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Economia

Riforma della scuola, i 100 mila professori assunti senza Jobs Act

Ai precari del settore privato si applicano le nuove regole sul lavoro, a quelli del pubblico no. Diritti acquisiti che tutelano più alcuni di altri

C'è un aspetto sostanziale della riforma della scuola che lo scontro al calor bianco sindacati-governo sta oscurando: il ruolo del Jobs Act. I 100mila insegnanti che il governo intende assumere dall’inizio del prossimo anno scolastico, infatti, saranno assunti a tempo indeterminato senza ricorrere alle norme previste dal Jobs Act. Saranno a tempo indeterminato "vero" mentre, invece, il Jobs Act prevede che il dipendente assunto nel privato possa venire lasciato a casa in qualsiasi momento in cambio di un indennizzo la cui consistenza cresce con il passare degli anni di servizio.

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Questo significa che un precario del mondo del lavoro privato che viene assunto in base alle regole stabilite dal Jobs Act è meno tutelato di un suo collega precario che viene assunto nella scuola.

È l’ennesima disparità prodotta proprio dalle nuove norme sulle assunzioni che non solo lascia intatti i "diritti acquisiti" dei dipendenti già assunti dopo l’entrata in vigore della legge (il 7 marzo scorso), ma concede diritti superiori a chi viene assunto nel pubblico rispetto a chi viene assunto nel privato.

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Il governo ha previsto di correggere questa disparità di trattamento tra persone che sono nella stessa condizione, attraverso la riforma del pubblico impiego, l’atto più importante del ministro Madia, ma quella riforma è ancora avvolta nelle nebbie parlamentari e, soprattutto, (ovviamente) non sarà retroattiva. Significa che, ammesso e niente affatto concesso che la riforma del pubblico impiega preveda, alla fine dell’iter legislativo, il licenziamento con indennizzo anche per gli impiegati pubblici, questo non varrà per chi già lavora per la Pubblica Amministrazione, compresi, quindi, anche i 100mila insegnanti che verranno assunti a settembre. Che continueranno a godere dei privilegi che lo status di dipendente statale riserva loro il cui più importante è, appunto, l’impossibilità pratica di essere licenziati.

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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