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ANSA/ANGELO CARCONI
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La trasformazione del Movimento 5 Stelle

Ecco come la creatura di Beppe Grillo è destinata ad assomigliare sempre di più a un partito vero e proprio

Se fino al giorno prima delle elezioni del 2013 nessun sondaggista ne aveva colto la reale portata elettorale, oggi tutti accreditano il Movimento 5 Stelle come possibile trionfatore alle prossime amministrative. Ad oggi occupa il secondo posto alle spalle del Pd, ma mentre questo cala, il M5S cresce. Il fenomeno non ha nulla di particolare. Anzi, è del tutto ovvio che il partito di governo indietreggi nei sondaggi e che le opposizioni siano avvantaggiate dal fatto stesso di essere opposizione.

Il dato più interessante è che il Movimento 5 Stelle ha cominciato a guadagnare posizioni da quando Beppe Grillo ha deciso di avviarne la trasformazione da forza politica “movimentista” e personale a una sempre più tradizionale.

Due passaggi sono risultati determinati in questo processo: l'introduzione di un direttorio a 5 e la recente eliminazione del proprio nome dal simbolo. In un'epoca in cui si parla sempre di più di “disintermediazione” tra politica e società, Grillo e Casaleggio hanno fatto un'operazione inversa: hanno introdotto, con il direttorio, uno strumento di collegamento tra gli eletti e gli elettori. Ossia un partito.

Un partito che, per non essere destinato a sparire con il tramonto del proprio fondatore (Mario Monti, Antonio Di Pietro sono un esempio), deve rinunciare a identificarsi esclusivamente con esso. Da qui la scelta di togliere il nome dal simbolo. Il che non significa rinunciare a una leadership forte, ma aprirsi alla possibilità che nel tempo si succedano più leader forti. Tanto che se anni fa nessun militante grillino avrebbe osato mettere in discussione il ruolo di Beppe Grillo, oggi la stragrande maggioranza di essi non solo ha votato a favore della cancellazione del suo nome dal simbolo, ma nemmeno lo vorrebbe più (solo il 10%) come leader preferendogli di gran lunga Luigi Di Maio. Non Alessandro Di Battista, molto più simile come stile a Beppe Grillo, ma proprio lui, il vicepresidente della Camera, una figura istituzionale, colui che, a differenza del fondatore, non ha mai alzato troppo la voce.

Dove stia portando questo processo è facile immaginarlo. Il Movimento 5 Stelle potrà anche continuare a chiamarsi “Movimento” finché questo farà piacere al suo fondatore, dopodiché assomiglierà sempre di più a un partito, ciò che, prima o tardi, diventerà a tutti gli effetti. Cambieranno le famose regole interne. Quelle di adesso andranno bene finché lo scopo principale dei pentastellati (bisognerà anche smetterla di chiamarli grillini) sarà quello di fare solo opposizione. Ma nel momento in cui il Movimento 5 Stelle deciderà di proporsi anche come forza di governo inevitabilmente non potrà più permettersi né di limitare la partecipazione alla scelta del candidato solo a chi è già iscritto a una determinata data (a Roma, per esempio, ci sono già arrivati) né di restringere troppo la platea dei potenziali candidati. Per esempio diventerà praticamente impossibile vietare la partecipazione a chi ha già militato, anche solo da tesserato, in altri partiti.

Saranno inoltre sdoganate le alleanze. L'esperienza che alcuni amministratori pentastellati stanno facendo a livello locale, dimostra che nessuna città, regione o paese si governa da soli. Si può vincere da soli (ma quante sono le regioni che a maggio scorso hanno eletto un governatore grillino? Nessuna), ma poi servono maggioranze abbastanza ampie non solo per farsi votare le delibere ma anche per mettere d'accordo realtà diverse. Si prenda il caso di Livorno. Nel 2014 Filippo Nogarin aveva vinto contro il candidato dei Dem. Un anno dopo tutti gli danno dell'incompetente perché la città affoga nei rifiuti e lui, da solo, non sa come venirne a capo. In teoria avrebbe i numeri, in consiglio comunale, per far approvare la sua linea. Ma alcuni dei consiglieri 5 Stelle sarebbero tentati di sfilarsi. A quel punto, senza essersi alleato con nessuno, con chi potrebbe sostituirli? 

La rendicontazione degli scontrini, che già molti deputati e senatori tralasciano di fare, diventerà un lontanissimo ricordo. Si faranno i congressi per scegliere il proprio leader che durerà per un periodo prestabilito e poi sarà sostituito da un altro al termine di un'infuocata lotta tra correnti interne. Lo statuto non-statuto verrà modificato ogni volta che sarà necessario e in Parlamento saranno candidati solo coloro che potranno competere, a livello di collegio elettorale, con gli esponenti degli altri partiti. Saranno quindi persone molto conosciute, con un'esperienza già consolidata ed eventualmente maturata anche all'esterno del Movimento. Alla fine si scinderà. E sarà a quel punto che la sua trasformazione in un partito vero potrà dirsi pienamente realizzata.

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Claudia Daconto