Marine Le Pen a Marsiglia: le paure dell'ultimo discorso
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Marine Le Pen a Marsiglia: le paure dell'ultimo discorso

Il leader del Fn legge e non parla a braccio. È alto il timore che ancestrali idiosincrasie facciano capolino e Marine torni in un istante una Le Pen

Per l’ultima apparizione “live” prima del voto (le prossime uscite saranno unicamente televisive) Marine Le Pen ha scelto Marsiglia, la citta araba per eccellenza della Francia repubblicana. Eppure, non ha convinto.

La preferenza ha una doppia logica: giocare nel campo avversario giocando in casa. Perché se è vero che qui sono stati appena arrestati due presunti terroristi con l’accusa di preparare un attentato, è altrettanto vero come tanto la metropoli quanto la Provenza in generale possono essere ormai considerate roccaforti del Front National quasi vincitore nel 2015 con Marion Maréchal Le Pen - la nipote di Marine, ma anche di nonno Jean-Marie – della carica più alta della Regione.


Marion Le Pen
Proprio Marion ha aperto la serata, seguendo una traccia riveduta rispetto all’ultima campagna elettorale che la fece vincere il primo turno ma perdere il secondo, scavalcata a sinistra da una forza di destra. Sembra un gioco di parole ma è l’inevitabile maledizione del Front National, forza identitaria della (estrema) destra francese e per questo condannata alla sconfitta proprio dal voto conservatore, che in nome dell’idea repubblicana nel momento decisivo sinora le ha sempre preferito partiti più moderati.

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Marion ha cercato di guardare avanti, consacrando e incarnando lei stessa la staffetta generazionale tra Jean-Marie e Marine e tentando di rimuovere l’estremismo latente nel movimento, ma ha poi dovuto lasciare il palco a Stéphane Ravier, e così il Front National è tornato ad essere quello conosciuto ai più.

La vera anima del Front National: Stéphane Ravier
Ravier rimane il cruccio dei pedagoghi sociali e della sinistra classica che non si capacitano come un ragazzo cresciuto nel melting pot marsigliese da una famiglia operaia e di immigrati, invece di militare nei sindacati di base aderisca giovanissimo al partito di Le Pen, consideri ancora oggi l’indipendenza dell’Algeria un errore storico e sia un assertore convinto della teoria del “grand remplacement”, cioè il disegno segreto per sovvertire il primato demografico degli europei in Europa a favore di popolazioni immigrate non europee.

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Tuttavia, consapevole del suo ruolo sul podio, e cioè quello di scaldare la platea per Marine, nella sua Marsiglia Ravier ha scelto un basso profilo, non solo vestendosi senza gusto, ma invocando complotti minori come lo sciopero dei mezzi pubblici indetto, guarda caso, proprio in concomitanza con l’evento del Front National. Ovazione.

Marine Le Pen: non convince
Quando è stato il turno di Marine Le Pen (solo Marine nella “narrazione” elettorale e “social” di tutta la campagna) pubblico e bandiere francesi hanno imposto i tempi alla regia televisiva, fino a interrompere il comizio sul nascere per un inno nazionale fuori programma. La Marsigliese ha portato il discorso all’Ottantanove con Marine che ha cercato di enfatizzare il meno celebre dei principi – la Fraternité – forse per ammorbidire i toni su immigrazione clandestina e terrorismo che rimane, per podio e uditorio all’unisono, un nesso cartesiano (cioè innato) di causa-effetto.

C’è qualcosa che stona in questa retorica dell’antiretorica. Marine attacca la società francese delle oligarchie, della globalizzazione e, parole sue, del prêt-à-penser, ma nel suo lungo comizio legge sempre; i suoi occhi non perdono mai di vista il canovaccio scritto, né per il piacere né per il brivido di avventurarsi in una perorazione a braccio, in una dialettica col fedele pubblico. Il risultato finale è quindi stucchevole.

C’è qualcosa che non persuade. Si percepisce il timore di esprimere pensieri in libertà col rischio che vecchi tic emergano, ancestrali idiosincrasie facciano capolino e Marine torni in un istante una Le Pen. L’applauso in sala sarebbe garantito, ma i voti moderati fuggirebbero nuovamente.

La lezione del passato
Il padre defenestrato fu capace di raggiungere nel 2002 il ballottaggio presidenziale, e per Marine questo è il traguardo minimo. E lei lo sa bene. La scenario internazionale (globalizzazione e ascesa del terrorismo jihadista nel cuore dell’Europa) riverberato sul quadro interno spinge il dibattito sul piano inclinato che porta ai populismi. Al contempo l’idea di Francia repubblicana (e la leggere elettorale), che fino alle amministrative del 2015 ha fatto scudo contro l’ascesa del Front National da primo partito a partito di governo, è oggi molto appannata, complice la resistibile presidenza Hollande e gli scandali puerili di Fillon.

Il gioco delle parti
Proprio François Fillon, in un ribaltamento di ruoli che ci rimanda alla minaccia terroristica appena sventata in città, incarna ciò che a Marine è proibito dire o fare apertamente: ossia l’opposizione netta alla matrice islamica eversiva che è ormai parte del tessuto sociale francese. Apparendo come il candidato più severo verso il mondo arabo di seconda e terza immigrazione che abita ideologicamente una terra di nessuno o simpatizza con l’orgoglio sunnita, Fillon ha eroso consenso al Front National obbligato dalle sconfitte precedenti a toni più miti.

Mentre Jean-Luc Mélenchon sta riuscendo a rubare in questi ultimi giorni la scena mediatica al Front National, Marine cerca l’abbraccio con la Francia profonda, lancia qualche slogan finale contro l’islamismo e la difesa dei confini prima di cantare, col suo popolo accanto sul palcoscenico - a una voce - la Marsigliese. Un affresco rovesciato dove gli unici uomini in cravatta sono le guardie del corpo e la nuova élite sembra voler badare alla sostanza rispetto alla forma, ma non s’accorge che il comizio di Marine le Pen finisce quando finisce il rullo scritto sul gobbo digitale.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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