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La ferocia della mafia pugliese

Uccide per vendetta o per affari. Mai (finora) perché si è testimoni scomodi. I dubbi di un magistrato sull'omicidio dei due contadini

UPDATE: Questo articolo è stato pubblicato in data 11 agosto 2017. In data 21 settembre 2017 riceviamo la seguente richiesta di rettifica da parte dell'Avvocato Luigi Masullo che pubblichiamo:
Nell’intervista al Dott. Domenico Seccia, già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lucera, vengono sollevati dubbi sulla probità dei Sigg. Luigi ed Aurelio Luciani, brutalmente trucidati in San Marco in Lamis il giorno 09.08.2017. Invero, nel corpo dell’articolo si afferma, dapprima, che "(…) la mafia pugliese non uccide mai i semplici testimoni". Indi, le insinuazioni in ordine ad un potenziale coinvolgimento dei congiunti dei miei assistiti vengono sviluppate nel prosieguo dell’intervista, nella parte in cui il Dott. Seccia esplicita i propri dubbi "sull’omicidio dei due contadini", associati ad un casolare eretto nei pressi dei luoghi dell’omicidio, "(…) tenuto dai Luciani", nel quale, "cinque anni fa si era consumato un altro omicidio riconducibile alla faida in atto tra i vari clan". L’intervistato conclude, poi, il proprio iter argomentativo domandandosi per quale ragione sarebbe stata risparmiata la vita della sola turista straniera presuntivamente presente al momento della sparatoria, alludendo, in tal modo, ad un diretto coinvolgimento dei Sigg. Luciani nelle vicende mafiose del territorio.
Premessi i fatti, corre l’obbligo morale, prima ancora che giuridico, di confutare le quanto meno avventate affermazioni riportate nell’articolo di stampa di cui innanzi, atteso che i Sigg. Luigi ed Aurelio Luciani non hanno mai avuto alcun legame, né diretto né indiretto, con la criminalità di alcun tipo, men che meno con quella garganica. Si tratta di giovani uomini dediti esclusivamente alla famiglia ed al lavoro, ben conosciuti nella piccola comunità sammarchese per la loro rettitudine ed integrità morale. In particolare, non corrisponde al vero quanto riferito in ordine alla presunta proprietà e/o conduzione, da parte dei fratelli Luciani, del casolare presente nei luoghi degli omicidi, appartenente, a quanto consta a soggetti legati ai predetti esclusivamente da ragioni di omonimia, non già da rapporti parentali o di altro genere. 

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"Siamo alla tragedia. Il dramma si è già consumato". L’odore del sangue dei quattro cadaveri trucidati mercoledì a San Marco in Lamis, non è un odore nuovo per gli abitanti di Foggia e del Gargano.

La Società", così veniva chiamata originariamente la mafia foggiana, con la carneficina del boss Mario Luciano Romito, del cognato Matteo De Palma e di Luigi e Aurelio Luciano, duecontadinitestimoniscomodi, ha solamente portato a segno un'altra delle tante stragi che già negli Anni 90 imbrattavano di sangue le strade, i portoni e le finestre dei paesi pugliesi, lasciando a terra i cadaveri degli avversari.

“Quella pugliese è mafia. Il terrore sulla faccia degli abitanti di San Marco in Lamis ricorda, né più né meno, quello sul volto dei cittadini siciliani nel periodo stragista dei Bontade e dei corleonesi" spiega a Panorama.it, Domenico Seccia, magistrato e autore di due saggi sulla mafia pugliese e ex Procuratore di Lucera, per questo profondo conoscitore dei clan e del territorio.

clan-pugliaL'infografica dei clan del Foggiano - 10 agosto 2017. ANSA/ CENTIMETRI

Il controllo del territorio

“Il susseguirsi degli omicidi compiuti in pieno giorno, in mezzo alla gente, indicano una mafia che ha il pieno controllo del territorio. Anzi, ha una sovranità territoriale che neppure le altre organizzazioni mafiose possiedono” continua il magistrato.

“La sicurezza e la frequenza con la quale uccide denota l’assenza di timore della reazione dello Stato. È proprio questa sicurezza che ha permesso alla mafia foggiana di prendere il controllo di interi quartieri rendendoli impenetrabili e di disseminare sul territorio migliaia di “vedette” con le stesse caratteristiche e finalità di quelle della mafia campana o di Cosa Nostra”.

I dubbi sull'uccisione dei due contadini

La Società è l’organizzazione più sanguinaria e spietata tra tutte le mafie italiane. E a dirlo non sono i quattro cadaveri nel 9 agosto, ma le migliaia di pagine custodite nei faldoni giudiziari che raccontano chiaramente il suo modus operandi. Tra quei documenti un messaggio chiaro: la mafia pugliese non uccide mai i semplici i testimoni.

"I clan uccidono sempre per vendetta o per affari" conferma Seccia. "Anche dopo anni, se non decenni. Ad esempio, fino al 2007, ogni anno il 1 novembre, a Sannicandro Garganico, i membri del clan Ciavarella ammazzavano un appartenente del gruppo Tarantino colpevole di aver trucidato nel 1981, in un unico agguato, all’interno di una Fiat 500, sette componenti della famiglia”.

Il magistrato, infatti, nutre profondi dubbi anche sull’omicidio dei due contadini.

Il casolare dei fratelli Luciano

Nel casolare vicino al luogo dell'eccidio, tenuto dai Luciani, infatti, cinque anni fa si era consumato un altro omicidio riconducibile alla faida in atto tra i vari clan.   

"Nel 2012 all’interno di quella masseria è stato ucciso Carmine Rendina e questo fatto deve essere preso in esame dagli investigatori perché potrebbe essere il reale movente del duplice omicidio".  

A questo, si aggiunge un altro dubbio: i due agricoltori non erano i soli testimoni dell’agguato a Mario Luciano Romito e al suo autista, ma vi era anche una turista straniera che invece è stata risparmiata. Perché non uccidere anche lei?

“Non mi stupirebbe se tra pochi giorni si ritrovassero anche i cadaveri degli uomini del commando – precisa - in quanto questi omicidi, spesso, vengono risolti prima che dagli inquirenti, dagli stessi clan coinvolti”.

Occorre una visione globale

Poi Seccia continua: “Proprio per questo motivo non credo che sia importante risolvere il singolo omicidio o la strage ma sia indispensabile creare nel foggiano, un pool di investigatori - tra magistrati, carabinieri del Ros e finanzieri dello Scico - capaci di avere una visione globale del modus operandi mafioso per cercare di arrivare alle radici di questamafia innominabile". È soprattutto indispensabile capirne i legami e le alleanze. Solo in questo modo si può frenarne l’espansione e toglierle quella sovranità territoriale che appartiene solo allo Stato ”.

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Nadia Francalacci