Sssssshhhhh! Fate silenzio
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Sssssshhhhh! Fate silenzio

Cellulari, musica ovunque, bla-bla ad alta voce... L’overdose di rumori mette a rischio salute, creatività, sentimenti. Ma è partita la riscossa del no-sound

Quando nel 1787, a Philadelphia, si dettero appuntamento 55 delegati di 13 Stati americani per scrivere la Costituzione degli Stati Uniti, le strade intorno al palazzo sede dei lavori furono coperte di terra e sabbia, affinché i rumori esterni non pregiudicassero concentrazione e pensiero. Più di 200 anni dopo è il nostro cervello a reclamare silenzio, provato com’è dall’overdose di sollecitazioni acustiche, volute e subite.


In pochi anni infatti il silenzio è quasi scomparso dalla nostra quotidianità, tanto che per trovarlo occorre impegnarsi e spesso pagare coloro che, intorno al bisogno di pace, si sono inventati un nuovo business.
La nostra giornata è scandita da musica a tutto volume, da messaggi pubblicitari, da trilli di cellulari, bit-bit di smartphone, conversazioni altrui, toni di voce da ballarò (il mercato di Palermo, ma anche la trasmissione), figli questi ultimi anche del venir meno delle regole base della buona educazione. Persino gli animali, secondo una ricerca della biologa tedesca Ulrike Lampe, hanno alzato il tono di «voce» in risposta al caos intorno. Si entra in un bar e ci sono la tv o la radio accese, si sale su un taxi e il martellamento non dà tregua; stesso discorso in treno, in metropolitana… Ristoranti, anche stellati, tengono musica di sottofondo, mal interpretando il termine «sottofondo».
I negozi cosiddetti trendy hanno la loro colonna sonora, così alta da non riuscire a sentire la risposta di un addetto alle vendite; nei supermercati e nelle banche vincono i messaggi garruli di promozioni e supersconti; le palestre stanno diventando delle discoteche senza la pista dove ballare: pare che il volume esagerato eviti di sentire il rumore delle macchine pompanti e la fatica; centri estetici, parrucchieri, persino molte sale d’aspetto dei medici, hanno bandito il silenzio. La musica d’ambiente, chiamata piped, ci perseguita.

Aveva ragione Gillo Dorfles, ultracentenario critico d’arte e filosofo, che anni fa mise in guardia dall’eccesso gratuito e smisurato di rumori, profetizzando per il silenzio un futuro da «nuovo lusso». E in questo discorso, l’inquinamento acustico da traffico urbano o da industria, non è determinante: certo, anche quello sta aumentando, l’Organizzazione mondiale della sanità ha previsto che nel 2030 le persone con problemi di udito saranno esattamente il doppio di quelle del 2001, ma è l’assenza di silenzio la novità, per non dire il problema.
Come ricorda Paolo Inghilleri, docente di Psicologia sociale all’Università Statale di  Milano: «Molte ricerche mettono in evidenza l’importanza di avere momenti senza sforzo, senza attenzione. Il silenzio ristora la mente, rigenera, dà energia affettiva e cognitiva. Filoni della psicologia e delle neuroscienze stanno convergendo sullo stesso punto: le situazioni di interferenza sono stressanti e impediscono la ristorazione».

Non si ha modo di ricaricare le pile, non si ha più contatto con il il sé profondo e ogni nuovo stimolo è vissuto come una fatica. Non c’è più spazio per altre parole, inquinati come siamo da quelle non desiderate arrivate senza poterle fermare. Rumori irresponsabili, e noi sotto il bombardamento di decibel. Nel 2010 è stata fondata l’Accademia del silenzio con sede ad Anghiari, vicino ad Arezzo, e di anno in anno aumentano gli iscritti e le iniziative proposte (www.accademiadelsilenzio).
È un caso che due grandi registi, Martin Scorsese e Pedro Almodóvar, stiano lavorando al rispettivo nuovo film intitolato Silenzio? Dalla Francia e dalla Gran Bretagna arrivano due cartoni animati privi di parola, con i pupazzi protagonisti. Soprattutto prolifera «l’industria del silenzio», segno che di un bisogno si tratta secondo la nota legge della domanda e dell’offerta.


