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Emily Dickinson, la poetessa (dell’800) amata come una rockstar (oggi)

Emily Dickinson, la poetessa (dell’800) amata come una rockstar (oggi)

Trascorse tutta la vita dentro il microcosmo della sua stanza e del suo giardino. Un’autoprigionia quasi arcana, da cui traeva liriche potenti. Quasi un secolo e mezzo dopo è un idolo per le giovani generazioni e, forza della letteratura, che in saggi biografici viene celebrata da film e serie in tv.


Se potessimo chiedere direttamente a lei, magari tramite lettera, quale sia il motivo dello straordinario successo che ancora oggi riscuote un po’ ovunque, probabilmente Emily Dickinson risponderebbe con una delle sue sentenze asciutte: «Nella mia fanciullezza non piantavo mai un seme che non fosse perenne, per questo il mio giardino dura». Sta di fatto che questa volatile donna dal collo sottile e dagli occhi larghi (del colore, diceva lei, dello «sherry avanzato nel fondo del bicchiere degli ospiti») è celebrata e citata come una rockstar. Le numerose raccolte delle sue poesie – l’edizione critica del 1998 ne conta quasi 1.800 – e le antologie che raccolgono la sua corrispondenza continuano a vendere, e in un mercato esausto come quello della poesia è una specie di miracolo.

Negli ultimi anni le hanno dedicato addirittura due film biografici: A quiet Passion, girato dall’inglese Terence Davies nel 2016, con Cynthia Nixon protagonista, e Wild Nights with Emily del 2018, scritto e diretto da Madeleine Olnek, con Molly Shannon nel ruolo principale. Di più: lo scorso novembre Apple Tv ha rilasciato la prima stagione della serie Dickinson, e una seconda è in uscita, a conferma del buon riscontro di pubblico. Particolare non secondario: è un prodotto rivolto ai giovani, i cosiddetti «young adult», e benché contenga qualche anacronismo il risultato finale è sicuramente più che buono. O, comunque, è un ottimo modo per scollare un po’ di adolescenti da Instagram e spingerli a leggere qualche verso.

Due film e una serie tv su una donna che ha trascorso tutta la vita (1830-1886) dentro la stessa casa, tanto che l’amico e corrispondente Samuel Bowles la chiamava «regina reclusa». Judith Thurman, raffinata biografa in forze al New Yorker, ha fornito una descrizione efficace: «Viveva ad Amherst, nel Massachusetts, con i suoi genitori e sua sorella, Lavinia, accanto a suo fratello, Austin, e alla sua difficile moglie, Susan, che tuttavia adorava. Suo padre, Edward, eminente avvocato e tesoriere dell’Amherst College, aveva un cuore “puro e terribile” […]. Sua madre, la giovane Emily Norcross, si stava riprendendo da un esaurimento nervoso che era durato diversi anni, durante i quali la stessa poetessa era diventata solitaria. La stanza in cui lavorava e trascorreva gran parte della sua vita era arredata con un letto a slitta, una stufa in ghisa, un ufficio e uno scrittoio».

Emily Dickinson viveva in una sorta di reclusione volontaria, il suo rovente cervello è sempre rimasto a bollire, sia pure in un’elegante casseruola nei pressi di Boston. Tutto ha bruciato lì dentro: poesia, passioni, amori a distanza. Come quello per Thomas W. Higginson, letterato, uomo di fede, abolizionista e collaboratore dell’Atlantic che nel 1862 Emily investì del ruolo di maestro, ricavandone inizialmente una solenne stroncatura («operazione chirurgica», la definì lei). Sarà lo stesso Higginson a collaborare alla prima edizione postuma dei versi dickisoniani, sempre con le cesoie.

Una singolare prigione, quella della poetessa, cui Benedetta Centovalli ha dedicato lo splendido libro Nella stanza di Emily (edito da Mattioli 1885 nella collana Centotrentacinque curata da Filippo Tuena, reperibile anche online sul sito dell’editore). «Gli aspetti rilevanti della sua biografia sono la scoperta della poesia come argine, l’autoreclusione e l’essere donna in epoca vittoriana» dice Centovalli a Panorama. «La vita minuscola di Emily Dickinson ha prodotto non a caso tonnellate di pagine intorno al mistero della sua biografia. È vissuta sempre nella cittadina puritana di Amherst, con la sorella Lavinia, il fratello Austin, l’amata cognata Sue e il terranova Carlo, confinata nella casa di famiglia dove vestiva di bianco e girava con due gigli in mano. Un’eccentrica zitella e una creatura ribelle alla ricerca della propria strada».

