Ha un lavoro culturale importante alle spalle, Guido Garufi. E dopo un quarantennio di poesia, di impegno interpretativo su «grandi» del Novecento, saggi di estetica e teoria critica, militanza in significative riviste letterarie, a 70 anni ha scelto di diventare autore di prosa.
Dopo un quarantennio di poesia, di impegno interpretativo su «grandi» del Novecento come Eugenio Montale, Guido Gozzano, Dino Campana, saggi di estetica e teoria critica Guido Garufi a 70 anni ha scelto di diventare autore di prosa con un romanzo che, fin dal titolo Filigrane, indica una strada di conoscenza appassionata, non scontata.
Filigrane, uscito per Affinità elettive di Valentina Conti, rimanda a una perlustrazione della propria vita «guardata» in controluce, appunto, con le sfumature che rendono chiare e intellegibili ciò che la poesia, per sua natura, ha nascosto dietro simboli e metafore. «La filigrana riesce a farti vedere le cose che prima erano in ombra» dice Garufi a Panorama «e Canzoniere aprocrifo, che è il sottotitolo del libro allude, come nei Vangeli, a ciò che è “ancora nascosto”, non riconosciuto…».
C’è insomma in questo romanzo la necessità di chiarire, di «dire» più direttamente o frontalmente. Dall’infanzia al passaggio dalla facoltà di Medicina a quella di Filosofia, il Sessantotto e dintorni e il «suo» liceo classico. S’intrecciano nomi autorevoli – una vasta corrispondenza epistolare col Nobel Montale appunto, un poeta sperimentale come Andrea Zanzotto e tanti altri – punte di ironia a proposito della politica e dell’eros, ma, soprattutto una lunga linea lirica, a tratti esoterica, di nebbie e di voci, di una natura dentro la quale lo spirito è immanente.
Chiarisce ancora lo scrittore: «È la storia della mia vita, nel bene e nel male. Ma non è un romanzo autobiografico. Cerco di spiegarlo con un esempio: io sostengo che Giacomo Leopardi non avrebbe potuto scrivere tutto quello che sappiamo, e in quel modo, se non avesse “letto” i libri della biblioteca del padre Monaldo. Monaldo e la Biblioteca sono il movente del Poeta infinito. La mia vita corrisponde naturalmente alle mie letture, alle mie esperienze culturali».
La scrittura di Garufi elegante, e commovente, non si piega alla narrazione semplificata di qualche personaggio. Vivi e assenti hanno pari dignità, sono convocati nel libro come accade in Tommaso Landolfi e, a tratti, in Carlo Emilio Gadda. «Ho conosciuto tanti autori e critici del secondo Novecento. Mi hanno influenzato positivamente. Hanno raffinato la mia eventuale e potenziale sensibilità. E innervano le parti liriche ed esoteriche del romanzo. I miei riferimenti sono Jorge Luis Borges e, ancora, Landolfi e la Cognizione del dolore di Gadda…». Ma «in filigrana», nelle pagine di Garufi si rintracciano altre straordinarie fonti, come Samuel Taylor Coleridge con la sua Ballata del vecchio marinaio, o ancora pensatori dimenticati, i Padri del deserto…
Nell’apparenza di essere un «consuntivo», un itinerario esistenziale, Filigrane fa dunque da specchio alla migliore letteratura. Il suo linguaggio ancora classico non si contamina con il magma del «sentito dire», è a tratti aristocratico ma non esclude mai il lettore. La «riservatezza linguistica» come la profondità sono alla base dello stile di questo autore. Che, riflettendo sull’intreccio di ascendenze letterarie e ispirazione personale, conclude: «Penso di aver detto tutto».
