Vi presento Annamaria, di professione educatrice

Vi presento Annamaria, di professione educatrice

Al gran coro conformista che considera tutti i dipendenti pubblici come degli inguaribili sfaccendati da curare a colpi di cesoia mi permetterei di opporre, più che la saggezza neokeynesiana di un Krugman, l’esempio vivente di una persona che mio figlio …Leggi tutto

Al gran coro conformista che considera tutti i dipendenti pubblici come degli inguaribili sfaccendati da curare a colpi di cesoia mi permetterei di opporre, più che la saggezza neokeynesiana di un Krugman, l’esempio vivente di una persona che mio figlio conosce bene. È una maestra d’asilo che nel 2013, dopo quarant’anni di servizio, se ne andrà in pensione, ricevendo dallo Stato, se le va bene, la bellezza di 1400 euro al mese. Si chiama Annamaria e, nel quartiere milanese dove vive la famiglia  Papi, è considerata una specie di istituzione laica, un totem civile cui si inchinano tutti: i genitori che le hanno affidato  i loro piccoli, le nonne, i pargoletti, le sorelle maggiori pronte a sbocciare nell’adolescenza. La passione e la professionalità con cui ha sempre svolto il suo mestiere, che è  il più difficile e anche il meno remunerato del Regno, è proverbiale.

A lei sono grati anche i genitori stranieri di quei bambini che arrivano il primo giorno di materna senza spiccicare una parola d’italiano, ma solo l’arabo o il cinese, e gli vengono restituiti, dopo tre anni, vivaci e ciarlieri come tutti i bambini. Italiani tra gli italiani, pronti al grande salto delle elementari, aperti a un mondo che non è più solo quello che hanno consegnato loro mamma e papà,  immigrati al nero che non hanno neanche il tempo di badare alla prole.

Ma a lei, e alle tante silenziose Annamarie che hanno resistito alle chiacchiere da quattro soldi e alle sforbiciate dei vari ministri della pubblica (D)Istruzione che si sono succeduti(e) in questi anni, sempre annunciate  dalle fanfare governative, siamo grati anche noi, cosiddetti italiani, che la vediamo lì, ogni mattina in aula, mentre fa cantare ai nostri figli le canzoncine, se li prende sulle ginocchia, spiega loro quello che è giusto e quello che non è giusto fare, insegna loro – in una parola – che cosa significa stare al mondo. Il tutto, sia detto per mettere un po’ di pepe, per una pecunia che è, per quella che dovrebbe essere la settima potenza industriale del mondo, quasi un’elemosina. Un’elemosina che i soliti noti vorrebbero venderci ora come un mezzo furto alle future generazioni. Quelle generazioni che le Annemarie d’Italia hanno cresciuto  in questi decenni  con amore e dedizione, lontane  da uno Stato che si dissolve ogni mattina come la famosa scighera milanese.

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Paolo Papi