Sulla scia della moda americana stanno diffondendosi anche da noi i «silent party», feste a zero decibel; il vagone silenzio di Frecciarossa, partito con pochi estimatori, ora è perennemente esaurito (non si può parlare al cellulare e dunque si è esonerati dall’ascoltare conversazioni private, schermaglie da amanti, ordini alle segretarie, imbarazzanti esternazioni etc.); le ferrovie stanno estendendo a molti scali il progetto «Stazioni silenziose» perché, secondo una loro ricerca, il 70 per cento dei passeggeri vorrebbe evitare i messaggi via altoparlante, prediligendo monitor e tabelloni; in Trentino e in altre parti d’Italia hanno organizzato Capodanni in silenzio, senza botti, con i partecipanti «obbligati» a godersi natura e zero rumore; un gruppo di appassionati di bicicletta ha creato le «Strade zitte» (www.stradezitte.com), un progetto per riscoprire itinerari tranquilli di vie secondarie, anche cittadini (ad esempio: una parte quasi sconosciuta dei Navigli a Milano); più di un’azienda ha lanciato sul mercato cuffie tecnologiche per non sentire nulla; i produttori di serramenti doppi e tripli stanno facendo affari d’oro; le «vacanze» in convento o in altre comunità con percorsi di silenzio sono apprezzate non soltanto dai credenti: pare che molti varchino la soglia sacra perché sentono il bisogno di riorganizzare i pensieri, avere un po’ di pace, liberarsi della spazzatura acustica. Papa Francesco non fa che ripetere di fare silenzio perché «lì c’è Dio».

Anche gli scienziati, con laica determinazione, incitano a riprendersi il diritto al silenzio. Per un motivo banale ed ecumenico: vivere meglio e più a lungo. Il neurologo Richard Restak sostiene che la società contemporanea sta inducendo profonde modifiche alla struttura stessa del cervello: l’iperattività indotta dalle nuove tecnologie e dall’essere sempre connessi ci porta a un deficit d’attenzione e alla facile caduta nella stanchezza cronica, nell’ansia, nella depressione. Alcuni epidemiologi americani hanno dimostrato che il suono dei cellulari, gli annunci vocali continui, i bit bit senza sosta, il costante brusio sonoro fanno alzare la pressione arteriosa. La Harvard Business Review ha ricordato che «quando la nostra mente si riempie di rumori irresponsabili, che non hanno alcun significato per noi, il cervello perde progressivamente la sua capacità».
Soprattutto la creatività è a rischio estinzione in una quotidianità occupata fraudolentemente da rumori e parole indesiderate. Il silenzio invece disintossica la mente e consente di pescare dentro emozioni, ricordi vissuti e dunque di far affiorare idee, nuovi concetti.


Ma del silenzio si ha anche paura, perché chiama in causa la solitudine, pratica non facile da consumare: quanti di noi accendono la televisione solo per non sentirsi soli? E la musica. Dov’è finito il piacere e la capacità di stare da soli esprimendo un sé dotato di senso? Gustavo Pietropolli Charmet, psicanalista, nome di riferimento quando si parla di adolescenti, mette in guardia genitori, educatori e società che, bandendo il silenzio, minano l’identità stessa dei giovani: «I ragazzi si illudono di avere un gruppo, di essere in relazione, di non essere tagliati fuori. Falso. La vera conoscenza di sé avviene mettendo a tacere il fuori e aprendo al massimo volume il dentro».


Non è un problema da poco, questo delle nuove generazioni. Continua lo psicanalista: «Si direbbe che la società stia favorendo il gruppo e quasi demonizzi chi sta appartato e preferisce leggere, studiare, godere della solitudine. Per colpa di telefonini e social network i ragazzi stanno sempre fuori da se stessi, mentre il laboratorio dove si costruisce il sé, la vocazione, il talento, la creatività è il dentro. La solitudine. Il silenzio. Gli amici sono diventati una superpotenza, più forti di famiglia, Stato e credo».
«Sovrumani silenzi e profondissima quiete», percepiva Giacomo Leopardi guardando al di là della famosa siepe, in solitudine. La poesia in questione si intitola Infinito…                                

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Stefania Berbenni