Banche italiane, i tre motivi per cui sono (ancora) solide
Economia

Banche italiane, i tre motivi per cui sono (ancora) solide

Il sistema è immune alla crisi. Lo dice l'Fmi che dà ragione all'Abi: le classificazioni delle sofferenze sono iper - prudenti, i paragoni con altri paesi fuorvianti

Pensate al peggior scenario, una serie di choc sui mercati in stile Atene, Madrid o Cipro. Se si verificassero ancora una volta, le banche italiane sarebbero comunque in grado di resistere. Come del resto hanno fatto finora.

Parole dell'Fmi che ieri ha concluso la sua missione in Italia, con due tappe cruciali a gennaio e a marzo, tessendo le lodi degli istituti nostrani i quali, a differenza di quanto avvenuto in altri paesi, hanno raggiunto i requisiti di adeguatezza patrimoniali "con modesti apporti da parte dello Stato".

Le banche italiane, infatti, si sono rafforzate dal punto di vista patrimoniale da sole (tranne Mps), migliorando la gestione, tagliando i costi e, soprattutto, sfruttando gli aiuti della Bce .

Ciò vuol dire che, sempre nel "worst case scenario" ipotizzato dagli esperti, i "cuscinetti" patrimoniali delle banche si svuoterebbero, ma il sistema si terrebbe in piedi.

Eventuali choc sul mercato della liquidità, inoltre, sarebbero in ogni caso essere riassorbiti grazie al rilevante ammontare del collaterale a disposizione degli istituti.

Questi i risultati degli stress test effettuati dall’Fmi per vedere se il capitale delle banche italiane sia sufficiente a reggere l'impatto di un ambiente economico più difficile.

Una promozione senza riserva (o quasi), insomma: le banche italiane, hanno spiegato gli esperti di Washington (qui la nota ufficiale in inglese), hanno dimostrato "una notevole capacità di reagire di fronte a una recessione severa e prolungata nel Paese in presenza di una forte crisi in Europa".

Una solidità costruita grazie anche all'importante ruolo di vigilanza svolto da Bankitalia, giudicato un "fondamentale pilastro" della stabilità del sistema.

I numeri delle banche

Nel complesso, considerando le prime dieci banche italiane, cinque hanno chiuso in rosso e altrettante in utile. Se si guarda l’aggregato, però, il risultato è col segno meno: un rosso di 1 miliardo di euro.

Ma bisogna fare dei distinguo. I due colossi del credito italiano possono tirare un sospiro di sollievo: la milanese UniCredit ha chiuso il 2012 con un utile di 865 milioni e un core tier 1, l’indice che misura la solidità patrimoniale di una banca, che è passato da 8,40% del 2011 a 10,84% di fine 2012 - l’Eba, l’authority bancaria europea aveva chiesto agli istituti più grandi di raggiungere almeno il 9%.

Meglio ancora Intesa Sanpaolo, che ha chiuso con un utile di 1,6 miliardi e un core tier dell’11,20%. Bene anche UBI Banca (utile di 83 milioni e core tier 1 a 10,29%), l'emiliana Credem (121 milioni e core tier 1 a 9,40%) e la genovese Carige (186 milioni), che però non ha migliorato affatto la propria solidità patrimoniale (lo scorso anno ha mantenuto lo stesso core tier 1 del 2011: 6,70%).

Tutti gli altri hanno chiuso in rosso, anche se l’allarme (e l’intervento dello Stato) è scattato solo in un caso: quello di Banca Mps, l’istituto senese travolto dallo scandalo dei derivati , che ha chiuso lo scorso anno con una perdita record di oltre 2 miliardi (stando al consensus degli analisti: i risultati sono attesi il 28 marzo) e un Core Tier 1 che nel 2011 al netto dei Tremonti Bond è stato dell’8,50%.

Desta qualche preoccupazione anche il risultato dell veronese Banco Popolare che ha registrato una perdita di quasi 1 miliardo a causa di pesanti svalutazioni sui crediti, anche se è riuscita a migliorare nel corso dell’anno il Core Tier 1, passato da 7,1% del 2011 a 10,1% di fine 2012, ben al di sopra della soglia richiesta dall’autority europea.

Male anche la Popolare di Milano (che si appresta ad abbandonare la forma cooperativa per diventare una Spa quotata) con una perdita di 430 milioni nel 2012 e con un Core Tier 1 ancora fermo sotto il 9% (8,38%).

Il ruolo delle Fondazioni

A sorpresa, poi, vengono anche promosse le Fondazioni, gli enti (spesso sono azionisti di maggioranza degli istituti italiani) che non di rado finiscono nel mirino della stampa finanziaria estera.

Per l’Fmi, invece, questa volta hanno giocato un ruolo importante come investitori di lungo termine nell’azionariato, anche se "la loro presenza sistemica e la loro peculiare struttura di governance richiedono una vigilanza più stretta".

Certo, non mancano i rischi per le banche italiane. In  particolare, secondo l'Fmi, su due fronti: quello della perdurante debolezza  dell’economia reale e quello dell’esposizione al debito sovrano italiano (le banche nel 2012 hanno fatto man bassa di Btp).

Il nodo dei crediti deteriorati

Sul fronte della "copertura dei crediti deteriorati attraverso accantonamenti e collaterali", ossia il capitale necessario a coprire i prestiti soggetti a una perdita di valore (come l'esposizione verso clienti a rischio di insolvenza), secondo l'Fmi l'Italia mostra netti segnali di miglioramento, come segnalato più volte dall'Abi nei mesi scorsi, "sebbene i confronti internazionali possano essere fuorvianti, in quanto le regole di classificazione dei mutui sono molto più conservatrici in Italia che altrove".

Detto altrimenti, la classificazione delle sofferenze in Italia sono iper - prudenti. Nel 2011, infatti, le prime dieci banche registrarono sì un buco gigantesco da 26,2 miliardi, ma da imputare però alle rettifiche sugli avviamenti (28 miliardi).

L'anno scorso, invece, l'Italia è stata trascinata in basso dal circolo vizioso innestato dalla crisi (quando l'economia peggiora, i privati non restituiscono i prestiti ricevuti e gli istituti stringono i rubinetti del credito , rallentando così la ripresa) e la voce che ha pesato di più sui bilanci è stata appunto quella dei crediti deteriorati, che hanno costretto le prime dieci banche a rettifiche per 20,8 miliardi, quasi il 50%in più dell'anno precedente, quando avevano sfiorato i 14 miliardi.

Di questi, oltre 18 miliardi derivano dai soli primi cinque istituti: 9,6 miliardi da UniCredit, 4,7 miliardi da Intesa Sanpaolo, 1,9 da Mps, 1,3 miliardi da Banco Popolare e 847 milioni da UBI.

Ma non bisogna allarmarsi più di tanto: Bankitalia aveva chiesto a inizio anno di adeguare le rettifiche di valore sui crediti al contesto economico attuale e futuro a causa della recessione. E le banche hanno adottato criteri di valutazione estremamente prudenziali.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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