caso scomparsa Emanuela Orlandi riaperto dopo 40 anni
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Il Vaticano riapre le indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi

A quasi quarant’anni dalla misteriosa sparizione della studentessa, il Promotore di Giustizia dello Stato Città del Vaticano, Alessandro Diddi, ha riaperto l’inchiesta da tempo su un caso che tocca anche le divisioni interne al mondo della Chiesa

Il prossimo 22 giugno saranno quarant’anni esatti dalla misteriosa scomparsa di Emanuela Orlandi, la quindicenne figlia di un dipendente del vaticano, di cui si persero le tracce nel pomeriggio del 22 giugno del 1983 dopo aver frequentato la sua lezione di flauto presso l’Accademia di Musica Tommaso Ludovico da Victoria, in piazza Sant’Apollinare, nelle vicinanze di Palazzo Madama.

La versione più accreditata delle ultime notizie certe di Emanuela parla di una sua telefonata verso le 18:45 alla sorella Federica: un rapido avviso del suo ritardo a rincasare a causa del traffico intenso della Capitale, unitamente alla notizia della proposta di lavoro alle dipendenze di una nota industria cosmetica. Dopo la telefonata, la giovane si sarebbe recata con due amiche, Maria Grazia e Raffaella, alla fermata di Corso Rinascimento per salire a bordo di un mezzo pubblico attorno alle 19.30 e qui il mistero si infittì, in quanto mentre le due amiche effettivamente salirono sull’autobus, pare che Emanuela avesse preferito attendere il successivo mezzo. Esiste anche un’altra versione, secondo cui la Orlandi confidò alle amiche di dover attendere una persona che le aveva proposto un lavoro come promoter. Da quel momento e per i successivi quarant’anni nessuno l’avrebbe più incontrata: letteralmente sparita nel nulla, rapita, fuggita, dissolta tra i misteri di un tempo talmente lungo della storia contemporanea, a cavallo tra due Stati, dei quali uno, quello Vaticano, mai riuscito a dare risposte certe né alla famiglia né all’opinione pubblica che mai hanno minimamente abbassato l’attenzione sul caso.

Emanuela era nata a Roma il 14 gennaio del 1968 da Ercole Orlandi, commesso della Prefettura della casa pontificia e Maria Pezzano: quando svanì nel nulla, era cittadina dello Stato Città del Vaticano dove abitava assieme ai suoi fratelli Pietro, Natalina, Federica e Maria Cristina, lei penultima figlia.

La decisione di riaprire le indagini

Negli anni la scomparsa di Emanuela Orlandi è divenuto un caso che ha attraversato numerosi intrighi internazionali: dalle responsabilità di Cosa nostra a quelle de lVaticano, dal coinvolgimento di alti prelati a quello degli esponenti della Banda della Magliana (in particolare di Renato De Pedis), sino all’attentato messo a segno dal turco Ali Agca ai danni di Papa Wojtyla, il 13 maggio del 1981. Gli ultimi scossoni all’inchiesta nel 2019 quando, all’esito di un’ulteriore ispezione di tombe nel cimitero teutonico di Roma a seguito alcune segnalazioni giunte all’autorità inquirente vaticana, quest’ultima aveva chiesto e ottenuto l’archiviazione del corposo fascicolo penale da parte del Giudice unico della Santa sede. Quel decreto di archiviazione venne impugnato dai legali della famiglia Orlandi ed ora il nuovo Promotore dellaGiustizia vaticana, Alessandro Diddi, coordinando la Gendarmeria, proverà a fare luce sull’imponente numero di fascicoli che compongono quarant’anni di indagini.

Contattato telefonicamente, Alessandro Diddi -tra l’altro ordinario di procedura penale presso il Dipartimento di scienze aziendali e giuridiche dell’Università della Calabria, nel corso di laurea magistrale in giurisprudenza- si è trincerato dietro l’impossibilità di rilasciare dichiarazioni ufficiali o interviste: era stato Papa Francesco, lo scorso 22 settembre, ad accettare le dimissioni del professor Gian PieroMilano dalla carica di Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano, sostituito -appunto- dal professor Diddi, che a quella data era Promotore di giustizia aggiunto.

Da quanto è dato sapere, nell’archivio vaticano sarebbero molti i fascicoli aperti sul caso dall’autorità penale della Santa Sede, frutto di indagini cristallizzate nel corso di questi lunghi anni sia a seguito delle numerose iniziative adottate dalla famiglia Orlandi che d’ufficio da parte della stessa autorità inquirente vaticana. Da ultimo potrà aver pesato anche la pressione dei media che nel tempo non hanno mai allentato la presa sulla vicenda: risale, infatti, allo scorso 14 dicembre l’intervento sul caso del giornalista di La7 Andrea Purgatori che nel corso della puntata speciale della serie “Atlantide”, ospitando il fratello di Emanuela, Pietro, aveva chiamato in causa proprio il neo Promotore di giustizia, reo di un sostanziale immobilismo.

