino centrale che comprende altre due razze: la Marchigiana di cui si stimano circa 5.100 capi, e la Romagnola che conta un po’ meno di 10 mila capi) con allevamenti fuori territorio e il fatto che basta mescolare un 20 per cento di carne di bue bianco ad altra carne per poter etichettare ad esempio un hamburger come «di Chianina». Si aggiunga che la grande distribuzione per fare profitto in fretta vuole prodotti pronti e su cui poter fare sconti rilevanti. Stavolta, pare di capire, la qualità non paga.