Una creatura che il responso negativo dei primi critici contribuì a inchiodare ad Amherst. «Dopo la solenne bocciatura di Higginson» continua Centovalli «Emily gli scrive nel giugno 1862: “Mi viene da ridere quando lei mi consiglia a differire la ‘pubblicazione’ – essendo questa estranea al mio pensiero come il firmamento a un pesce”. Ecco, aveva a quel punto rinunciato definitivamente a essere edita, ma non alla sua poesia. Anche questo risuona in modo interessante e antinomico con la nostra contemporaneità afflitta da ansia di visibilità, una visibilità che oggi viene prima di tutto». È un punto fondamentale, quest’ultimo. È vero che oggi Emily va di gran moda, ma il suo comportamento ha ben poco in comune con quello di certi poetastri odierni che confondono i versi cesellati con i pensierini in libertà. Pur rifiutata dal mondo intellettuale, Dickinson continuò il suo lavoro febbrile, senza smettere di preparare il pane per i familiari. Contemporanea e antimoderna; emersoniana e rinascimentale: che meraviglioso universo racchiuso nello scrigno di una camera.

«Nella Homestead, il luogo privilegiato era la sua stanza» racconta Centovalli. «Una bella camera con quattro luminose finestre pronta a diventare una specie di camera delle meraviglie. Il letto, il tavolino da lavoro, il cassettone, il camino, una piccola toilette. La sua mente era a sua volta la stanza dove lei aveva chiuso l’universo intero: animali, piante, fiori e persone. A poco più di trent’anni aveva deciso che il perimetro della sua casa e poi quello della sua stanza le potevano bastare, ciò che del fuori sapeva le era sufficiente per scrivere. I would prefer not to. Aveva preferito al rumore della prosa del mondo la solitudine e la reclusione della sua poesia, la possibilità di esercitarla entro i confini della vita familiare. Ecco oggi un motivo in più, oltre la poesia, oltre l’ombra entro cui era stata e si era esiliata, per sentirla vicina, compagna di strada e maestra in questa sua scelta carceraria. Dickinson sceglie la reclusione, come una monaca laica sceglie la poesia e la luce notturna del suo tavolo da lavoro».

Segregazione che oggi ci suona duramente familiare: «In una situazione del tutto eccezionale e imprevista come quella attuale, Emily ci aiuta ad affrontare un mare in tempesta senza affogare. Per lei la scialuppa di salvataggio è stata la poesia, ma anche il suo giardino, le sue piante e i suoi fiori, o la cucina dove preparare dolci, fare il pane. Tutti gesti di cura e di attenzione destinati all’altro, la sua lettera al mondo. Perché anche dalla solitudine estrema può nascere un grande ponte verso il futuro. Qualcosa che ci salva. Un arcobaleno». Ora ci siamo, nel futuro. E l’autoreclusione di certo non basta a spiegare il successo duraturo della Dickinson. Dovuto, probabilmente, alla sua lingua, al suo immaginario. Troppi fan odierni colgono di Emily il lato bucolico, gli uccellini e i campi freschi. Ma ha ragione la saggista americana Camille Paglia: «Nessuna delle grandi figure della storia della letteratura è stata fraintesa quanto quella di Emily Dickinson». Secondo Paglia, Emily «è il Sade donna, e le sue liriche sono i sogni carcerari di una visionaria volontariamente rinchiusa in un suo universo sadomasochistico».

Vero: le poesie dickinsoniane sono cruente, pulp. Sangue, supplizi e morte ci accompagnano nella lettura, la sfida a Dio e all’umanità è onnipresente. Amherst, a tratti, pare un Overlook Hotel. E vale davvero la pena farsi guidare in una visita da Centovalli. Che, nei panni di Virgilio (o del barman Lloyd di Shining), ci svela finalmente il segreto dell’immortalità di Emily: «Non scrive in inglese ma nella lingua assoluta della poesia. E questo lei lo sapeva benissimo. Ha scavato dentro le parole fino alla loro radice e ha saputo costruire i propri versi come stesse inventando una nuova lingua. Per questo credo che la sua poesia sia senza tempo. Per questo ogni epoca rinnova la lettura dei suoi versi, li riscrive a suo modo».

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