C’è da ipotizzare, a questo punto, che proprio Diddi, tirato in ballo in qualità di titolare dell’Ufficio inquirente vaticano, abbia voluto imprimere una decisa virata alle indagini, cercando di verificare la fondatezza delle nuove ipotesi investigative segnalategli, nel frattempo, dai legali della famiglia Orlandi: si tratterebbe di piste investigative mai seguite dagli inquirenti d’Oltretevere, ovvero della rivalutazione di quelle già percorse, ovvero -ancora- di nuovi temi di prova che il legale degli Orlandi, l’avvocato Laura Sgrò, sin dal 2017, aveva posto all’attenzione delle autorità inquirenti vaticane.

In magistrato Lupacchini e la Banda della Magliana

Chi invece non si è sottratto alle domande di Panorama.it è Otello Lupacchini, procuratore generale emerito, che alle vicende della sparizione di Emanuela Orlandi si è avvicinato nel corso delle indagini sulla Banda della Magliana, inchiesta cui ha legato la parte più importante della propria vita di magistrato: «Evidentemente il Promotore di Giustizia del Vaticano, per disporre improvvisamente la riapertura delle indagini sulla misteriosa vicenda di Emanuela Orlandi, dispone di elementi nuovi e diversi rispetto a quelli già valutati nelle competenti sedi giudiziarie», ha dichiarato senza tentennamenti.

L’impronta di Otello Lupacchini sulla storia della Banda della Magliana fu impressa all’alba del 16 aprile del 1993 quando 500 poliziotti diedero esecuzione alla sua ordinanza mettendo a ferro e fuoco i luoghi storici in cui agiva il clan originario del quartiere a sud della capitale: era il via dell’operazione “Colosseo”, un fascicolo di oltre 500 pagine in cui il giudice istruttore marchigiano vergò nomi, cognomi, date, e omicidi addebitati a sessantanove indagati (55 arrestati quella mattina), mentre altri36 ne avrebbero seguito la sorte nelle settimane successive. La serie di reati contestati andava dall’associazione a delinquere di stampo mafioso a quelli contro il patrimonio, dal traffico internazionale e spaccio di sostanze stupefacenti alla detenzione abusiva di armi, dalla ricettazione, falso e tentativi di omicidi agli omicidi.

Dottor Lupacchini, il caso di Emanuela Orlandi riemerge dalle paludi investigative!

«Delle due l’una: o il pubblico ministero vaticano è in possesso di elementi connotati dalla novità investigativa assoluta o potrebbe trattarsi di una mostra strategica difronte al montare di una pressione mediatica non più sostenibile, e per poter rispondere che non è vero che il Vaticano sia rimasto inerte rispetto al grido di dolore che si eleva dalla comunità che reclama, dopo quarant’anni suonati, la verità sulla sparizione della giovane studentessa, oggi -se viva- donna di 55 anni».

Una riapertura in ogni caso clamorosa…

«L’una o l’altra ipotesi sarebbero comunque temerarie in assenza di quegli elementi assolutamente innovativi lo scenario investigativo, nel caso in cui non riuscissero a spiegare realmente le ragioni per cui si sta muovendo il Promotore».

Un atto dovuto, non crede?

«Scomodare l’obbligatorietà di un’azione penale dopo ben quarant’anni mi paresemplicemente una “boutade”. Il problema, lo ripeto, si pone in questi termini: o il Promotore di Giustizia dispone di elementi talmente “nuovi” che ovviamente e giustamente non rivela nel rispetto del segreto istruttorio, indispensabile a questo punto, per un espletamento rigoroso dell’indagine, oppure la pressione della stampa nazionale ed internazionale sulla vicenda è talmente forte che il Vaticano, cioè Papa Francesco, non può restare insensibile».

Un classico aut aut…

«Ovvio, perché due sono gli scenari: o si vuole effettivamente andare alla ricerca della verità, cooperare per una ricerca seria di piste investigative mai esplorate, oppure si vuole mettere sopra la classica pietra tombale sulla vicenda, affermando -dal Vaticano- di aver tentato quanto di competenza».

C’è da essere fiduciosi?

«Allo stato si tratta di mere ipotesi, destinate a rimanere tali in mancanza di qualsiasi elemento che spieghi le ragioni dell’intervento del Promotore vaticano».

Lei pone molto l’accento sulla pressione mediatica montante.

«Che per fortuna, mai mancando, ha tenuto desta l’opinione pubblica su questomistero della storia contemporanea italiana».

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Egidio Lorito